Herzog preferisce camminare, lo ha sempre dichiarato. Lo preferisce come gesto etico, anzitutto, di contatto diretto con il proprio corpo e il mondo. Ma camminare, come ama spesso dire, è anche un esercizio dello sguardo, perché ti spinge ad osservare i dettagli del mondo mentre il tuo corpo si muove lentamente, al ritmo del tuo respiro (camminare ed osservare è la prova d’ingresso per gli studenti di cinema della sua folle e geniale Rogue Film School). Infine, camminare è un gesto mistico, come quello che lo spingerà a compiere il viaggio da Monaco a Parigi a piedi come voto per salvare la vita alla sua amica Lotte Eisner, gravemente malata. Camminare non è però solo un gesto dai molteplici significati, è anche un’immagine, un’idea. Un’idea di cinema, soprattutto. Camminare, in questa prospettiva, diventa l’immagine metaforica di una forma di montaggio, di costruzione dello sguardo filmico. È un’immagine che pensa il cinema come esplorazione, come presa d’atto di un mondo le cui connessioni sono possibili solo mediante un modo preciso di guardare e immaginare corpi, spazi, eventi e incontri. 

L’immagine è in cammino in più di un senso: perché sempre traslata, portata oltre se stessa, consegnata ad uno sguardo che la fa propria, la reinterpreta: il mondo, visto (e montato) da chi cammina diventa altro rispetto alla percezione ordinaria: questa sembra essere una delle convinzioni costanti del percorso herzoghiano. Un film come Nomad, da questo punto di vista non è solo un commosso omaggio alla figura di Chatwin, ma è una dichiarazione di poetica, una esplorazione del mondo sotto forma di cinema, in cui il montaggio è anzitutto folgorante incontro, connessione inattesa. Herzog salta, quasi letteralmente, da un luogo all’altro, luogo reale (i posti raccontati o visitati da Chatwin) o immaginario (immagini dei suoi film), creando costantemente possibilità di incontri con figure che immediatamente diventano gli abitanti del suo mondo.  D’altro canto Herzog è un regista di opere-mondo, come Fellini o altri; regista cioè di film che costituiscono un universo a sé, che non possono entrare in facili categorizzazioni, catalogazioni di genere, tendenze, movimenti. Herzog non appartiene al Nuovo Cinema Tedesco, come aveva già chiaramente intuito la stessa Eisner, che lo aveva immediatamente, sin dalle prime prove, riconosciuto come autore diverso da qualsiasi altro. Autore proprio perché creatore di forme capace di mettersi in gioco ad ogni film.

Il cinema in Herzog è sempre una questione di creazione, ed è sempre questione personale. Messo in questi termini, il gesto del camminare diventa immagine del procedimento stesso del cinema herzoghiano, le cui ultime prove sembrano confermare la particolare declinazione della sua narrazione. Gli ultimi film del regista tedesco infatti lavorano tutti, in modi diversi sulla stessa idea creatrice, quella del movimento a tappe come strutturazione di un particolare tipo di montaggio. Ecco allora palesarsi la possibilità di rivedere le ultime immagini herzoghiane attraverso una lente particolare, come possibilità di mettere alla prova una forma particolare di cinema, il montaggio come cammino. Un intervallo di tempo che va dal 2016 al 2020, in cui il regista tedesco lavora a diversi progetti: Nomad, Into the Inferno, Lo and Behold, Meeting Gorbachev, Fireball: ognuno di questi film sembra costituire una tappa di un particolare tipo di viaggio/montaggio: la scrittura nomade di Chatwin, le molteplici significazioni del vulcano e del suo potere tra popolazioni lontanissime tra loro; le pratiche e i discorsi che ruotano intorno alla tecnologia, all’idea e alla mistica della connessione tecnologica; il racconto della catastrofe delle meteoriti, della fine del mondo, della potenza distruttrice che arriva dallo spazio: tutti questi elementi sono parte di una idea di montaggio come cammino, fatto di associazioni anzitutto. Sembrano rimanere fuori da questo percorso due film realizzati in questo intervallo: i due film più esplicitamente di finzione (Salt and Fire e Family Romance, LLC), ma si tratta di una esclusione fittizia. In entrambi i casi la finzione è la forma con cui il regista prosegue il suo percorso sulla narrazione attraverso dettagli, sull’inclusione del mondo reale nella narrazione classica: percorso perfettamente complementare a quello che stiamo sviluppando qui e discorso che necessita ovviamente di un ulteriore approfondimento. Ma torniamo alla costellazione iniziale.

L’inizio di Fireball: Visitors From a Darker World è esemplare da questo punto di vista. Tre immagini, associate una dopo l’altra aprono la narrazione: le riprese della festa dei morti a Merida, in Messico, luogo dove anticamente cadde un meteorite che ha profondamente mutato il territorio e dove da secoli si svolge la cerimonia della palla di fuoco; le riprese amatoriali di un meteorite a Chelyabinsk, in Siberia nel 2013; l’immagine del cratere enorme formato anticamente da un meteorite a Wolfe Creek in Australia. Tre immagini diversissime, prese in luoghi diversi della Terra, ma che disegnano sulla mappa del mondo itinerari simbolici e materiali, storici e immaginari.

Lo sguardo di Herzog diventa il soggetto unificatore e organizzatore delle immagini, l’Io che diventa garante del montaggio, della sua unità, che si configura come accostamento di tappe diverse, ognuna delle quali sviluppa le sue storie, le sue trame. Ecco la forma, il cammino come struttura stessa del cinema, di quel cinema particolare che Herzog non cessa di sviluppare, film dopo film, in un corpus che è appunto un universo, un organismo coerente: «Tutti i miei film esprimono un comune sentimento nei confronti della vita e in questo senso costituiscono un tutt’uno. Sono in relazione reciproca come le membra di un enorme corpo e, se visti insieme, compongono un unico film con molte dimensioni diverse piuttosto che una mera catena di film» (W. Herzog, Incontri alla fine del mondo. Conversazioni tra cinema e vita, a cura di P. Cronin, Minumum Fax, Roma 2009, p. 90). 

Ed è a partire da questo primo esempio che allora, come corpi celesti in una costellazione, anche le altre immagini dei film più recenti di Herzog sembrano organizzarsi, muoversi ognuna in nuove possibilità di montaggio, come le tavole del Bilderatlas di Warburg, anch’esse, nel loro senso più profondo, esempi straordinari di montaggio in cammino, di montaggio come erranza. 

In Into the Inferno e Lo and Behold, l’erranza dello sguardo è data da un diverso tipo di salto di montaggio. Nel film prodotto da Netflix è nel costante dialogo tra il regista e il vulcanologo Clive Oppenheimer che il cammino-montaggio si dispiega di fronte ai nostri occhi, portando l’immagine a connettersi, con salti improvvisi, dal monte Sinabung in Indonesia, fino all’Islanda, la Corea del Nord e l’Etiopia; in Lo and Behold, invece, è il rapporto tra i soggetti e la tecnologia a costruire il viaggio particolare del film, la sua struttura profonda. Ma al di là delle differenze, ciò che accomuna i vari titoli è proprio la sperimentazione di un particolare tipo di montaggio, fatto di connessioni, salti, inedite configurazioni.

Non fa eccezione neanche il film apparentemente più lontano dall’idea di viaggio, come Meeting Gorbachev (co-diretto con André Singer): anche qui è un incontro (la lunga intervista che Herzog fa allo statista russo, ultimo segretario del PCUS), la causa scatenante un viaggio di tipo nuovo, nello spazio e nel tempo, in cui Herzog gioca su più livelli, mettendo in scena il racconto della storia recente (gli ultimi anni dell’Unione Sovietica e la storia personale di Michail Gorbaciov), e i frammenti di racconto degli altri protagonisti di quegli anni che il regista incontra e intervista. Materiali d’archivio si incrociano con gli sguardi attuali dei vari personaggi, costruendo così, sequenza dopo sequenza, un’idea personale di Storia, sottratta ad ogni idea di oggettività assoluta e riconsegnata ai pensieri e alle percezioni di chi quella Storia l’ha vissuta in profondità.

In un certo senso, la modalità del viaggio-montaggio fa sì che i film letteralmente saltino da un luogo all’altro, da un tempo all’altro, creando ogni volta connessioni che svelano la potenza simbolica di eventi naturali come i meteoriti e i vulcani, oppure trasformazioni radicali del mondo e della sua percezione a causa delle nuove tecnologie di comunicazione, o ancora il senso profondo di un evento storico, nei corpi e nei pensieri di chi l’ha vissuto. Come l’esploratore delle tavole warburghiane del progetto Mnemosyne, che incontrava connessioni folgoranti e profonde grazie al suo proprio movimento, dello sguardo e dell’occhio, così il movimento cinematografico di alcuni dei film (che chiamare documentari è riduttivo) herzoghiani degli ultimi anni è caratterizzato da una precisa posizione mobile dell’autore/personaggio Herzog, che si pone sempre in scena e che garantisce, come si è detto, che il personaggio-autore sia il personaggio finale, l’Io al tempo stesso fittizio e reale che organizza cinematograficamente il mondo (come montaggio).

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