Massimo Causo
Partiamo con un sogno dimenticato. Forgotten dream, naturalmente... L’avventura della grande scoperta disincarnata nel gioco di specchi tra il disposiitivo filmografico e iconico (la grande narrazione cinematografica della Storia) e la disarticolazione della verità nascosta, del segreto mondo, dell’altrove presentificato...
Queen Of The Desert è per Werner Herzog l’esplorazione (non senza ironia...) dell’inaudito filmico, ovvero l’articolazione di un universo che appartiene pienamente alla sfera del mito trascritto in calligrafica realtà, anzicché in fitzcarraldica deriva. Un biopic tra avventura e romance sull’esploratrice britannica Gertrude Bell, che si disloca immancabilmente nell’iconografia herzoghiana dei grandi visionari in cerca di altrove e nell’indagine sulla persistenza delle ossessioni, sul valore recondito del reiterare l’intuizione sino allo stremo. Però qui non siamo nel gioco platonico delle idee, non ci immergiamo nell’arcaico dominio dell’idealità, nella caverna delle immagini perdute: Queen Of The Desert maneggia l’origine del presente, si spinge indietro di un secolo esatto per cogliere la materia originaria di ciò che viviamo, la madre di tutte le apocalissi nel deserto e di tutti i terrori attuali...
La posa plastica di bianco vestita è quella di un Fitzcarraldo, la determinazione quella di un Aguirre: ma la Gertrude Bell di Nicole Kidman è l’istinto che sovrasta e domina non la natura, ma la Storia, non lo spazio dei luoghi ma il tempo del sapere. L’avventura è il conoscere, la sfida è l’incontro, l’attraversamento è un’immersione nella luce del deserto, nell’abbagliante nulla di una realtà che rivela non i miraggi della Fata Morgana e nemmeno le roboanti lingue di fuoco petrolifere dell’Apocalisse nel deserto, ma cavalieri nomadi cui consegnarsi inermi, principi cui assoggettarsi, castelli in cui farsi imprigionare...
Queen Of The Desert è l’inversione di segno del cinema di Herzog, non per negazione ma per ulteriore conferma: l’inaudito herzoghiano di proporre un’eroina, la spinta verso la Storia come fatto concreto (pensate a un film come Invincible...), gli spazi come mappature che definiscono i luoghi, persino l’insistenza sugli animali... E poi l’esibito gioco di una visione illustrata, l’aderenza iconografica alla filmografia d’avventura, la pregnanza oleografica della passione d’amore... Il vero miraggio qui è il cinema già fatto, la fata morgana di una filmografia inalienabile, residuo di un secolo passato: bisogna esser ciechi per non vedere l’ironia con cui Herzog disincarna il T.E. Lawrence di Robert Pattinson...