«Davanti alla realtà, l'immaginazione indietreggia, mentre l'attenzione la penetra»

(Cristina Campo, Gli imperdonabili)

La sovversione dell’anima è declinata nelle più variegate sfumature, dal bianco conducono al nero, e dalle tenebre scivolano nuovamente verso chiarori luminosi, la rifrazione della luce accende i grigi, illuminandoli di scintille che accendono la notte; barlumi lattescenti scivolano liquidi tra le pieghe più nascoste della mente umana.

Redenzione, diretto da Maria Martinelli, liberamente ispirato al romanzo di Franco Calandrini, Corpi estratti dalle macerie, è stato presentato fuori concorso durante l’ultima edizione del Festival di Torino. La regista, al suo secondo lungometraggio, dopo Amorestremo, del 2001, thriller sensuale che aveva tra i protagonisti Rocco Siffredi, si addentra, in questo suo nuovo lavoro, in un territorio intimo, in punta di piedi e con estremo rispetto verso la storia narrata e i personaggi che ne costituiscono il fulcro. L’immagine è una lirica che abbraccia l’assoluto, racchiude l’essenza di luoghi distanti e presenti, traslando l’anima sul corpo filmico, impregnato dalla poesia di un altrove di cui si avverte l’esigenza e la necessità della sua presenza.

Il murmŭr del vento accompagna l’occhio nell’infinita bellezza della natura, tra gli argentei alberi di ulivo, nelle campagne, tra le zolle brulle della terra scura lavorata dagli uomini, si insinua sottile nei silenzi assoluti avvolti dalla nebbia, dalla brina che imbianca i paesaggi umidi di lacrime e di memoria. La narrazione è un delicato ossequio ad una storia di volti, di emozioni trasposte sullo schermo, frammenti di vita e ricordi che si confrontano con il presente. Una donna alla ricerca di sé stessa rivive il suo passato con l’amante in un rifugio di montagna. Persi in un non luogo tra la nebbia, vicini a un cielo perennemente plumbeo, il dialogo tra i due li rivela sovente distanti, ai margini di un territorio impervio e aspro di incomunicabilità, dove le ombre di un passato tormentato si allungano su un presente incerto, in lenta e faticosa (ri)costruzione, tra le macerie.

Come racconta Franco Calandrini in Corpi estratti dalle macerie, «Ci sono cose che si possono dire e altre solo pensare. Invertire il loro ordine naturale solitamente sconvolge l’ecosistema domestico. A volte in modo irreversibile. Sono piccoli diluvi quotidiani, che si ficcano nelle fessure degli amori in bilico, lentamente e letalmente, e alla fine li sgretolano. Resta nell’aria il tappeto sonoro di Radio Echo Moskvy».

Hanna (Marina Savino) riempie lo schermo da subito, con il suo volto diafano e gli occhi velati da un’umbratile tristezza, si ritrova con l’amante (Matteo Cremon) in un triangolo amoroso difficile da gestire per entrambi, ma i gesti parlano più delle parole; al contempo, all’orizzonte si prospettano scelte difficili da prendere, ma necessarie. Il corpo filmico è il corpo umano, in una coincidenza fisica, in una compenetrazione totale, la vita si fa opera cinematografica e il cinema si muta in vita.

L’immagine deraglia sulla vita, sua sovrapposizione, l’una interseca l’altra in una vicendevole narrazione, offrendo nello scorrere delle sequenze filmiche la ricerca della bellezza intesa come flusso magmatico dell’esistere. Un racconto lirico di anime in una danza mossa dal vento, tra il presente e il passato, in un futuro in cui non si è altro che granelli di assoluto. Una narrazione sensoriale, epidermica, che scorre sulla pelle e attraverso i ricettori più sensibili, una trasposizione immaginifica e reale del tempo, dilatato e sospeso, in una realtà in bilico tra l’onirico e l’esperito, tanto tangibile quanto intangibile, in maniera equanime, in cui l’arte e la vita si fondono in un connubio unico, alimentato dalla santificazione dell’immagine.

Maria Martinelli si muove attraverso ambienti caratterizzati da una luce fredda e rarefatta, in cui gli interni stringono quasi in un abbraccio la coppia alle prese con le proprie difficoltà; la regista si sofferma sui primi piani dei volti dei protagonisti della vicenda, tra i silenzi, i protagonisti del passato che, attraverso i ricordi, tornano nel loro quotidiano, e tra addii e ritorni, avvinti da un fil rouge che unisce le loro vite. La fotografia di Mirco Sgarzi e le musiche di Riccardo Nanni contribuiscono a rendere Redenzione un gioiello raro del cinema contemporaneo.

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