Un film compresso fra due catastrofi, quella di Fukushima e una seconda ancora a venire, ma presagita, forse agognata, più temibile perché il suo rombo già incomincia a farsi sentire nella disgregazione delle coscienze. Himizu è la talpa che erode dall’interno i corpi, per svuotarli delle loro forze e rendere più soffocante l’oppressione del dover credere nella ricostruzione dopo lo tsunami, sperare nel futuro del proprio paese, sognare una nuova vita per i giovani.
Il quattordicenne Sumida invece sceglie di occultarsi nella sua tana per poter eludere le responsabilità che gli vengono imputate, scostare la razione della sbobba patriottarda, salvarsi da genitori che augurano solo la morte dei propri figli. Vorrebbe soltanto annullarsi nel grigiore che lo circonda, come maceria fra le macerie, lasciarsi trascinare dalla coltre fangosa che ricopre ogni cosa: insomma, diventare un cittadino rispettabile. Ma la sua maturazione deve necessariamente passare dalla liberazione dal padre, da un atto il più cruento possibile, come se per poter far parte della società e farsi meglio governare da essa bisognasse prima provare la più pesante delle colpe. La vera vittima dell’omicidio diventa quindi l’omicida stesso, costretto a espiare per il suo atto annullandolo, impedendone la perpetuazione, salvando la società prima di tutto da coloro che se ne definiscono i più fanatici difensori e che invece ne minano la tenuta.
Un film reazionario? Può darsi. Di sicuro un Sion Sono più sobrio nello stile rispetto ad altri suoi lavori (pensiamo ad esempio al coloratissimo, folle, cruento Strange Circus) e mosso da un sincero imperativo morale. Ma surrettizio, come una talpa, si insinua il dubbio che la vera minaccia, generatrice di catastrofi, sia proprio la società, matrigna bramosa di carne fresca e sangue, che chiede ai propri figli di darsi ad essa sino all’estremo sacrificio della libertà.