C’è un doppio sguardo, frantumato dal taglio netto sulla dualità del soggetto, sovrapposto sul fascio di luce arrivato dall’alto, pure specchiato, che è di Hannah Höch nel suo Autoritratto con Crack (1930, Berlinische Galerie), al quale si ha l’impressione di poter accostare l’idea di cinema di Bertrand Mandico – astro nascente di una nuova tendenza francese, consacrato dai «Cahiers» – nelle specificità tecniche che gli sono proprie: metafora à rebours di un discorso sull’arte che riflette su di sé, sulle possibilità e sugli strumenti che ad essa sono connaturati; paradossale, vibrante, intensivo dream workche era stato delle avanguardie, ora reinterpretato nelle modalità dissacranti del ghigno, o del balbettio, quando non afasia, oppure al contrario dall’urlo, dal fluire emorragico, metafilmico, di liquidi che tingono lo schermo, del graffio furente sugli occhi.