«Se non c'è un legame sonoro, c'è un legame estetico,
vale a dire che quando il legame non è formale, è filosofico».
D. STUBBS, Future Days. Krautrock and the Re-building of Modern Germany

traduzione a cura di Giovanni Festa

Le Berceau de cristal (1976), uno dei film di Philippe Garrel con Nico, sembra a volte una variazione scoperta e futura di Le Sang d'un Poète (Jean Cocteau, 1932), anche quando questo film surrealista appare, in un certo senso, fuori dal tempo. Le loro differenze evidenti – il colore biancastro, a volte arrossato invece del bianco e nero a basso contrasto, l'oppio scambiato con l'hashish e l'eroina (fuori campo), la musicalità torbida e brulicante dovuta ai sintetizzatori di Ash Ra Tempel contro la scintillante musica orchestrale dell'egregio Georges Auric, etc. – non sono rilevanti quanto quello sguardo nell'oscurità. Perché un'atmosfera malsana circonda i poeti maledetti davanti e dietro la macchina da presa. Si manifesta in quelle abitazioni chiuse, in quegli interni stantii, in quelle scene enigmatiche e sperimentali di crimine o noia, in attesa delle muse, della droga e dell'avventura. Le medesime azioni si svolgono negli attici, nelle camere d'albergo, su entrambi i lati dello specchio. Forse c'è anche una debole, segreta reminiscenza tra l'attrice in lutto e la versione contemporanea di Herzog-Kinski del vampiro che era stato immortalato in uno degli anni della peste: Nosferatu come parossismo della bohème.

Ancora una volta il fantasma dell'avanguardia lascerà le catacombe dopo essere stato invocato, in quegli anni, nella Germania occidentale. Le sue incarnazioni passate, tracce folgoranti nella pattumiera della storia, mostravano che il cadavere dichiarato non aveva lasciato completamente questo mondo. Cocteau, come altri artisti della sua stirpe – in particolare la fatalità dell'Arte chiamata Duchamp – potrebbe senza dubbio essere investito dello status di contemporaneo attraverso il suo legame con il prematuro (Agamben, 2014). Tuttavia, la periodizzazione storica vincola la filmografia di questo poeta-cineasta al cinema classico, situando i suoi ultimi film alle soglie della modernità (Le Testament d'Orphée, 1960). Nico, al contrario, agisce più in là, cicatrice interiore, legame con il presente, con il cinema moderno perduto, pre e post Krautrock.

Espatriata, esegue un falso movimento tra Germania, Italia, Francia e Stati Uniti. Alla maniera dello straniero, alla fine inassimilabile, la Venere Bionda, la femme fatale sempre sta per arrivare (Nancy, 2007) attraverso la qualità vernacolare del suo accento, il tono caratteristico della sua voce europea e la bellezza caucasica e ingannevolmente statuaria della sua presenza nordica. Per alcuni anni cambierà nome; quando per cantare adotterà l'originale Christa Päffgen sarà diventata un freak. Si lascerà dietro i suoi ruoli più o meno importanti nel cinema francese e italiano del dopoguerra, i lavori di modella in diverse metropoli, il cinema underground e la musica nell'orbita di The Factory, i suoi film post nouvelle vague. Tutto tranne il continuum oppioide che segnerà la sua caduta in una spirale discendente di dipendenza. Warhol, agente fondamentale degli anni Nico, alludeva a tutti quei «All tomorrow parties» di New York, la cui colonna sonora avrebbe costituito l'influente album The Velvet Underground & Nico (e Chelsea Girl, sempre del 1967), irradiando di celebrità la cantante. (Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, l'opera del magnate artistico indissolubilmente legata all'elettricità e all'elettronica, non sarà troppo lontana dal krautrock, e analogamente vicina al concettualismo di Fluxus, John Cage o Karlheinz Stockhausen).

«Il fantasma dell'avanguardia appartiene alla comunità di coloro che non hanno comunità» (Tabarovsky, 2018, p. 22). Nico è un anello solo apparentemente mancante nel fenomeno, appena posteriore, di disgregazione tipico di alcuni avanguardisti orfani di ogni movimento. Qualcosa che critici e storici noteranno, a posteriori, nei principali cineasti e band della Germania della ricostruzione. Anche se ci fu un primo recital a Unna alla fine degli anni '70 dove suonarono i Can, qualche incipiente Neu! e i Kraftwerk o il Manifesto di Oberhausen del nuovo cinema tedesco all'inizio degli anni Sessanta, innegabilmente i “Festival di Essen” (in senso metaforico) come le “stanze 666” non saranno che fenomeni sporadici. D'altra parte, la categoria krautrock sarà rifiutata da quasi tutti coloro che designava; in questo senso, i musicisti, le band ed i registi tedeschi attraverso i qual l'epoca viene pensata, la attraverseranno “monologando”, congiurando brillantemente e / o selvaggiamente. L'esaustivo studio di David Stubbs rivela, tuttavia, numerosi vasi comunicanti all'interno della vivace scena musicale, caratterizzata, in ogni caso, dalla simultaneità e dalla distanza (2015, p. 14). Molte delle band che negli anni '60 / '70 trovarono il suono del futuro creando la nuova musica tedesca, edificheranno (nel loro rifiuto praticamente assoluto della tradizione anglo-americana rappresentata dal beat e dal jazz) un luogo fondamentale per l'«“Ur-rock” dei Velvet Underground» (Stubbs, 2015, p. 124). Nico è stata un punto di riferimento fondamentale per molti musicisti (non cantanti) che in quegli anni uniformavano il canone krautrock e per quelli che arriveranno dopo, influenzati da loro.

Il riconoscimento internazionale del krautrock – in Francia e nel Regno Unito molto prima che in Germania – è legato alla musica contemplativa che il gruppo berlinese Ash Ra Tempel ha realizzato per il film Garrel di cui sopra. L'esperienza radicale di questo cineasta francese, segnata dal Maggio '68, la psichedelia e la sperimentazione estetica trovò numerosi punti di contatto con quella dei giovani tedeschi dell'epoca; la sua appartenenza al cinema moderno collega l'autore a registi originali come Wenders o Fassbinder. Ma in uno dei suoi film precedenti con Nico le affinità elettive e il clima d'epoca sono superati da qualcos'altro. Se in Le Berceau de cristal le figure del bohémien e del drogato venivano rappresentate in una vita comune oscura e immobile, nella componente materica de La cicatrice intérieure (1972) – l'immensità incandescente (o glaciale) dello spazio, la comunicazione degli elementi, il deserto come epifania e vagabondaggio – si scopre una relazione con Fata Morgana (Herzog, 1971). In modo simile all'equazione di questo film «come traduzione in celluloide di un'esperienza “krautrock”» (Ivi, p. 354), uno dei sensi forti della musica di Popol Vuh appare nel misterico lungometraggio di Garrel: l'antico, il primitivo. Su questo aspetto, Henri Langlois ha scritto: «è l'umanità, l'intera terra che parla – la terra nell'antico senso di madre. Ma non è nemmeno la terra che parla, è l'humus» (Azoury, 2004, s.p.).

La colonna sonora composta ed eseguita da Nico ha un certo parallelismo con le ricerche contemporanee della musica tedesca. È una nuova fase, lo sviluppo di qualcosa che già si stava abbozzando, ma si è poi attenuata nel periodo nordamericano della cantante. La sua voce ora mostra un potere immenso che la proietta come suono puro, come una vibrazione profonda che si (con)fonde con l'harmonium, le note risuonano e salgono amplificate a causa dell'accidentato paesaggio. Tali territori ascetici propongono diluizioni di confine, dissolvenze, scambi basati sulla «dicotomia tra spazio interno e spazio esterno» (Stubbs, 2015, p. 315) tipica della variante komische del krautrock.

In Il cosmo come cinema, Alexander Kluge fa riferimento alla storia universale come alla totalità delle immagini in movimento proiettate nello spazio. Di fronte a diversi scenari, Kluge elenca improbabili soluzioni immaginarie che ci permetterebbero di osservare eventi storici che viaggiano criptati nella luce riflessa al di fuori della Terra. Le condizioni atmosferiche tipiche delle riprese all'aperto di Fata Morgana e La cicatrice intérieure, hanno forse reso possibile che frammenti tagliati di immagini di Nico, Garrel o Herzog raggiungessero lo spazio alla velocità della luce, librandosi così dalla conservazione dell’abisso. Giorgio Agamben è stato colui che ha scritto dei contemporanei come di coloro che non solo arrivano prima o dopo il loro tempo, ma anche che sono sporadici perché sanno «percepire in quell'oscurità una luce che, diretta verso di noi, si allontana da noi infinitamente» (2014, p. 23).



Testi citati (in spagnolo)

G. Agamben, ¿Qué es lo contemporáneo?. Desnudez. Trad. Cristina Sardoy. Ciudad Autónoma de Buenos Aires: Adriana Hidalgo Editora, 2014. 17-29.
P. Azoury, L’enfant secret de la modernité, programa de La Cinémathèque française, 2004. Trad. Javier Oliva. Recuperado de https://www.cineinfinito.org/cineinfinito-51-philippe-garrel/.
A. Kluge, El cosmos como cine. 120 historias del cine. Trad. Nicolás Gelormini. Buenos Aires: Caja Negra, 2010. 50-53.
J.L. Nancy, El intruso. Trad. Margarita Martínez. Buenos Aires: Amorrortu, 2007.
D. Stubbs, Future Days. El krautrock y la construcción de la Alemania moderna. Trad. Tadeo Lima. Ciudad Autónoma de Buenos Aires: Caja Negra, 2015.
D. Tabarovsky, Fantasma de la vanguardia. Ciudad Autónoma de Buenos Aires: Mardulce, 2018. 9-31.

 

Nico: más temprano o más tarde, en la oscuridad 

por Rodrigo Sebastián



«Si no hay un vínculo sonoro hay un vínculo estético,
es decir que cuando el vínculo no es formal, es filosófico»

D. STUBBS, Future Days. El krautrock y la construcción de la Alemania moderna



Le Berceau de cristal (1976), uno de los films de Philippe Garrel con Nico, parece por momentos una variación desvelada y futura de Le Sang d'un Poète (Jean Cocteau, 1932), aun cuando esta película surrealista esté en cierto sentido fuera del tiempo. Sus diferencias evidentes −el color blanquecino, a veces arrebolado en lugar del blanco y negro de bajo contraste, el opio trocado por el hachís y la heroína (fuera de campo), la musicalidad lóbrega y pululante debida a los sintetizadores de Ash Ra Tempel contra la centelleante música para orquesta del egregio Georges Auric, etc.− no son tan relevantes como su mirada a la oscuridad. Pues una semejante atmósfera malsana rodea a los poetas malditos delante y detrás de cámara. Se manifiesta en esas habitaciones cerradas, interiores viciados, enigmáticos, experimentales escenarios del crimen o del tedio, a la espera de las musas, la droga y la aventura. Idénticas acciones tienen lugar en las buhardillas, en los cuartos de hotel, a ambos lados del espejo. Quizás también exista una débil, secreta reminiscencia entre la doliente actriz y la versión coetánea de Herzog-Kinski del vampiro que había sido inmortalizado en uno de los años de la peste: Nosferatu como paroxismo de la bohemia. 

Aun otra vez el fantasma de la vanguardia abandonará las catacumbas al ser invocado en Alemania Occidental por esos años. Sus encarnaciones pasadas, trazas fulgurantes en el basurero de la historia, mostraban que el declarado cadáver no había abandonado este mundo por completo. Cocteau, al igual que otros artistas de su laya −muy especialmente la fatalidad del Arte llamada Duchamp− podría ser sin duda investido con la condición de contemporáneo de acuerdo con su ligazón con lo intempestivo (Agamben, 2014). No obstante, la periodización histórica constriñe la filmografía de este poeta cineasta al cine clásico, situando sus últimas películas en el umbral de la modernidad (Le Testament d'Orphée, 1960). Nico, al contrario, actúa más acá, cicatriz interior, enlace con el presente, con el cine moderno perdido, pre y post krautrock. 

Expatriada, ejecuta un movimiento falso entre Alemania, Italia, Francia y Estados Unidos. A la manera del extranjero, finalmente inasimilable, la venus rubia, la femme fatale siempre está llegando (Nancy, 2007) por medio de la cualidad vernácula de su acento, del característico tono de su voz europea y de la beldad caucásica y engañosamente estatuaria de su presencia nórdica. Durante algunos años cambiará de nombre; cuando para cantar adopte el Christa Päffgen original se habrá vuelto una freak. Entonces quedaran tras de sí sus papeles más o menos importantes en el cine francés e italiano de posguerra, los trabajos de modelo en diferentes metrópolis, el cine y la música underground en la órbita de The Factory, sus films post nouvelle vague. Todo excepto el continuo opiáceo que marcará su arrojo en una espiral descendente de adicción. Warhol, agente fundamental de los años Nico, aludió a todas esas “All tomorrow parties” neoyorquinas, cuya banda sonora conformaría el influyente disco The Velvet Underground & Nico (como Chelsea Girl, también de 1967), irradiando de celebridad a la cantante. (Al contrario de lo que podría parecer, la obra del magnate artístico, indisolublemente ligada a la electricidad y a la electrónica, no estará demasiado lejos del krautrock, próximo por igual al conceptualismo de Fluxus, John Cage o Karlheinz Stockhausen). 

«El fantasma de la vanguardia pertenece a la comunidad de los que no tienen comunidad» (Tabarovsky, 2018, p. 22). Nico es un eslabón solo en apariencia perdido en el apenas posterior fenómeno de disgregación propio de unos vanguardistas huérfanos de todo movimiento. Algo que críticos e historiadores advertirían, pasados los hechos, en los principales cineastas y bandas de la Alemania de la reconstrucción. Incluso si hubo un primer recital en Unna a fines de 1970 en el que tocaron Can, y unos incipientes Neu! y Kraftwerk o el Manifiesto de Oberhausen para el Nuevo Cine Alemán a comienzos de los sesenta, innegablemente los “Festivales de Essen” (en un sentido metafórico) como las “habitaciones 666” no serán más que esporádicos. Por otra parte, la categoría de krautrock sería rechazada por casi todos aquellos a quienes designaría; en este sentido los músicos, bandas y directores de cine alemanes a través de los cuales se piensa la época, pasarán por ella “monologando”, ejecutando genial o/y salvajemente. El estudio exhaustivo de David Stubbs revela, sin embargo, numerosos vasos comunicantes al interior de la bullente escena musical, signada, de todas maneras, por la simultaneidad y la distancia (2015, p. 14). Muchas de las bandas que en los (60/70 dieron con el sonido del futuro mientras creaban la nueva música alemana −otorgaron en su rechazo prácticamente absoluto de la tradición angloamericana representada por el beat y el jazz− un lugar fundamental al «“Ur-rock” de la Velvet Underground» (Stubbs, 2015, p. 124). Nico fue por su parte una referencia clave de numerosos músicos (no cantantes) que por esos años conformaron el canon del krautrock y para los que vinieron después, influenciados por aquellos. 

El reconocimiento internacional del krautrock en Francia y el Reino Unido mucho antes que en Alemania− tiene relación con la música contemplativa que el grupo berlinés Ash Ra Tempel hizo para la película de Garrel antes mencionada. La experiencia radical de este cineasta francés, marcada por Mayo del 68, la psicodelia y la experimentación estética encuentra asimismo numerosos puntos de contacto con la de los jóvenes alemanes de entonces; su pertenencia al cine moderno vincula al autor a cineastas tan originales como Wenders o Fassbinder. Pero en uno de sus films anteriores con Nico, las afinidades electivas y el clima de época son excedidas por otra cosa. Si en Le Berceau de cristal las figuras de la bohemia y el yonqui podían representarse en una vida comunal oscura e inmóvil, en el componente matérico de La cicatrice intérieure (1972) −la inmensidad incandescente (o glacial) del espacio, la comunicación de los elementos, el desierto como epifanía y errancia− hay una relación con Fata Morgana (Herzog, 1971). De manera similar a la equiparación de este film «como la traducción al celuloide de una experiencia “krautrock”» (Ivi, p. 354), uno de los sentidos fuertes de la música de Popol Vuh aparece en el mistérico largometraje de Garrel: lo antiguo, lo primitivo. Sobre este aspecto, Henri Langlois escribió: «es la humanidad, la tierra entera la que habla –la tierra en el sentido antiguo de madre. Pero ni siquiera es la tierra la que habla, es el humus» (Azoury, 2004, s. p.). La banda sonora compuesta e interpretada por Nico presenta cierto paralelismo con respecto a las búsquedas contemporáneas de la música alemana. Se trata de una fase nueva, del desarrollo de algo que ya se vislumbraba, pero fue atenuado en el periodo norteamericano de la cantante. Su voz despliega ahora una inmensa potencia que la proyecta como sonido puro, como honda vibración que se (con)funde con el armonio, las notas resuenan y se elevan amplificadas por el accidentado paisaje. 

Tales territorios ascéticos propician diluciones de fronteras, desvanecimientos, intercambios con base en la «dicotomía entre espacio interior y espacio exterior» (Stubbs, 2015, p. 315) propia de la variante komische del krautrock. 

En El cosmos como cine, Alexander Kluge refiere a la historia universal como la totalidad de las imágenes en movimiento proyectadas al espacio. Ante diferentes escenarios, Kluge lista improbables soluciones imaginarias que permitirían observar acontecimientos históricos que viajan cifrados en la luz reflejada fuera de la Tierra. Las condiciones atmosféricas propias de los rodajes a cielo abierto de Fata Morgana y de La cicatrice intérieure, quizás posibilitaran que fragmentos cortados de imágenes de Nico, de Garrel o de Herzog alcanzaran el espacio a la velocidad de la luz, librándose así a la conservación del abismo. Giorgio Agamben fue quien escribió acerca de los contemporáneos no solo que llegan antes o después de su tiempo, sino también que son raros porque son capaces de «percibir en esa oscuridad, una luz que, dirigida hacia nosotros, se nos aleja infinitamente» (2014, p. 23).  

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