Gianfranco Costantiello, Vanna Carlucci

altIl tuo film è tutto giocato sull’opacità dell’immagine, sui riflessi della luce nella macchina da presa, sulla luce intermittente delle candele che restituisce l’ombra tremula dei personaggi, un’ombra prossima a mutare, a scomparire. Ci puoi dire qualcosa intorno alla costruzione di questo spazio filmico misterioso, vago ed evanescente?

Wow … beh sai tutto è nato dalla musica, in particolare dalla decima sinfonia di Gustav Malher remixata da Matthew Herbert che ho ascoltato durante la stesura della sceneggiatura e nella costruzione della scenografia e in qualche modo questa musica ha influenzato le luci e i colori che le scene dovevano avere. Ed è stato lo stesso per quanto riguarda la luce delle candele: normalmente in un film è importante avere una buona luce attraverso le tecniche adatte, ma io volevo solamente le candele per illuminare le scene negli interni.

Per tornare alla musica, quando ero bambino avevamo un lettore cd e dentro c’era solo un album di John Denver che personalmente non ascoltavo mentre, per una serie di ragioni, mio padre amava. Ricordo che c’era anche un disco di Debussy, e in particolare passavo molto tempo ad ascoltare continuamente il terzo atto de La Mer, Dialogue du vent et de La Mer che accendeva la mia immaginazione con tempeste, mostri e immagini di questo genere. Ecco, la musica tardo romantica era cinema per me.

Lo scenario diventa protagonista del film, centro entro cui poi gravitano senza rotta i personaggi che addirittura diventano strumenti per mostrare altro, il bosco dunque come un luogo a se stante, irreale perché estraneo alla realtà che c’è fuori. Possiamo considerarlo allora il luogo interiore dell’artista e, allo stesso tempo, spazio dell’opera entro cui l’uomo, che si appresta a conoscerla, tende a smarrirsi?

Sai, in Germania, ma un po’ in tutta l’Europa settentrionale, c’è una folta tradizione letteraria e cinematografica che dice chiaramente: “se hai qualche problema con il mondo vai nei boschi”. È il tipico luogo comune delle favole: si perdono e dicono “oh, ma siamo stati qui tre ore fa” e in un certo senso lo spazio non conta più, contano invece i sentimenti, il sentimento di perdersi.
Zerrumpelt è un film estremamente personale, è la rielaborazione di una mia delusione, di un mio dolore. Tutti i personaggi sono personalità scisse di me stesso, ma in particolare sono molto vicino a Willy. Ecco, come ho già detto, si tratta di un film molto personale, ma ne ho preso in parte le distanze ambientandolo nei boschi e in un tempo abbastanza lontano dal mio come il 1929.

Guardando il tuo film non possiamo non pensare a un rimando a certo cinema sokuroviano (pensiamo a Voci spirituali o a Elegia del viaggio), alla sua muta contemplazione dello spazio che crea il paesaggio e al modo in cui indaga sull’opera stessa. Quali sono stati i tuoi modelli di riferimento e quanto hanno influenzato poi il tuo modo di avvicinarti alla regia?

I miei riferimenti sono abbastanza bassi dato che le mie prime esperienze cinematografiche risalgono ai western tedeschi che guardavo in tv quando ero bambino ispirati ai romanzi di Karl May, dentro cui vi erano un sacco di avventure: era tutto girato in cinemascope, e vi erano dei movimenti di camera semplicissimi. Ma è qualcosa a cui mi rifaccio in modo inconsapevole, è un cinema che inevitabilmente mi ha segnato. Spero di non averti deluso con questa mia risposta, perché conosco Sokurov, anche se non ho visto i film che mi hai appena citato.

Nel film Otto si ispira, nella composizione della sua opera, a San Francesco e la intitola “Poverello”. In tutto il film c’è questo velo mistico che circonda le immagini e che si propaga grazie anche alla musica e che rivela un ritorno alla semplicità dell’opera stessa, che si spoglia del superfluo e lascia emergere l’essenziale che nasce anche dalla solitudine dell’artista. Di quali strumenti espressivi faresti a meno nel momento in cui ti accingi a girare un film? Cosa diventa essenziale?

Come ha detto Kossakovsky, il documentarista russo: “non dovresti mai girare un film se puoi vivere senza farlo” e in questo caso avevo bisogno di fare un film perché necessitavo di una sorta di autoterapia. Fare film significa dare una lettura psicologia o qualcosa del genere, per me è stato così... quando ho girato il film ho cercato di seguire le mie sensazioni, i miei sentimenti senza pormi altri problemi che non riguardassero me. Tutto viene fuori da questo e venisse il diavolo a portar via tutti i soldi e la camera e tutto quanto!

Tornando sul discorso intorno al paesaggio, ciò che si nota nel tuo film è la maniera di cogliere talvolta con occhio allucinato, diremmo per certi versi impressionista e pittorialista, il visibile, sfuocando i contorni e sfumando i colori. Questo accade soprattutto nei campi lunghi dove si aprono gli spazi delle radure. Ecco questo termine, radura, sembra animare la lingua tedesca nel Novecento: e pensiamo al concetto heideggeriano di radura (Licthung) – che ricorre all’immagine di quel luogo giocato dalla luce e dall’oscurità per dirci del disvelamento e nascondimento che è proprio all’Essere-; e anche alla chiusura del romanzo Korrektur (Correzione) di Thomas Bernhard, nel quale, proprio come nel tuo film, si narra una fuga, un distacco dalla civiltà, dalla vita. Questi due grandi pensatori e scrittori ti hanno in qualche modo influenzato nella costruzione di Zerrumpelt Herz?

Bene, probabilmente sto realizzando di non essere un intellettuale (ride, nda). Non conosco questo concetto di Heidegger e, in verità, non ho mai sentito parlare di Thomas Bernhard.

Tra i personaggi del tuo film, quello più sfuggente, più inafferrabile di tutti, anche forse più di Otto, sembra essere Anna, la figura femminile. Questa sembra circondata da un alone d’inquietudine che via via si va caricando di un forza erotica che in precedenza era rimasta latente, sospesa. Che ne pensi di questa eroticità insita nel personaggio femminile di Anna?

È molto interessante sentirvi dire che Anna sia molto più ambigua di Otto. Per me Anna è intuizione femminile: quando è sulla riva, e vede del fumo salire su dalla piccola isola, ha la giusta intuizione che qualcosa di strano, qualcosa che nemmeno lei sa spiegarsi, sta accadendo, accadrà. Nonostante non abbia ricevuto una buona educazione, poiché è cresciuta in un contesto contadino e sposa Paul, un uomo più grande di lei e con un’educazione migliore della sua che proviene da una famiglia borghese, lei sente dentro di sé le cose, capisce la complessità della fantasia di un artista sofferente. Senza dubbio lei è molto più saggia dei tre uomini che compaiono nel film.

Otto sembra incarnare tutta la filosofia nietzschiana: egli infatti si fa artefice del proprio destino fino ad annientare se stesso. Quanto, secondo te, un atto di creazione può coincidere con un atto di distruzione di sé?

Sì, Otto annienta se stesso perché è incapace di portare a termine le idee bellissime messe sullo spartito, nella partitura. Ho sempre pensato che quando Otto appare, è già morto: certo lui appare fisicamente, ma ha fallito nella creazione ed è questo quello che non va in lui. Non riesce a fare quello che era capace di fare prima, scrivere sinfonie, scrivere la musica che voleva scrivere. Alla fine, il suo è un atto di disperazione: vuole distruggere la musica e se stesso. In un certo senso, la sua creatività musicale non è altro che una sublimazione sessuale. Non a caso torna solo per fare un bambino e, in un certo senso, perpetuare se stesso.

Per chiudere: stai lavorando a qualche nuovo progetto?

Sì, ci sarà un sequel di Zerrumpelt. Sarà ambientato nel 1962 e avrà come protagonista il bambino del finale che avrà oramai 33 anni nel nuovo film. Sarà un fisico che viene invitato a un congresso in Svizzera, sulle Alpi. Tutti attendono un professore iraniano di fisica che vuole presentare qualche nuova idea alla comunità scientifica internazionale. Ma il professore iraniano non arriverà mai. Sarà una sorta di thriller hitchcockiano fisico-quantistico in bianco e nero.
In realtà ho in mente anche un terzo film che chiuderà il cerchio riallacciandosi al primo film e dunque porterà avanti la storia di questo bambino oramai vecchio, poiché ho intenzione di ambientarlo nel 1997. La storia avrà a che fare con la cometa Halebop e la melodia, ma non so ancora bene. Si chiamerà The Last Radio.


Bari, 6 febbraio 2015


Filmografia

Cuore frantumato (Zerrumpelt Herz) (Timm Kröger 2014)

Elegia di un viaggio (Elegiya dorogi) (Aleksandr Sokurov 2001)

Voci Spirituali (Dukhovnyye golosa) (Aleksandr Sokurov 1995)


Bibliografia

Bernhard T. (1995): Correzione, Einaudi, Torino


Musicografia

La mer (Claude Debussy 1903 - 1905)

Symphonie No. 10 (Gustav Mahler 1911) (Recomposed By Matthew Herbert 2010)