Il cinema non è morto. Giusto! Oppure il cinema è un non morto? La pandemia sembrava aver inferto il colpo di grazia al grande schermo, invece ci voleva solo linfa nuova, anzi, sangue nuovo. Tantissimo sangue, per dare un tocco di colore ad un immaginario fortemente provato dalla privazione, ma anche dall’imposizione. C’è stato un tempo, in questa parte dell’universo, in cui pareva si dovesse vivere di soli cinefumettoni, per ragazzi di tutte le età.

Quel tempo non è finito, non ancora almeno, ma ha preso a coesistere con un genere prepotente, audace, anche velleitario, che è l’horror 4.0 . Horror è meno pregnante di orrore, è più rassicurante, più fighetto. Noi aneliamo l’orrore, e vorremmo che l’universo mondo clusterizzasse così, con la parola italiana, come con la parola italiana si clusterizza il Giallo. Forse è ancora presto, dobbiamo accontentarci di riportare la chiesa (sconsacrata) al centro del villaggio. L’horror dunque, che ha immesso ettolitri di sangue nuovo nel cinema, succhiando anche dalle piattaforme televisive: è sul piccolo schermo che si è sdoganato un certo linguaggio filmico in modo crossgenerazionale, che si è potuto recuperare i grindhouse, gli slasher, i creepypasta, i masters of horror.

In forma originale, o derivativa (la trilogia Fear Street, ad esempio). Anche Sam Raimi, il Maestro, colui che ha dato a Satana quel che è di Satana, e a Stan Lee quel che è di Stan Lee, è passato dalla tv, portandovi ben 3 stagioni del suo ok Corral, Ash vs Evil Dead. Lo ha fatto a partire dal 2015; prima, al cinema, aveva prodotto il remake di Evil Dead diretto da Fede Alvarez, e lo aveva portato ad incassare 100 milioni di biglietti verdi. Che sono un sacco di soldi, specie se ottenuti con un budget di produzione inferiore ai 20 milioni. Un’operazione commerciale a la Jason Blum diremmo, il tycoon dell’horror 4.0, oro 4.0, blockbuster in quantità prodotti a prezzi stracciati. Blum tuttavia batte territori incogniti e deve intercettare tendenze, mode, segmenti di mercato.

Raimi giocava e gioca in casa (!) anche se il campo è minato: gioca con il patrimonio affettivo dell’eredità. Sulle questioni ereditarie si rompono le famiglie, è noto, padri contro figli, fratelli contro sorelle, grandi contro piccoli. La chiave raimiana quindi sta nel refresh più che nell’update, guardare al canone, al punto fisso da un nuovo punto di vista. Nella fattispecie lo sguardo è di Lee Cronin, irlandese, apprezzato dagli adepti festivalieri per il suo Hole in the Ground. Buon racconto a la page, di maternità sconsolata e boschi e alienitudine filiale. Senza che ci sia un maschio alfa o un pater familias, come lo zeitgeist desidera. Cronin approccia Evil Dead con entusiasmo, ne fa una questione di genere, una questione femminile, rovesciando mirabilmente la rappresentazione: ora è la madre ad essere alienata, aliena, indemoniata.

Succede infatti che il libro dei morti, improvvidamente ritrovato e improvvidamente riaperto, origini la possessione diabolica di una povera donna, fresca di separazione, rendendola una bestia sadica. Assetata di paura prima ancora che di sangue, perché come Mammona desidera si diverte assai a infliggere torture, spaventi, sofferenze cristologiche a chiunque capiti a tiro, con una ovvia predilezione per i consanguinei, in specie una sorella fricchettona con una pagnotta nel forno, e tre figli bamboccioni variamente teenager. Il gioco al massacro è bello, si sta come in autunno sugli alberi le final girls o i final boys, i protagonisti sono fantocci da infilzare, non fanno simpatia, non generano empatia. Siamo tutti orfani di Ash! Quello che è meno bello - meno riuscito - è la contestualizzazione: sarebbe un grattacielo, da inquadratura esterna, ma nei fatti è un ambiente domestico, con moltissime incursioni e pochissime escursioni su pianerottolo e garage.

È nel grembo della casa di famiglia che si scatena la malvagità, con picchi creativi nel fano della cucina, che è cura, nutrimento, legame per antonomasia. Uno dei poster ufficiali made in USA, in felice orgasmo creativo, sostituisce il disegno dell’edificio con quello di una megagrattugia usata a mò di attrezzo dell’inquisizione, e il pensiero ancor mi duole! Il fatto però è che questo non è un film dal e sul Necronomicon, piuttosto è un Enciclopedicon, un Bignami dell’orrore della glitter age, degli anni 80. Il condominio? Da Poltergeist 3, Punteruoli in occhi o gote? Fulciani. Ascensore di sangue? Shining. Creatura proteiforme? Yuzna. Il drone dentro al film, in funzione di shaky cam? Già visto nel remake di Poltergeist, guarda caso prodotto da Raimi. Nulla di originale sotto il sole, quindi, il che non è per forza un difetto, posto che l’originalità sia un valore relativo e contingente. Il pubblico sta mostrando apprezzamento, e pare che quest Evil Dead Rise sarà il più profittevole della saga della casa, almeno fino al prossimo capitolo.

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