A prescindere da quello che è stato Nolan, da un abbrivio se si vuole tronfio o supponente del suo cinema, tecnicista fino allo stremo (dello spettatore) e alla noia, alla freddezza dello spettacolo in sé, che, nonostante le premesse, come dire, teoriche, non riesce ad andare oltre sé; resta un equivoco sugli ultimi suoi film, da Interstellar in poi, alimentato sadicamente dalla critica (da certa critica in solluchero da stroncatura) ogni volta che s'appressa un suo titolo in sala: rimbomba soprattutto sul web (è lì che il fascino della pirotecnica s'annida e spesso si tramuta in abiura, ma di facciata, penso) la formula "senza cuore" che invece per me va intesa in maniera antifrastica, e ciò vale anche per Tenet.

Ma poi mi chiedo perchè non si riesca a valutare, anzi a considerare un film per il suo specifico apporto segnico, linguistico, filosofico, anzichè ricondurre tutto a un pregiudizio, a una sanzione riguardante il concetto astratto de "il cinema di Nolan". Per quanto mi riguarda esiste un Nolan che rifiuto di netto, trovandolo pretenzioso e sterile quando lo spettacolo e la tecnica congelano il pullulare e la purulenza onirici come in Inception, e un altro che considero interessante sia pure non coinvolgente come Dunkirk, e un altro ancora che reputo straordinario, cioè il Nolan dell'unico suo capolavoro, Interstellar.

Che era un film sull'amore filiale sottoposto alle minacce del tempo e dello spazio, enti in dilatazione, sfibramento, disperdimento universale: si facevano superfici cinematografiche concave, sferiche come un buco nero, per poi tornare a misura d'uomo (una nuova misura) un momento prima dell'ultimo commiato. Lo strazio della separazione espresso spasmodicamente dalle musiche (tra le più belle, ossessive, belle perchè ossessive, ridondanti, mai udite in un film), la ricerca dell'amore, sparso come un pulviscolo interstellare, una luce, un'immagine (cinematografica) tra gli astri, tra le supernova, i varchi temporali, per ritornare a un attimo, anche solo un attimo d'affetto, uno sguardo, un abbraccio che scandisce, dà il tempo al corso del cosmo. Ma non solo, visto che alla fine Cooper andava alla ricerca di Amelia Brand. Insomma un film tutt'altro che mancante di cuore, anzi tracimante di pathos: tutto un film di fantascienza, di erranze, firmamenti, pianeti siderali, per arrivare a un gesto circoscritto, un atto carneo, nudamente umano, tratto fuori da un'immensità vertiginosa. 

Riguardo Tenet il discorso è simile (anche a proposito delle musiche che qui esorbitano in techno, industrial): sono gli affetti (ritorna l'amore filiale e si sostanzia quel principio di amore erotico affiorato alla fine di Interstellar) soffocati, triturati nei movimenti spasmodici, distorsivi e disturbanti, in avanti e indietro (nel tempo), nel segmento dell'immagine, la quale viene violentata, lacerata da vettori che si muovono in senso contrario l'uno dall'altro. Dal punto di vista filosofico è un film affascinante proprio per questa violenza teorica, una sorta di masochismo visuale che può ricordare il 3D distorsivo e cacofonico, aggressivo dell'occhio, di Godard, anche se qui, in Tenet, l'aggressione, lo spasmo sono condotti nello svolgimento (spettacolare) delle scene, quindi in diacronia, e non in quella simultaneità bruciante che faceva del 3D godardiano una delle pagine più significative della storia del cinema. 

Ciò che disturba invece è l'intrigo internazionale, che manca della leggerezza e dell'ironia propria di uno dei Mission Impossible: ma mi pare che sia un ciarpame necessitato dal fulcro centripeto del film, perchè appaia alla fine un amore a tre e tutto sia ricondotto, proprio come in Interstellar, a un atto, a un momento di totale, straziante umanità: su una barca, un istante di corrispondenza amorosa, strappata al corso del mondo, prima del crollo cronico. Ma c'è un altro aspetto singolare, che rende il film attraente: la singolarità della bellezza, dinoccolata, smagrita, di Elizabet Debicki, la stessa singolarità che gli astronauti cercavano in Gargantua tra l'enorme massa di materiale di risulta, detriti, pulviscoli, gas letali e che consente alla fine la sopravvivenza della specie.

Kat è sagoma improbabile, fuori posto, fuori fuoco rispetto al film d'azione; la sua anomala, magnetica bellezza tiene insieme il materiale di risulta del film e lo fa vivere: è intervallo contemplativo a cui del resto Andrei Sator, ubriaco d'amore, non sa rinunciare se non sottraendolo all'umanità intera. Il suo amore coercitivo, meschino è tanto disperato quanto lo sono il disprezzo e l'odio che sua moglie gli restituisce e che si rispecchia nell'innamoramento del Protagonista pronto a vagare all'indietro e a forzare le immagini del film di cui è protagonista appunto, pur di poterla guardare da lontano, da un altro tempo.

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