Torna, è tornato già da tempo, il fascino per il supporto materiale attraverso cui ascoltare la musica, soprattutto il vinile e con lui l'apparecchio bracciuto su cui lo si poggia, insomma il giradischi, inno alla meccanica contro la logica digitale. E da qui la rinnovata importanza dei negozi di dischi (per me è la New Records di Bari, storico ricettacolo del kraut, della psichedelia, dell'elettronica più mesmerici), l'atto stesso, tipico, arpeggio di dita, di sfogliare gli album stipati nei loro scomparti; soprattutto ora che a causa della brexit cosiddetta e dei rigori (o pasticci) delle dogane inglesi, è diventato difficile, forse addirittura impossibile, ricevere i dischi direttamente a casa dal Regno Unito, terra delle migliori etichette di psichedelia.

Ad esempio dalla Fuzz Club non arriva più nulla (o con ritardi macroscopici: anche un anno dal momento dell'ordine) e i plichi, a fronte di acquisti anche esosi, giacciono chissà dove in fondachi londinesi o magazzini salini sulle coste di Dover: alla corposa messe di mail di informazioni o di protesta da parte dei clienti non v'è risposta. Del resto la Fuzz Club continua a produrre dischi di un certo rilievo: proprio sul finire del 2021 sono stati pubblicati Horizons degli Electric Eye e il secondo LP dei messicani Sei Still, El Refugio a cui si aggiunge l'ultimo straordinario disco dei Trees Speak uscito per l'etichetta londinese Soul Jazz. E poi c'è Moon. The Cosmic Electrics of Møtrik dei Møtrik, che forse non è solo un capolavoro ma anche il disco krautrock più importante, più miracoloso del nuovo secolo.

Horizons è uno di quei dischi che ti riconcilia con il rock psichedelico delle origini pur aprendo spiragli a una moderata sperimentazione, a sezioni vagamente jazz, blues e soprattutto space-rock che però vengono suturate da accordi compiacenti, rotondi, luminosi. Una luminosità che sembra mancare nel Refugio dei Sei Still, reduci dal loro primo disco (omonimo) pienamente kraut-rock, scintillante, spaziale. Qui invece sembra regnare l'ombra, quell'atmosfera declinante propria della new-wave, che si fonde a una monodia, anzi un'ossessione kraut, quasi chiave di volta del kraut sudamericano, così torrido nel rimirare i cieli stellati, così torbido mentre guada corsi d'acqua o si perde in intrichi di foresta, se si considera ad esempio l'esperienza dei cileni Follakzoid o dei peruviani Culto al Qondor.

Vertigo of Flaws dei Trees Speak, doppio vinile 12 pollici più un'appendice in 45 giri come consuetudine per il duo americano, è un'apoteosi di generi che si intersecano, si giustappongono, si modulano in una delle più sensazionali orografie musicali contemporanee. Innanzitutto l'elettronica da moog, ipnotica, che nei picchi si fa, anzi si sfa, regredisce in rumore ambientale, nebulosa risucchiante le note in una sorta di mitologia astrale, elementare, come spasimi di asteroidi o buchi neri, prima di distendersi in lontana, esausta melodia, in elegia synthetica. Poi ovviamente lo space-rock cui vertice (e vertice dell'intero disco) è Stasi, e si stria verso un kraut caustico, acido, destrutturato, fino ad arrivare a colonne sonore retrò, venute dagli anni Settanta (tra avant-garde e lacerti di jazz) o proiettate verso il futuro (in eco di Nils Fram), quelle che si direbbero delle post-OST (Original Soundtrack) galleggianti nelle ambagi del tempo.

E quindi i Møtrik: Moon (doppio vinile, rosso e celeste) è un congegno radiante, prismatico (eppure non cerebrale: fanciullesco per certi versi: vi sono escluse distonie e distopie) cui propellente è il tempo (di batteria), la progressione dell'unità sonora; viaggio siderale, tutto in quattro quarti, che parte con un trittico psichedelico (in eco dei Moon Duo, con addirittura interpolazioni funky) per divenire poi pienamente kraut. È una serie continua di svuotamenti (di fono), rallentamenti e di saturazioni e riprese, cambi di ritmi esaltanti (come in Stabilize: non so dire il tipo di esaltazione bambinesca che m'è presa al primo ascolto, al primo cambio di ritmo, e ancora adesso che conosco il disco alla perfezione, o credo di conoscerlo); incedere ossessivi, ipnotici (ad esempio i quasi quindici minuti di Space Elevator) architettati dalle percussioni. Tramano tastiere sibilanti sfondi notturni, amplessi lattescenti, tremanti; alti corruschi arabeschi; chitarre in flanger, riverberi, scale in basso, poi risalite, a illustrare firmamenti astrali, gorghi e suzioni sovrapposte, demiurgie, catarsi colorate.

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