Immaginiamo che un drammaturgo, prima di morire, decida di mettere in scena la sua ultima piéce utilizzando non solo gli attori, ma anche le parole, le situazioni, le storie raccontate in tutta la sua lunga carriera. Immaginiamo che il teatro dove verrà mostrata venga letteralmente trasfigurato in un luogo inclassificabile, inedito spazio della visione che è al contempo anche
rappresentazione. Il celebre scrittore Antoine d’Anthac, lascia agli attori che hanno nel tempo interpretato la sua “Eurydice” una lettera con le sue ultime volontà: riuniti in una casa dovranno vedere in video la messa in scena della stessa opera da parte di una compagnia di giovani attori. A loro il compito di giudicarne la nuova trasposizione, interamente ambientata in un vecchio capannone abbandonato.
Questo il punto di partenza di Alain Resnais in Vous n’avez encore rien vu splendido gioco corale in cui il luogo della narrazione si moltiplica, anzi, si polverizza nel tempo e nello spazio e i “vecchi” attori, seduti sulle loro poltrone, rivivono ciascuno il ruolo interpretato un tempo. La sceneggiatura nasce dall’idea di unire due commedie di Jean Anouilh “Eurydice”, appunto e “Cher Antoine” unite come a specchiarsi e a contaminarsi via via che la visione della prima accende emozioni e ricordi tra gli attori chiamati a vederla. Doppio gioco, si potrebbe dire, dunque, dentro e fuori la finzione cinematografica, perché Resnais ha chiamato a raccolta i suoi attori di sempre, da Sabine Azéma a Pierre Arditi, da Michel Piccoli a Anne Consigny quasi a voler recuperare in un solo momento frammenti sparsi di un’intera carriera.
Ma guai a pensare a Vous n’avez encore rien vu come ad un film legato di passate malinconie. Si correrebbe il rischio di non vedere l’aspetto più sperimentale di cui si alimenta ogni film di Resnais: l’idea che l’invenzione può sovrastare la realtà, riscriverla senza nostalgia e, infine, dimenticarla in un’operazione di continua astrazione. Impresa simile realizzata anche da Leos Carax in Holy Motors (anche questo film inserito in competizione), ma dove la contrapposizione tra vedere ed essere visti, guardare ed essere guardati, si riduce ad un meccanismo obsoleto per spettatori congelati e forse inconsapevoli.