(Traduzione: Giovanni Festa)

La storia del cinema mostra da sempre l'utilizzo degli animali nei film. Dai famosi cavalli di Eadweard Muybridge allo sconosciuto cane protagonista di Adiós al lenguaje (Godard, 2014), un grande bestiario di specie diverse vive fantasmagoricamente nella terra delle ombre; l'asino di Bresson, gli uccelli di Hitchcock o i gatti di Varda e Marker, tra tanti altri casi, esistono attraverso il cinema, da esso imbalsamati. Sarebbe impossibile calcolare il numero approssimativo di animali usati nel solo cinema di Hollywood. Spiccano, in questa vastissima produzione, alcune commedie con animali assai note la cui abilità filmica resterà ineguagliata: A Dog's Life (1918) e The Circus (1928), di Charlie Chaplin; The Cameraman (1928), di Buster Keaton; Bringing Up Baby (1938) e Monkey Business (1952), di Howard Hawks. Oltre ad essere opere di poeti della comicità, hanno in comune un certo meccanismo comico legato a un motivo propriamente baziniano: l'incontro reale tra la bestia e l'umano.

Alcuni dei più grandi momenti comici di queste opere coincidono, nella loro forma, con le idee di André Bazin sull'unità spaziale del cinema, indipendentemente dal fatto che queste commedie ineffabili fossero o meno oggetto diretto degli scritti del critico francese (che sosteneva di non condividere l'entusiasmo incondizionato dei "giovani turchi" per Hawks e si riferí anodinamente a Monkey Business); qualcosa di simile accadrà con altre opere che appariranno dopo la morte (nel 1958) del co-fondatore dei Cahiers du cinéma. In questo senso, le analisi di Bazin su come alcuni animali furono filmati e rappresentati nella loro interazione con persone nei film documentari (di avventura) e nelle finzioni (favole) includono anche l'estetica della peggiore e miglior commedia animale del secolo scorso. La crisi di questa linea genealogica della commedia, di cui non esistono molti esponenti, comporterà la fine del regime estetico concettualizzato nei testi critici di Bazin, sovvertito dall'arrivo del cinema contemporaneo: in una nuova confluenza del comico con gli animali nel cinema e una forma di relazione audiovisiva completamente differente tra l'animale e l'umano. Rabbits (2002) e What Did Jack Do (2017), di David Lynch, sono due esempi perfetti di questa estetica contemporanea. Si tratta di un cinema digitale, che non è governato dal concetto di ontologia dell'immagine cinematografica:

La visione baziniana del cinema - inseparabilmente legata al cinema come punto di vista - affronta oggi uno stato del cinema in cui l'immagine non è più necessariamente estratta come campione del reale. L'immagine elettronica ignora l'argento vivo. È in questi termini che, per la via dell'assurdo, Bazin resta attuale. (Serge Daney, André Bazin).

Si tratterà quindi di tornare a Bazin attraverso l'assurdo, mano nella mano con eccelsi commedianti. Lo stesso critico, un grande umorista che amava gli animali e ne scriveva (a volte in modo divertente), apre le porte a questa deriva.   Il meccanismo che governa le azioni comiche che ci interessano - il motivo dell'interazione tra la bestia e la persona - e che rende baziniane (anche se indirettamente o in maniera non intenzionale) certe commedie straordinarie del secolo scorso, non va ricercato nei testi che Bazin ha dedicato specificamente al cinema comico (tra gli altri il suo libro su Chaplin, che considerava uno dei grandi cineasti), ma in alcuni testi di Che cos’é il cinema?, soprattutto in Montaggio proibito:

Quando André Bazin si interroga sul cinema, di solito trova le sue risposte in film marginali. Documentari, reportage, film "poetici" o "dal vivo" gli consentono di formulare con chiarezza una legge per lui fondamentale: ogni volta che è possibile racchiudere elementi eterogenei nella stessa cornice, il montaggio è proibito. In questo senso, vedremo che l'essenza del cinema si converte in una storia di animali. (Serge Daney, Lo schermo fantasmatico, “Bazin e gli animali”).

Il noto articolo inizia con alcuni paragrafi dedicati al cinema e alla letteratura per ragazzi che presentano i film di Albert Lamorisse per il pubblico infantile (chi ha visto Le ballon rouge da bambino sarà d'accordo con tale classificazione). Il detto criptato nel titolo Montaggio proibito emerge dall'analisi che il critico fa dei cortometraggi di Lamorisse e di un film brutto e dimenticato di Jean Tourane - la cui aspirazione era «imitare Walt Disney usando animali veri» -. D'altra parte, Bazin mette in luce il «film di finzione tendente alla favola» di Lamorisse, il cui cinema definisce anche come "poesia":

Quanto a Il palloncino rosso, invece, faccio notare e voglio dimostrare che non deve e non può dovere nulla al montaggio. Il che è paradossale, considerando che lo zoomorfismo attribuito all'oggetto è ancora più immaginario dell'antropomorfismo degli animali. Il palloncino rosso di Lamorisse, ha effettivamente realizzato i movimenti che gli vediamo fare davanti alla telecamera. È chiaro che questo è un trucco, ma che non deve nulla al cinema in quanto tale. L'illusione nasce qui, come in un gioco di prestigio, dalla realtà. È qualcosa di concreto che non risulta dalle estensioni virtuali del montaggio. (Bazin, Montaggio proibito).

Bazin fa una distinzione tra i cortometraggi di Lamorisse – in cui la favola è supportata dall'unità spaziale delle azioni e dalla loro realtà pre-filmica (il pallone segue efficacemente il bambino come un cucciolo) – e Une fée ... pas comme les autres (Tourane, 1957), basato esclusivamente sul montaggio, principalmente sull'effetto Kuleshov. Giustamente viene criticata proprio la volgare antropomorfizzazione in cui incorre questa rappresentazione del regno animale secondo una forma laboriosa e paesana di vita (gli animali esercitano mestieri, ecc.). Bazin fa una descrizione in se stessa comica della forma del film (il senso dell'umorismo del critico):

Perché è molto importante notare che gli animali di Tourane non sono stati addestrati ma solo addomesticati. E praticamente non fanno mai le cose che gli vediamo fare (quando questo accade, è un trucco: una mano fuori dal quadro dirige un animale o si tratta di finte zampe mosse come marionette). Tutto l'ingegno e il talento di Tourane consiste nel far rimanere gli animali pressoché immobili per tutta la durata dell'inquadratura nel luogo in cui li ha piazzati; la decorazione, la disposizione e il commento sono sufficienti per dare alla postura dell'animale un significato umano che l'illusione del montaggio specifica e amplifica in modo così considerevole che a volte lo crea quasi completamente. Viene costruita, così,  un'intera storia con numerosi personaggi e relazioni complesse (così complesse che la sceneggiatura è spesso confusa), dotati di caratteristiche variegate, con i protagonisti che spesso non devono fare altro che mantenere la calma nel dentro l’inquadratura. L'azione apparente e il significato che il film acquisisce non sono praticamente mai pre-esistiti al film, nemmeno come frammenti di scena, cioè nell'unità minima del piano. (Bazin, Montaggio proibito).

Non sono assai lontane da questi trucchi le pedestri "all-barkie" Dogville comedies della MGM, dei primi anni '30. In uno di questi cortometraggi di cast puramente canini (Bow-Wow Inn Dancing Review, diretto da Jules White e Zion Myers), diversi cani, travestiti da persone sono costretti a posare come burattini che fingono di ballare, cantare o suonare della musica per il divertimento degli spettatori. Sono opere fallimentari in termini cinematografici, in linea di principio perché riducono il cinema a pochi trucchi banali. Prodotti della sperimentazione hollywoodiana della fine degli anni '20 e l'inizio degli anni '30, alcuni dei quali parodiavano film precedenti – per esempio, The College (1927) di Keaton; tali opere non godono certo della grazia secolare di altre commedie. Questo ci porta direttamente al cuore del comico: la risata. Nel pensiero di Stendhal, il comico è ciò che fa ridere la gente con una risata folle ed è il prodotto di una folle immaginazione. Casualmente, nel suo finale, Montaggio proibito passa dalla favola animale alla commedia con una menzione al lavoro di Chaplin. Nel momento critico, il comico si farà beffe del pericolo (insieme alla domanda su come filmarlo) che stare nella gabbia del leone comporta:

Alcune situazioni esistono cinematograficamente solo quando viene messa in luce la loro unità spaziale, in maniera particolare situazioni comiche basate sui rapporti dell'uomo con gli oggetti. In questi casi, come ne Il Palloncino rosso, sono quindi consentiti tutti i trucchi, ma non le comodità del montaggio. I burlesque primitivi (soprattutto Keaton) ed i film di Charlot sono, in questo senso, pieni di insegnamenti. Se il genere burlesque ha trionfato prima di Griffith e del montaggio, è perché la maggior parte delle gag mostrava una comicità dello spazio, del rapporto dell'uomo con gli oggetti e il mondo esterno. Chaplin in The Circus è infatti nella gabbia del leone e i due sono chiusi insieme nella cornice dello schermo. (Bazin, Montaggio proibito, in Che cos'è il cinema?)

Ovviamente queste riflessioni di Bazin devono più al Henri Bergson di Materia e Memoria che a quello de Il riso, poiché non si tratta più di teatro ma di cinema. In questo senso, il critico considererebbe la formidabile scena di Chaplin nella gabbia del leone come un momento propriamente cinematografico (irriproducibile in altre arti o rappresentabile solo attraverso il montaggio). In questo punto cruciale, il motivo dell'incontro tra la persona e la bestia è polarizzato dal comico: «Molte cose ci fanno ridere quando vengono raccontate per scherzo, anche se non ci farebbero ridere nella vita reale». (Stendhal, Sul riso). La scena in cui Charlot si chiude accidentalmente nella gabbia del leone si presenta chiaramente come una complessa gag cinematografica (che include anche una tigre e un cane).

A differenza dei film criticati da Bazin, le commedie di Hawks, Keaton o Chaplin considerate non sono basate semplicemente sull'interazione tra animale e persona o sull'antropomorfismo. Ogni fase della commedia è organicamente integrata in una racconto comico e contenuto e forma coincidono pienamente: «una situazione, alcuni personaggi, un'azione strutturata, un'ultima parola, una storia» (J.-C. Carrière, Il circolo dei bugiardi). Le storie divertenti (azioni esagerate, folli, ecc.), i personaggi comici affascinanti e permanentemente inappropriati sono l'altra faccia del genio dell'improvvisazione, dell'arte della messa in scena, insieme alla bellezza del gag, la pianificazione precisa dello spazio, il senso del ritmo, le formidabili performance (di Keaton, Chaplin o Katherine Hepburn e Cary Grant). Le straordinarie scene di animali, pur contribuendo in modo significativo e generale alla narrazione, costituiscono solo una parte della spettacolare esposizione comica e narrativa di questi film.

Il circo è una catena multipla di azioni comiche che coinvolgono Chaplin con diversi animali. Le sue piccole e grandi scene di burlesque utilizzano tutti gli elementi delle attrazioni circensi: dal cavallo che rincorre Charlot dappertutto; al branco di animali totalmente fuori controllo, coinvolti nell'atto di magia il cui trucco viene continuamente svelato; le scimmiette che all'improvviso escono da una valigia come fossero pagliacci scesi da un auto; e la grande scena comica in cui Charlot cammina senza rete sulla corda tesa e le scimmie si gettano sopra di lui - strisciandogli sul corpo e mordendogli la faccia, abbassandogli i pantaloni, ecc. -. Si tratta di una scena perfetta nel suo genere: il modo in cui viene girata l'interazione tra le scimmiette e il velocissimo comico è sospeso tra il credibile e l'incredibile, creando un momento cinematografico divertente che contribuisce alla mitologia del vagabondo. Chaplin aveva filmato altre formidabili scene di animali in A Dog’s Life, quando salva il cucciolo dal branco che lo rincorrerà per la strada creando caos al suo passaggio. Oppure quando un altro cane li insegue e morde il vestito di Charlot appendendosi alla stoffa, mentre il comico cerca di scappare. O l'immagine della coda del cane che spunta dai pantaloni del comico (con il dettaglio dell’animale che scodinzolando fa suonare lo strumento a percussione).

Da parte sua, Bringing Up Baby mette in scena una serie di situazioni assurde che includono non solo il leopardo addomesticato che dà il nome al film, ma anche un secondo leopardo (questa volta selvaggio), un cucciolo di cane e i personaggi di Katherine Hepburne e Cary Grant. Le azioni dei protagonisti sono sempre comiche secondo i codici della screwball comedy, con situazioni al limite dell'inverosimile: i felini sciolti, il grosso cane che ruba l'osso del dinosauro, fanno si che i personaggi corrano sempre dietro di loro. Ancora una volta, possiamo parlare di bazinismo per riferirci a diversi momenti, ad esempio quando il cagnolino e il leopardo giocano o quando Hepburn trascina il leopardo selvaggio con una corda fino all'edificio della polizia, dove scopre di tenere con sé il leopardo sbagliato. Sono tutte scene straordinarie. Anche l'antropomorfismo è portato alla perfezione in alcune delle situazioni di questi film: le azioni del piccolo cameraman in The Cameraman, per esempio; in questo senso, la forma più perfetta dello stesso fenomeno è l'incredibile scena nel laboratorio di Monkey Business in cui lo scimpanzé apre la sua gabbia, prepara l’elisir della giovinezza e poi lo versa nel bidone d'acqua che berranno gli scienziati.

Bringing-Up-Baby

Perfezione della messa in scena hawksiana, tanto citata dagli adepti della politique des auters, nella sincronia del movimento dell'animale e della macchina da presa, filmando sempre da un punto di vista privilegiato la metamorfosi che avviene davanti agli occhi degli spettatori nel momento in cui lo scimpanzé apre la gabbia, oscilla usando lo stipite della porta e si lancia sulla sedia, accomodandosi al tavolo da lavoro del farmacista. L'animale addestrato compie alcune azioni straordinarie che vengono filmate bazinianamente, senza tagli. Lo spettacolo è così perfetto che, in apparenza, tende a incorporare l'animale. E nello stesso tempo è così strano che alcuni istanti dell'azione dello scimpanzé fanno pensare allucinatamente alla figura dell'automa descritta da Walter Benjamin nelle sua Tesi sul concetto di storia: un nano, maestro di scacchi, si nasconde dentro la figura del turco con il narghilè, in modo tale da non venire mai scoperto. Succede che i magnifici animali che compaiono in questi film sembrano strani (come la pantera in Cat People di Jacques Tourneur) in termini di morfologia ed etologia: la loro fisionomia è l'opacità nella quale si leggono somiglianze e differenze con l'umano (soprattutto nel caso di alcuni primati).

I comici che ci interessano sono capaci di evocare e di congiurare il potere dell'animale nella loro stessa arte. Risolvono brillantemente un'impresa doppiamente difficile, poiché devono filmare le azioni dell'animale in maniera  tale che possa contribuire attivamente alla rappresentazione comica. Nello stesso modo in cui ogni traccia del comportamento dell'animale che evidenzia il dispositivo della rappresentazione cinematografica è stata abilmente cancellata secondo le convenzioni della trasparenza, la tensione tra improvvisazione e progettazione in questi film scompare nella perfezione della forma: «Cominciare come lui, all'improvviso, con la sua maschera da clown, con quell'arte di prevedere ogni dettaglio e nello stesso tempo farlo sembrare improvvisato» (Gilles Deleuze e Claire Parnet, Dialoghi). Infine, il motivo baziniano a cui si fa riferimento può essere considerato come una serie di temi letterari o come incidenti cinematografici (come scrive Serge Daney).

La parte degli incidenti di ripresa evoca risonanze baziniane in termini di ontologia cinematografica, ma questa non è più esclusivamente legata alle questioni del pericolo e della morte. I termini della proposizione sono invertiti: ora importa come è il comico nella realtà e non come appare la realtà nel comico. Gli animali esotici e pericolosi scompaiono lasciando il posto ad animali domestici (sulla scia del ricorrente gag con i cani, in Chaplin, Hitchcock, Jerry Lewis, la screwball comedy, ecc.) La forma più diffusa del motivo dell'animale polarizzato dal comico più diffusa è costituito dalle graziose fotografie di animali durante le riprese: come quelle dell'affollata audizione durante la quale centocinquantadue gatti neri (portati al guinzaglio, in borse, dai loro padroni) furono presentati per ottenere un ruolo nell'adattamento cinematografico di Poe Tales of Terror (Roger Corman, 1962): «Gli animali degli abissi diventano figure di carte da gioco senza spessore» (Deleuze, Lewis Carroll).

La tentazione e il rischio di incorporare tali materiali nella commedia sono evidenti. È il caso di Film (Alan Schneider, 1963). Il regista sapeva bene di non poter modificare o aggiungere nulla all'unica opera scritta per il cinema da Samuel Beckett, anche se pensava, ad esempio, che le smorfie che Buster Keaton, protagonista del film, faceva agli animali erano «più divertenti del materiale comico incluso nel film» (Schneider, Sulle riprese di Film). Keaton, cercò di apportare idee per nuove scene in un’opera che non solo trovava noiosa, ma che nemmeno capiva. All'inizio il grande regista e attore apprezzava, della sceneggiatura, solo il gag (squisitamente baziniano) che consisteva nello scacciare il gatto e il cucciolo dalla stanza, dove sarebbero rientrati successivamente: un passaggio comico che è di per sé una piccola trovata geniale e che era stata progettata con grande precisione dall'autore irlandese. Schneider ha scritto di sé che rideva e piangeva perché durante le riprese di questa gag, il comico lanciò il chihuahua troppo presto con il risultato che il cane cominciò a comportarsi in modo insicuro: il regista finì per lamentarsi del fatto di non avere comparse o “doppi” animali. In definitiva, si tratta di tutto ciò che funziona male e che nella commedia rivaleggia con «l'atmosfera comica e irreale» del film che Beckett segnala nelle note di lavoro.

Love Is a Strange Thing (Tracey Emin, 2000) incarna il motivo baziniano nella sua forma comica definitiva sia perché lo riduce alle sue componenti fondamentali, sia perché sembra un gag basato proprio su di esso (la sua brevità è simile a quella del formato del motto di spirito). La voce fuori campo del video (il testo) racconta un sogno fatto dall'artista britannica, dove incontra un cane con il quale inizia a interagire:

Mentre mi avvicinavo al ponte, lo vidi seduto lì.

All'improvviso mi disse: "Molto bene Trace", con voce assai profonda.

Che? Che strano, mi sta parlando un cane! E disse di nuovo: "Molto bene Trace. Che ne pensi se lo facciamo?

"Se facciamo cosa?"

"Ti piacerebbe scopare?"

"Ehm ... cosa?"

"Questo, se vuoi scopare".

"Mmm ... Scusa ma ...".

"Cosa c'è che non va? Non ti piaccio? Non mi trovi attraente? "

"No, non è quello, è solo che ... beh ... sei un cane".

Sembrava ferito. I suoi occhi grandi e tristi. Sembrava ferito. E quando ricominciai a camminare, mi guardò e mi disse: “Tracey, Tracey, proprio tu. Non avrei mai immaginato che fossi così prevenuta”.

L'ironia dell'autoritratto e la nitidezza della narrazione in prima persona sono raddoppiate dal pessimismo comico con cui l'artista fa riferimento alle condizioni di realizzazione del suo video e al fatto di filmare con l'animale:

Ho dovuto usare un bull mastiff, un cane che faceva paura. Sono andata a una scuola di teatro per cani, ma quello che mi piaceva, un pastore tedesco che era capace di sorridere, aveva subito una piccola operazione, si era rasato un po’ il pelo ed era assai timido davanti alla macchina da presa. Quindi l’unico cane disponibile era quel bull mastiff, che ha mantenuto una erezione per tutto il film. E si muoveva e sbavava, cosa che mi imbarazzava molto. Inoltre, ho paura dei cani. Ho pensato che sarebbe stato molto bello per me fare un film con un cane, come un modo per costringermi a superare quella paura. (Tracey Emin, How it Feels)

A contropelo di Bazin, in Love Is a Strange Thing Emin immagina, scrive e (per qualsiasi motivo) non si mostra fino al finale; il pericolo non appare più sullo schermo (anche se il cane e l’artista condividono la stessa inquadratura) e il comico passa per la lingua che delira su alcune immagini. La letteratura rientra così nell'immagine comica, attraverso lo humor nero, con formidabile potere corrosivo e sebbene l'aneddoto ci riporta al regno baziniano del pre-filmico, nell'opera ci troviamo nell’ambito dell’artistico (l'audiovisivo), solo che nel mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie.

Testo originale

El difícil arte de la comedia cinematográfica con animales

di Rodrigo Sebastián

La historia del cine muestra de principio a fin el uso de animales en las películas. De los celebérrimos caballos de Eadweard Muybridge al ignoto perro protagonista de Adiós al lenguaje (Godard, 2014), un gran bestiario de especies diversas vive fantasmagóricamente en el país de las sombras; el burro de Bresson, los pájaros de Hitchcock o los gatos de Varda y Marker, entre tantos otros casos, existen por el cine, embalsamados por él. Sería imposible calcular el número aproximado de animales empleados solo en el cine de Hollywood. Destaquemos de esa vastísima producción algunas notorias comedias con animales cuyas proezas fílmicas no serían igualadas al finalizar el siglo: A Dog’s Life (1918) y The Circus (1928), de Charlie Chaplin; The Cameraman (1928), de Buster Keaton; Bringing Up Baby (1938) y Monkey Business (1952), de Howard Hawks. Además de tratarse de obras realizadas por poetas cómicos, tienen en común cierto mecanismo cómico vinculado a un motivo que es propiamente baziniano: el encuentro real entre la bestia y el humano.

Algunos de los máximos momentos cómicos de estas obras coinciden en cuanto a su forma con las ideas de André Bazin acerca de la unidad espacial del cine, independientemente de que estas comedias inefables fueran o no objeto de los escritos del crítico francés (que afirmó no compartir el incondicional entusiasmo de los Jóvenes Turcos por Hawks e incluso se refirió anodinamente a Monkey Business); algo similar sucederá con otras obras que aparecerán después de la muerte (en 1958) del cofundador de Cahiers du cinéma. En este sentido, los análisis de Bazin acerca de cómo fueron filmados y representados ciertos animales en su interacción con ciertas personas en películas documentales (de aventuras) y ficciones (fábulas) comprenden también la estética de la peor y la mejor comedia con animales del siglo pasado.

La crisis de esta línea genealógica de la comedia, de la que no hay muchos exponentes, será el fin del régimen estético conceptualizado en los textos críticos de Bazin, subvertido con la llegada del cine contemporáneo: en una nueva confluencia de lo cómico con los animales en el cine y una forma audiovisual completamente diferente de relación entre lo animal y lo humano. Rabbits (2002) y What Did Jack Do (2017), de David Lynch, son dos ejemplos perfectos de esta estética contemporánea. Se trata ya de un cine digital, que no se rige por el concepto de ontología de la imagen cinematográfica: 

La visión baziniana del cine -inseparablemente ligada al cine como “toma de vista”- se enfrenta hoy a un estado del cine en que la imagen ya no es necesariamente “extraída” como muestra de lo real. La imagen electrónica ignora el azogue. Es en estos términos que, por la vía del absurdo, Bazin sigue siendo actual. (Serge Daney, “André Bazin”)

Se tratará entonces de volver a Bazin por la vía del absurdo, de la mano de excelsos comediantes. El propio crítico, gran humorista, que amaba a los animales y escribía (a veces de manera divertida) sobre ellos, abre la puerta a esa deriva. El mecanismo que rige las acciones cómicas que nos interesan -el motivo de la interacción de la fiera y la persona- y que hace que ciertas comedias extraordinarias del siglo pasado sean bazinianas (aunque sea indirectamente o de modo no intencional), no deberá buscarse en los textos que Bazin dedicó específicamente al cine cómico (entre otros su libro sobre Chaplin, a quien consideraba uno de los grandes directores), sino en algunos textos de ¿Qué es el cine?, especialmente en “Montaje prohibido”:

Cuando André Bazin se pregunta sobre el cine, suele hallar sus respuestas en films marginales. Documentales, reportajes, films “poéticos” o “en vivo” le permiten formular con nitidez una ley para él fundamental: cada vez que es posible encerrar en el mismo cuadro a elementos heterogéneos, el montaje está prohibido. En este sentido, vamos a ver que la esencia del cine se convierte en una historia de animales. (Serge Daney, “La pantalla fantasmática; Bazin y los animales”).

El conocido artículo comienza con algunos párrafos dedicados al cine y la literatura infantiles que presentan los films para público infantil de Albert Lamorisse (quien haya visto Le ballon rouge en su niñez coincidirá con tal clasificación). El dictum cifrado en el título “Montaje prohibido” surge en el análisis que el crítico hace de los cortometrajes de Lamorisse y de una película mala y olvidada de Jean Tourane -cuya aspiración era “imitar a Walt Disney utilizando animales verdaderos”-. Bazin destaca en cambio el “film de ficción que tiende a la fábula”, de Lamorisse, a cuyo cine también se refiere como “poesía”:

En cuanto a El globo rojo, por el contrario, hago notar y quiero demostrar que no debe y no puede deber nada al montaje. Lo que no deja de ser paradójico, teniendo en cuenta que el zoomorfismo atribuido al objeto es todavía más imaginario que el antropomorfismo de los animales. El globo rojo, de Lamorisse, ha realizado efectivamente ante la cámara los movimientos que le vemos realizar. Quede claro que se trata de un truco, pero que nada debe al cine en cuanto tal. La ilusión nace aquí, como en la prestidigitación, de la realidad. Es algo concreto que no resulta de los prolongamientos virtuales del montaje.” (Bazin, “Montaje prohibido”)

Bazin hace una distinción entre los cortometrajes de Lamorisse -en los que la fábula se soporta en la unidad espacial de las acciones y en su realidad prefílmica (el globo efectivamente sigue al niño como un perrito)- y Une fée... pas comme les autres (Tourane, 1957) -basado puramente en el montaje, fundamentalmente en el efecto Kuleshov-. Justamente critica la antropomorfización ramplona en la que incurre esta representación del reino animal según una hacendosa y pueblerina vida (los animales ejercen oficios, etc.). El crítico hace una descripción en sí misma cómica de la forma del film (el sentido del humor de la crítica):

Porque es muy importante hacer notar que los animales de Tourane no han sido amaestrados sino sólo domesticados. Y que prácticamente nunca realizan las cosas que se les ve hacer (cuando lo parece, es un truco: una mano fuera del cuadro dirige a animal o se trata de unas falsas patas movidas como marionetas). Todo el ingenio y el talento de Tourane consiste en hacer permanecer a los animales casi inmóviles durante la duración de la toma en el lugar donde les ha situado; el decorado, la disposición y el comentario bastan para dar a la postura del animal un sentido humano que la ilusión del montaje precisa y amplifica de manera tan considerable que llega a veces a crearlo casi totalmente. Toda una historia se construye así con numerosos personajes y complejas relaciones (tan complejas por lo demás que el guión resulta a menudo confuso), dotados de características variadas, sin que los protagonistas tengan casi nunca que hacer nada más que mantenerse tranquilos en el campo de la cámara. La acción aparente y el sentido que la película adquiere prácticamente nunca han preexistido al film, ni siquiera en cuanto fragmentos de escena, es decir, en la unidad mínima del plano. (Bazin, “Montaje prohibido”)

No están suficientemente lejos de estos artificios las pedestres “all-barkie” Dogville Comedies de la MGM de comienzos de los años treinta. En uno de estos cortometrajes de elencos puramente caninos (Bow-Wow-Inn Dancing Review, dirigido por Jules White y Zion Myers), varios perros, disfrazados como personas, son obligados a posar como fantoches que simulan –bailar, cantar y tocar música- para el divertimento de los espectadores. Se trata de obras fallidas en términos cinematográficos, en principio porque reducen el cine a unos pocos trucos triviales. Productos de la experimentación del Hollywood de fines de los años veinte y comienzos de los treinta, algunos de ellos parodian a películas anteriores -por ejemplo The College (1927), de Keaton-; estos cortometrajes ciertamente no gozan de la secular gracia de otras comedias.

Esto nos lleva directamente al centro de lo cómico: la risa. En el pensamiento de Stendhal lo cómico es lo que hace reír con una risa loca y es producto de una imaginación loca. Coincidentemente, en su final, “Montaje prohibido” pasa de la fábula de animales a la comedia con una mención de la obra de Chaplin. En el momento crítico, el cómico se burlará del peligro (junto con la pregunta acerca de cómo filmarlo) que implica estar en la jaula del león:

Algunas situaciones sólo existen cinematográficamente cuando su unidad espacial es puesta en evidencia, de manera muy particular las situaciones cómicas fundadas sobre las relaciones del hombre con los objetos. En estos casos, como en El globo rojo, todos los trucos están entonces permitidos, pero no las comodidades del montaje. Los burlescos primitivos (especialmente Keaton) y los films de Charlot están a este respecto llenos de enseñanzas. Si el género burlesco ha triunfado antes de Griffith y del montaje, es porque la mayor parte de gags ponían de manifiesto una comicidad del espacio, de la relación del hombre con los objetos y el mundo exterior. Chaplin en El circo, se halla efectivamente en la jaula del león y los dos están encerrados juntos en el encuadre de la pantalla.” (Bazin, “Montaje prohibido”, ¿Qué es el cine?, p. 80)

Evidentemente estas reflexiones de Bazin deben más al Henri Bergson de Materia y memoria que al de La risa, puesto que ya no se trata aquí del teatro sino de lo que es el cine. En este sentido el crítico ponderaría la formidable escena de Chaplin en la jaula del león como momento propiamente cinematográfico (irreproducible en otras artes ni representable únicamente por medio del montaje). En este punto crucial, el motivo del encuentro entre la persona y la fiera está polarizado por lo cómico: “Muchas cosas nos hacen reír cuando nos las cuentan en un chiste, aunque no nos harían reír en la vida real.” (Stendhal, “De la risa”). La escena en la que Charlot se encierra accidentalmente en la jaula del león claramente se nos presenta como un complejo gag cinematográfico (que asimismo incluye un tigre y un perro).

A diferencia de las películas criticadas por Bazin, las comedias de Hawks, Keaton o Chaplin consideradas no se sostienen sencillamente en la interacción del animal y la persona o en el antropomorfismo. Cada paso de comedia está orgánicamente integrado en un relato cómico: “una situación, unos personajes, una acción estructurada, una palabra final, una historia” (J.-C. Carrière, El círculo de los mentirosos). Contenido y forma coinciden plenamente en estas películas. Las divertidas historias (acciones exageradas, disparatadas, etc.), los personajes cómicos fascinantes y permanentemente inadecuados (Bergson, La risa) son la contracara del genio de la improvisación, el arte de la puesta en escena, la belleza del gag, la planificación precisa del espacio, el sentido del ritmo, las actuaciones formidables (de Keaton, Chaplin o Katherine Hepburn y Cary Grant), etc. Sus extraordinarias escenas con animales, aunque contribuyen significativamente y de manera general a la narración, solo constituyen una parte del espectacular despliegue cómico y narrativo de estas películas.

The Circus es un encadenamiento múltiple de acciones cómicas que involucran a Chaplin con diferentes animales. Sus pequeñas y grandes escenas burlescas utilizan todos los elementos del circo: desde el caballito que corre a Charlot por todo el lugar; la caterva de animales totalmente fuera de control, involucrados en el acto de magia cuyo truco es permanentemente revelado; los monitos que de manera inesperada salen del interior de una valija como si se tratara de payasos saliendo de un auto; y la gran escena cómica en la que Charlot camina sin red por la cuerda tensa y los monitos se arrojan encima suyo      -trepándose a su cuerpo y mordiendo su cara, bajando sus pantalones, etc.-. Una escena perfecta en su tipo, la manera en que esta filmada la interacción entre los monitos y el rapidísimo actor cómico se suspende entre lo creíble y lo increíble, conformando un divertido momento cinematográfico, que contribuye a la mitología del vagabundo.     

Chaplin había filmado otras escenas formidables con animales en A Dog’s Life, cuando salva al cachorro de la jauría que los correrá por las calles creando caos a su paso. Y luego cuando otro perro los persigue y muerde el traje de Charlot colgándose de la tela, mientras el cómico intenta zafarse de él. O la imagen de la cola del perro que asoma por el pantalón del cómico (con el detalle de que el perro mueve la cola y hace sonar el instrumento de percusión).

Por su parte, Bringing Up Baby pone en escena una serie de situaciones absurdas que incluyen no solo al leopardo domesticado que da nombre al film, sino a un segundo leopardo (este salvaje) a un perrito y a los personajes de Katherine Hepburne y Cary Grant. Las acciones de los protagonistas son siempre cómicas según los códigos de la screwball comedy, con situaciones en el límite de lo inverosímil: los felinos sueltos, el perro pachón que roba el hueso del dinosaurio, provocan que los personajes corran permanentemente detrás suyo. Nuevamente puede hablarse de bazinismo para referir a varios momentos, entre otros, cuando el perrito y el leopardo juegan o cuando Hepburn arrastra al leopardo salvaje con una soga hasta el edificio de la policía, donde descubre que tiene al leopardo equivocado.

Todas son escenas notables. Incluso el antropomorfismo es llevado a la perfección en algunas de las situaciones de estos films: las acciones del monito camarógrafo en The Cameraman, por ejemplo; y, en esa línea, la forma más perfecta del mismo fenómeno, es la increíble escena del laboratorio de Monkey Business en la que el chimpancé abre su jaula, prepara la fórmula de la juventud y a continuación la vierte en el bidón de agua que tomarán los científicos. Perfección de la puesta en escena hawksiana, tan mentada por los adeptos de la política de los autores, en la sincronía de movimiento del animal y la cámara, filmando siempre desde un punto de vista privilegiado la metamorfosis que ocurre ante los ojos de los espectadores en el momento en que el chimpancé abre su jaula, se balancea más allá usando la puerta y se descuelga sobre la silla, sentándose a la mesa de trabajo del químico. El amaestrado animal realiza algunas acciones extraordinarias que son filmadas bazinianamente, sin cortes. El espectáculo es tan perfecto que, en apariencia, tiende a incorporar al animal. Pero a la vez es tan raro, que algunos instantes de la acción del chimpancé hacen pensar alucinadamente en la figura del autómata que describe Walter Benjamin en sus tesis Sobre el concepto de historia -un enano, maestro ajedrecista, escondido dentro de la figura del turco con el narguile, de manera tal que jamás es descubierto-. Sucede que los magníficos animales que aparecen en estas películas nos parecen extraños (como la pantera en Cat People [Jacques Tourneur, 1942]) en lo que respecta a su morfología y etología. Su fisionomía es la opacidad en la que leemos semejanzas y diferencias con lo humano (especialmente en el caso de algunos primates).

Los comediantes que nos interesan son capaces de evocar y de conjurar la potencia del animal en su propio arte. Resuelven de manera genial su doblemente difícil empresa -puesto que deben filmar las acciones del animal de manera que contribuyan a la representación cómica-. De igual manera en que todo rastro del comportamiento del animal que evidenciara el dispositivo de la representación cinematográfica ha sido habilidosamente borrado en estos films según las convenciones de la transparencia, la tensión entre improvisación y planificación desaparece en la perfección de sus formas: “Empezar como él, de golpe, con su máscara de clown, con ese arte de tener previsto cada detalle y que sin embargo parezca improvisado.” (Gilles Deleuze y Claire Parnet, Diálogos). 

Finalmente, el motivo baziniano referido puede considerarse como una serie de temas literarios o bien como accidentes de rodaje (Serge Daney, “La pantalla fantasmática (Bazin y los animales)”). La parte accidentes de rodaje, sin duda evoca resonancias de Bazin en términos de su ontología cinematográfica, pero ésta ya no se relaciona exclusivamente con las cuestiones del peligro y de la muerte. Se invierten los términos de la proposición: importa ahora cómo está lo cómico en la realidad, no cómo está la realidad en lo cómico. Los animales exóticos y peligrosos desaparecerán dejando en su lugar a mascotas (en la línea del recurrente gag con perros, en Chaplin, Hitchcock, Jerry Lewis, la screwball comedy, etc.)

El motivo del animal polarizado por lo cómico en su forma más frecuente lo constituyen las fotografías graciosas de animales en rodajes: la concurrida audición en la que ciento cincuenta y dos gatos negros llevados con correa (dentro de bolsos, etc.) por sus dueños fueron presentados para obtener un papel en la adaptación cinematográfica de Poe Tales of terror (Roger Corman, 1962): “los animales de las profundidades se vuelven figuras de naipes sin espesor” (Deleuze, “Lewis Carroll”).

La tentación y el riesgo de incorporar tales materiales a la comedia son manifiestos. Tal es el caso de Film (Alan Schneider, 1963). El director tenía muy claro que no podía modificar ni añadir nada a la obra escrita para el cine por Samuel Beckett. Aunque estimaba que las muecas que Keaton hacía a los animales “eran más graciosas que el material incluido en el film” (Schneider, “Sobre el rodaje de Film”). El protagonista de la película, Buster Keaton, intentó aportar sugerencias de escenas nuevas para una obra que no solo consideraba aburrida, sino que ni siquiera entendía. Al principio Keaton solo apreciaba del guión el gag (baziniano, por cierto) que consistía en expulsar al gato y al perrito de la habitación, a la que reingresaban sucesivamente. Un paso de comedia que es una pequeña genialidad en sí mismo y que había sido planificado con gran precisión por el autor irlandés. Schneider escribió de sí mismo que reía y lloraba porque durante la filmación de este gag, el cómico arrojó al chihuahua demasiado pronto con la consecuencia de que el perro comenzó a comportarse de manera insegura, lamentándose por el hecho de no tener extras o dobles animales. En suma, todo lo que sucede mal y que rivaliza en comicidad con el clima “cómico e irreal de la película” descrito en las indicaciones de Beckett para su obra.

Love Is a Strange Thing (Tracey Emin, 2000) encarna el motivo baziniano en su forma cómica definitiva puesto que se reduce a sus componentes fundamentales, pero también porque parece un gag basado en aquel (su brevedad es semejante a la del formato del chiste). La voz over del video (el texto) cuenta un sueño que tuvo la artista británica en el que se encuentra con un perro con el que interactúa:

 Cuando me acercaba al puente, lo vi sentado ahí.

De repente dijo: “Muy bien Trace”, con voz muy grave.

¿Qué? ¡Qué extraño, me está hablando un perro! Me dijo: “Muy bien Trace. ¿Qué te parece si lo hacemos?”.

“¿Si hacemos qué?”.

“¿Te gustaría coger?”.

“Ejem… ¿Qué?”.

Dijo: “Eso, si querés coger”.

Dije: “Mmm… Perdón pero…”.

Dijo: “¿Qué pasa? ¿No te gusto? ¿No te parezco atractivo?”.

Dije: “No, no es eso, es que… bueno… sos un perro”.

Parecía dolido. Sus ojos grandes y tristes. Parecía herido. Y cuando seguí caminando, me miró y me dijo: “Tracey, Tracey, precisamente vos. Nunca imaginé que fueras prejuiciosa”.

La ironía del autorretrato y la mordacidad de la narración en primera persona son redoblados en el pesimismo cómico con el que la artista refiere a las condiciones de la realización de su video y al hecho de filmar con el animal:  

Tuve que usar un bull mastiff, un perro que daba mucho miedo. Fui a una escuela de teatro para perros, pero el que me gustó, un pastor alemán que podía sonreír, había tenido una pequeña operación, le habían afeitado un poco de pelo, y estaba muy tímido frente a las cámaras. Así que el único perro disponible era ese bull mastiff, que mantuvo una erección durante toda la película. Y se movía y se babeaba, algo que me avergonzaba mucho. Además, les tengo miedo a los perros. Pensé que sería muy bueno para mí filmar una película con un perro, como una forma de obligarme a vencer ese miedo. (Tracey Emin, How It Feels)

A contrapelo de Bazin, en Love Is a Strange Thing Emin imagina, escribe y (por la causa que fuere) no muestra hasta el final; el peligro ya no aparece en la pantalla (aunque el perro y la artista compartan el mismo cuadro) y lo cómico pasa por la lengua que delira sobre unas imágenes. La literatura reingresa así a la imagen cómica, a través del humor negro, con formidable potencia corrosiva y si bien la anécdota nos devuelve al reino baziniano de lo prefílmico, en la obra estamos en lo artístico (lo audiovisual), sólo que en el mundo de Alicia en el país de las maravillas.

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