Il consolidamento in Nigeria, nel corso degli ultimi trent’anni, di una delle industrie mediatiche più influenti al mondo, Nollywood, ha partecipato a far emergere e circolare nuovi immaginari riguardo il presente e il passato del continente africano. Se fin dai primi anni di esistenza dell’industria, numerosi intellettuali ed artisti africani hanno espresso forti critiche in ragione delle imperfezioni tecniche a volte flagranti dei primi film prodotti e dei contenuti spesso scabrosi (stregoneria, rituali violenti e contenuti erotici spesso espliciti), il pubblico locale ha reagito con entusiasmo, facendo di Nollywood un fenomeno che è ormai impossibile ignorare qualora si vogliano cercare di comprendere le trasformazioni degli immaginari africani contemporanei.

L’industria si è ormai emancipata da queste prime controversie e si è fatta riconoscere internazionalmente attraverso produzioni molto diversificate, alcune delle quali (si pensi ad esempio ai lavori di Abba Makama o di C. J. Obasi) hanno avuto accesso a piattaforme di legittimazione riconosciute internazionalmente, come i festival di Toronto o Berlino. È tuttavia interessante ritornare indietro nel tempo, ai primi anni di formazione del canone nollywoodiano, per individuare, attraverso l’analisi di film che ne hanno segnato lo sviluppo storico, alcuni elementi originali di questa cinematografia nata a cavallo fra il piccolo e il grande schermo.

Come nel caso di un mio precedente intervento sulle pagine di Uzak (https://www.uzak.it/rivista/uzak-35/della-notte/l-occulto-nel-cinema-nigeriano-genealogia-di-un-immagine.html), in questo breve saggio prendo spunto da un film particolare (Igodo: Land of the Living Dead, un film del 1999 diretto da Andy Amenechi e Don Pedro Obaseki) e, in senso più ampio, da un genere specifico emerso in Nigeria alla fine degli anni ‘90 (il genere dei cosiddetti “film epici”), per riflettere sull’articolazione fra rappresentazione dell’occulto e reinvenzione del passato precoloniale che caratterizza molto del cinema del primo Nollywood (grossomodo fra i primi anni ‘90 e la seconda metà dei 2000). Questa esplorazione permette di mettere in luce il modo in cui questa cinematografia, prendendo spunto da un repertorio vasto e complesso di elementi culturali, storici ed estetici, è stata in grado di produrre un immaginario unitario (e, forse, utopico?) dell’identità nazionale nigeriana, dal forte impatto socio-politico. Come nel caso della maggior parte delle moderne nazioni africane, in effetti, i confini della Nigeria attuale sono il frutto di un’invenzione coloniale, che ha separato e riassemblato popolazioni che vivevano secondo regimi politici e suddivisioni territoriali specifiche, forzandole all’interno di confini disegnati a tavolino durante la spartizione imperiale dell’Africa, nella seconda metà del XIX secolo.

In questo contesto, la questione della costruzione di un immaginario nazionale capace di superare le frontiere linguistiche e culturali del complesso mosaico etnico che compone la nazione nigeriana si è imposta fin dagli anni che hanno preceduto l’accesso all’indipendenza politica nel 1960. E resta ancora oggi di forte attualità, in un contesto politico che vede moltiplicarsi le spinte secessioniste di alcune regioni del paese. Il cinema di Nollywood ha avuto qui un ruolo particolare, come catalizzatore di dibattiti collettivi sulla base dei quali immaginare le basi sociali e culturali della nazione (messe duramente in crisi dalla sanguinosa guerra civile del Biafra di fine degli anni ’60), nonché come vettore di circolazione massiva del pidgin english, slang creolo capace di affermarsi progressivamente come idioma comune di comunicazione malgrado le molteplici divisioni linguistiche interne al paese.

Se gli albori di Nollywood, nei primi anni ‘90, sono stati segnati dal successo spettacolare di un genere specifico, quello dei cosiddetti film “rituali”, e dal suo gusto particolare per la rappresentazione delle forze occulte che abitavano (e abitano ancora) gran parte dell’immaginario popolare urbano nigeriano, a partire dalla seconda metà degli anni ‘90 il panorama della produzione locale si è notevolmente diversificato, dando vita a un'ampia varietà di generi, di cui il recente lavoro di Jonathan Haynes, Nollywood: The creation of Nigerian film genres, offre un quadro ricco e dettagliato. È all'interno di questa dinamica che emerge, a fine anni ‘90, il genere dei film "epici". Questo genere si caratterizza per l'interesse marcato verso la rappresentazione del passato e del sapere mitico-religioso precoloniale o “tradizionale” e per il suo tentativo di costruire, sulla base di esempi storici, le basi di un futuro nazionale comune.

Si tratta di un genere che nasce in parte in risposta alle critiche che le élite nigeriane avevano espresso contro i primi film di Nollywood, e in particolare contro la loro insistenza nel semplificare e mistificare forme rituali e credenze “tradizionali" locali attraverso una rappresentazione spettacolarizzata e tinta di stereotipi negativi, fortemente influenzata dalla retorica evangelica delle chiese pentecostali. Contrapponendosi a queste prime rappresentazioni, i film “epici” intraprendono uno sforzo specifico verso il recupero dei saperi ancestrali, che tuttavia li porta, come vedremo fra un istante, ad entrare in un campo complesso di tensioni tra forme precoloniali e moderne di trasmissione e innovazione della cultura, spingendo questo genere verso forme inattese di reinvenzione del patrimonio culturale nigeriano

(Fermi immagine tratti da Igodo: l'uccisione Ihekwumere e la cerimonia di iniziazione dei sette guerrieri di Umuoka)

Particolarmente significativo in questo senso è il caso di Igodo: Land of the Living Dead. Anche se non si tratta del primo film “epico” ad essere stato realizzato (The battle of Musanga, realizzato nel 1996, è generalmente considerato il vero precursore di questo genere), è senza dubbio quello che ha incontrato il maggior successo commerciale, aprendo il mercato a una lunga serie di produzioni simili uscite negli anni successivi, come King Jaja (1999), Red Machete (2000), Akum (2000), Sitanda (2006) e Inale (2010). La trama del film ruota attorno alle conseguenze dell'omicidio di Ihekwumere, un giovane guerriero ritenuto da tutti essere il figlio di Amadioha, il dio del tuono, e predestinato a diventare il prossimo igwe (capo del villaggio). La sua morte scatena le ire di Amadioha, il quale per vendicarsi scatena la morte misteriosa di tutti i primogeniti nel villaggio di Umuoka, il villaggio nel quale è stato ucciso Ihekwumere. L'indagine mistica condotta dal dibia, l'indovino del villaggio, collega le morti all'esecuzione ingiusta di Ihekwumere e indica che l'unico modo per porre fine alla maledizione è abbattere il grande albero che ospita la tomba di Ihekwumere. Ma quest’albero può essere tagliato solo dal coltello con cui è stato ucciso Ihekwumere, che è nascosto proprio nel santuario eretto in onore di Amadioha, al di là della foresta. 
(Fermi immagine tratti da Igodo: l'uccisione Ihekwumere e la cerimonia di iniziazione dei sette guerrieri di Umuoka)

(Il poster di Igodo che è stato utilizzato per la promozione del film in Ghana)

Sette guerrieri di Umuoka vengono quindi scelti per intraprendere una spedizione. Vengono iniziati dal dibia in una serie di rituali destinati ad aiutarli a far fronte alle difficoltà che incontreranno durante il viaggio per trovare l'arma. Il resto del film segue il tortuoso itinerario del loro viaggio e le raccapriccianti avventure che i sette guerrieri devono affrontare per portare a termine la loro missione. Il coltello viene infine recuperato da Igodo, uno dei sette guerrieri nonché il musicista della banda, che riesce ad ottenerlo solo dopo la morte degli altri guerrieri e dopo aver affrontato innumerevoli battaglie spirituali contro le forze oscure inviate da Amadioha per distogliere i sette guerrieri dalla loro missione. Nonostante i modesti mezzi economici e tecnici utilizzati per la produzione di questo film, le immagini di queste battaglie spirituali hanno segnato significativamente gli animi del pubblico al momento dell'uscita di Igodo, partecipando a renderne a suo modo immortale la fama. La sequenza nella quale i guerrieri si trovano a combattere contro un esercito di alberi viventi (prodotta con una semplice sovrapposizione dell'immagine di un albero con l'immagine degli occhi e della bocca di un uomo) è diventata il simbolo stesso del film, fino ad essere inclusa nei manifesti pubblicitari che hanno accompagnato la distribuzione di Igodo in Ghana e negli altri paesi della regione (si veda l’immagine poco sopra).

Verso la fine del film, una volta completato il racconto delle azioni dei sette eroi che hanno salvato il villaggio, la voce narrante insiste sul fatto che le sfide contemporanee devono essere affrontate con lo stesso coraggio dei guerrieri che hanno salvato Umuoka e in particolare, come sottolinea Matthew Brown, attraverso l'esercizio di una «leadership disinteressata e sacrificale» capace di proteggere la comunità dal «pericolo di uomini gelosi e assetati di potere» (M. H Brown, 2013). L'appello morale su cui si conclude Igodo è un riferimento diretto al contesto politico nigeriano al momento dell'uscita del film, un periodo di grande incertezza dopo la fine di quasi due decenni di regime militare autoritario (sotto Ibrhaim Babangida e Sani Abacha) e di grandi speranze venivano per l’arrivo di un nuovo governo eletto democraticamente (con a capo Olusegun Obasanjo).

Il ricorso a un passato mitico e ai gesti eroici di antichi guerrieri può essere ricondotto a un tentativo esplicito di ricordare alla nuova classe dirigente la "tradizione" di buon governo e di sacrificio disinteressato di un'autorità precoloniale idealizzata, rappresentata dal dibia e dai sette guerrieri che si immolano per calmare l’ira divina e riportare la pace nella comunità. La dimensione rituale, che nel primo Nollywood veniva rappresentata sulla falsa riga morale della condanna evangelica e pentecostale verso le religioni tradizionali viste come “idolatriche”, è qui celebrata nella sua capacità di sanzionare l’impegno civile e morale dell’individuo verso la propria comunità. Come sottolinea il critico cinematografico nigeriano Femi Shaka, l'intenzione generale è qui «quella di ripristinare una qualche forma di equilibrio fisico o spirituale laddove atti precedenti [...] hanno creato uno squilibrio» (F. Shaka, 2011). Ma l’intento politico del film non si riduce a questo esplicito ritorno verso una tradizione idealizzata e verso le virtù collettive, per certi versi terapeutiche, del rito.

Un’analisi più approfondita della storia della genesi di questo film mostra una dimensione ulteriore che ci permette di mettere in luce le modalità, a volte tortuose, attraverso le quali Nollywood finisce per partecipare all’emergenza di nuovi immaginari culturali nazionali. La produzione di Igodo ha in effetti una storia molto complessa. Si tratta, all’origine, di un progetto di Don Pedro Obaseki, all'epoca giovane attore e insegnante di teatro all'Università di Benin City, nel sud est del paese, divenuto in seguito figura chiave dell’industria come produttore e regista. Ispirato in egual misura da quello che considerava un racconto tradizionale yoruba (gruppo etnico principalmente residente nel sud-ovest del paese) e dalle leggende sull'origine del Regno del Benin (Igodo è infatti il nome del leggendario primo re di quello che sarebbe diventato in seguito il Regno del Benin, uno dei regni più potenti dell’Africa sub-sahariana a cavallo fra il XV e il XVI secolo), Obaseki voleva produrre una saga mitica per celebrare la storia del proprio gruppo etnico, gli edo del Benin (principalmente residenti nel sud-est del paese). Tuttavia, non avendo le risorse per poter portare a termine il proprio progetto, Obaseki si è trovato a dover chiedere aiuto a un produttore igbo (etnia principalmente originaria dell’est del paese), Ojiofor Ezeanyaeche della OJ Productions, che aveva appena ottenuto un grande successo commerciale con la produzione del film Blood Money (1997). Ezeanyaeche accettò di mettere soldi nel progetto di Obaseki, ma solo a condizione di spostare l’ambientazione del film in un contesto culturale igbo.

La complessa biografia culturale del film non finisce qui. Poco dopo l'uscita di Igodo sul mercato nigeriano, l'attore e regista teatrale yoruba Wale Ogunyemi fece causa a Obaseki per plagio, accusandolo di aver riadattato un'opera teatrale yoruba che lui stesso aveva messo in scena vent'anni prima, Langbodo (1979). Questa commedia era in verità, a sua volta, l’adattamento di un racconto pubblicato in yoruba nel 1939 dallo scrittore D.O. Fagunwa e in seguito tradotto in inglese da Wole Soyinka con il titolo Forest of a Thousand Daemons. Vista la complessità della vicenda e gli interessi economici coinvolti, il caso venne portato in tribunale, dove Obaseki cercò di difendersi pretendendo di essersi liberamente ispirato al folklore yoruba, malgrado il fatto che, come abbiamo appena visto, né l'opera teatrale né il testo su cui si basava potevano essere considerati pienamente come racconti orali tradizionali. La produzione del film, inoltre, era riuscita a rendere scontenti anche gli spettatori edo, verso i quali era inizialmente rivolta. Il fatto che Obaseki fosse stato obbligato dal suo produttore a trasferire la storia in contesto igbo aveva infatti spinto numerosi critici di questa appartenenza etnica a condannare il film come una forma di appropriazione delle tradizioni edo da parte di un produttore cinematografico igbo.

La complessità di questa vicenda rende intellegibile la delicata situazione politico-culturale all’interno della quale registi e produttori di Nollywood sono obbligati a muoversi sin dalla nascita dell’industria, e la durezza delle reazioni che i film prodotti possono generare. Ma questa stessa vicenda ci permette di mettere ugualmente a fuoco il fatto che i processi di scrittura e produzione di tali film avvengono in un contesto in cui il regime di protezione della proprietà intellettuale è relativamente debole e dove, come ha sottolineato l’antropologa britannica Karin Barber, l'eredità di forme orali precedenti, che esaltano la citazione e riducono l'importanza dell'autore, è ancora molto forte (K. Barber, 2015). A questi aspetti si aggiunge il divieto, comune a diverse culture del bacino del fiume Niger, di riprodurre forme rituali (comprese alcune forme di danza, maquillage e abbigliamento) senza l'approvazione della comunità o senza passare per rituali di iniziazione specifici (si veda a proposito il lavoro di Ute Röschenthaler, Purchasing Culture: The Dissemination of Associations in the Cross River Region of Cameroon and Nigeria del 2011). Questo contesto tende a favorire forme artistiche sincretiche che sfociano nella creazione, sullo schermo, di forme tradizionali mai esistite, e di montaggi inattesi e sorprendenti di elementi culturali provenienti da tradizioni culturali estremamente diverse.

Se da un lato va ricordato che gran parte delle soluzioni creative azzardate in questi film sono semplicemente il risultato di budget di produzione troppo ristretti e della mancanza del tempo necessario a fare le ricerche storiche necessarie in fase di pre-produzione, è anche possibile dire che l'invenzione della tradizione di film “epici” come Igodo è, in un certo senso, di per sé il prodotto della tradizione – ovvero del tradizionale divieto di rappresentare certi aspetti delle culture locali senza sottoporsi a determinati rituali di iniziazione. A questo aspetto si aggiunge, in certi casi, il timore da parte di registi e attori di Nollywood di essere considerati come veri e propri membri delle sette occulte rappresentate nei film. Come suggersice Jonathan Haynes riportando le inquietudini di uno dei registi da lui intervistato, se la rappresentazione è troppo verosimile, il pubblico potrebbe chiedersi come facciano regista e sceneggiatore a «conoscere i rituali e il loro funzionamento così bene?» (J. Haynes, 2016). Per scongiurare questo rischio, diversi sceneggiatori nigeriani ricorrono quindi esplicitamente a una rappresentazione al limite della caricatura «come per rendere incontestabile il fatto che non si tratti della verità» (ibid, p. 315), ed evitare un’eventuale condanna basata precisamente sull’interdizione rituale di rappresentare certe pratiche senza l’appropriata autorizzazione.

In questo quadro, lo sforzo esplicito verso la produzione di una cultura pan-nigeriana operato da un film come Igodo, così come da molti altri film del genere “epico”, può essere visto come il tentativo di costruire quella che si potrebbe definire come un’identità etnica nazionale. Nei film epici, infatti, troviamo villaggi che non sono mai esistiti e paesaggi che sono la commistione di immagini prese in location diverse, ai quattro angoli della Nigeria. Igodo ad esempio è stato girato in luoghi di tutto il sud della Nigeria dall’est all’ovest, dallo yorubaland all’igboland, fra Enugu, Anambra, Oshogbo e Abeokuta. E ancora troviamo, come accennato poco fa, abiti presumibilmente tradizionali, giustapposti a danze, canti o maquillages frutto della creazione arbitraria di un membro sottopagato dell’equipe di produzione. Ma questi aspetti tradizionali inventati oggi costituiscono uno degli elementi visuali distintivi di una "tradizione nigeriana" che si impone alle nuove generazioni grazie alla circolazione capillare dei film, e che arriva spesso a imporsi al di là dei confini del paese, partecipando alla creazione di un immaginario panafricano largamente sincretico e, per molti versi, esplicitamente artificiale. Per quanto artificiale, tuttavia, questo immaginario dispone di un’incontestabile forza proiettiva, capace di spingere il pubblico verso l’immaginazione quasi utopica di una Nigeria coesa al di là delle molteplici fratture culturali e politiche che ne frammentano il presente.



Testi citati

M. H. Brown, At the threshold of new political communities: Some notes on the history of Nollywood's epic genre, in “The Global South” vol. 7 - n.1, 2013, p. 72.

F. Shaka, Nollywood: Reconstructing the historic and socio-cultural context of the Nigerian video film industry. in “Supple Magazine” 11, 2011. http://www.supplemagazine.org/nollywoodreconstructing-the-historical-and-socio-cultural-contexts-of-the-nigerian-video-fi lm-industry.html

K. Barber, Authorship, copyright and quotation in oral and print spheres in early colonial Yorubaland, in Copyright Africa: How Intellectual Properties, Media and Markets Transform Immaterial Cultural Goods, a cura di Ute Röschenthaler e Mamadou Diawara, Sean Kingston ed, 2015, pp. 105-127.

J. Haynes, Nollywood: The creation of Nigerian film genres, Chicago University Press, 2016.

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