1.

Nel 1950, l’anno in cui uscì Viale del tramonto, Gloria Swanson aveva 51 anni, ma Billy Wilder fece in modo che ne dimostrasse almeno cento: aveva più o meno l’età del cinema, ma la tecnica si era evoluta con tale rapidità che ogni anno si può dire contasse per due. Non era solo l’avvento del sonoro, che pure aveva avuto un ruolo fondamentale: erano cambiate le posture, i gesti, gli atteggiamenti, i generi. Il concetto stesso di Divismo si evolveva in senso “realistico”, meno caricato e teatrale, cercando di far dimenticare le sue origini melodrammatiche. Norma Desmond, dunque, ha cent’anni, almeno agli occhi dei moderni produttori (con ulcera) e dei giovani sceneggiatori ambiziosi come Joe Gillis (W. Holden), morto che parla galleggiando sull’acqua d’una piscina, con tre pallottole in corpo.


Divismo (femminile) e Melodramma formano il miscuglio inguardabile da cui nasce il Corpo Grottesco. Non a caso, non c’è nulla di grottesco in Norma Desmond quando fa l’imitazione di Charlot o evoca le bellezze al bagno di Mack Sennet, come se il Comico risentisse molto meno del passaggio del tempo. Ma c’era Buster Keaton, è vero, tra i fantasmi che giocano a carte, puntando al bridge pochi centesimi: altro corpo in decadenza, ma non grottesco. Corpo triste, semmai, della tristezza dei comici anziani.

Norma si rende grottesca in più modi, che hanno tutti a che fare con l’eccesso:
1) eccesso di gestualità. La manifestazione d’ogni emozione, specie d’amore, ma anche d’orrore e d’angoscia, non è affidata alle parole, e neppure alle didascalie, ma ai gesti delle braccia e alle espressioni sovraccariche del viso, secondo un codice di secolare tradizione teatrale;
2) eccesso di piume, gioielli, veli e ornamenti vari, magari preziosi, ma fuori moda: orpelli sovraccarici, che di per sé rendono problematica la naturalezza di qualunque abbraccio, di qualunque contatto, di qualunque vicinanza. Se fuma, per esempio, lo fa attraverso un complicato bocchino di vetro, e se va in macchina si tratta, naturalmente, d’una vecchia, mastodontica Isotta Fraschini, alla cui guida siede Max von Mayerling (E. von Stroheim), ex-regista, suo primo marito e ora maggiordomo;
3) eccesso di trattamenti estetici. Il viso di Norma Desmond non è mai così grottesco, come quando si sottopone alla tortura di cure per il ringiovanimento d’una pelle che non vuole saperne di ringiovanire. E viene da pensare come fosse una fortuna il fatto che allora non fosse ancora di moda la chirurgia estetica, a cui invece, imprudentemente, si affiderà Fedora, altra Diva wilderiana alla ricerca della giovinezza perduta.

Al limite del Corpo Grottesco si profila dunque il Corpo Mostruoso, come al limite d’ogni film si evoca la possibilità della sua involontaria parodia. Norma Desmond discenderà alla fine lo scalone del Palazzo, illuminata dai riflettori, ripresa dagli operatori della Paramount. Questi sono convinti di girare un cinegiornale d’attualità, ma sia von Mayerling, sia il cadavere che galleggia nella piscina, sanno che quello è il vero, ultimo, grande film di Norma Desmond.



2.

Non dimentichiamo che Joe Gillis si introduce nella villa di Norma Desmond e viene scambiato per l’addetto alle pompe funebri, incaricato di provvedere ai funerali della scimmia morta, alla quale l’attrice era tanto affezionata. Un altro funerale, un’altra bara, aprono A qualcuno piace caldo, ma qui la bara contiene whisky, spacciato per caffè all’epoca del proibizionismo, a Chicago. In una bara finirebbero anche Joe (T. Curtis), sassofonista, e Jerry (J. Lemmon), contrabbassista, involontari testimoni d’un regolamento di conti tra bande rivali, se non si travestissero, adattandosi a diventare donne, in partenza per la Florida con un’orchestra femminile, sotto il nome di Josephine e Daphne, con tanto di tacchi alti, parrucche, orecchini, seni finti e gonne. Ma cosa c’è, sotto le gonne?
Pensiamo a un primo mistero: perché l’inverso, una donna in pantaloni (per esempio), una donna che voglia farsi passare per un uomo, produce un effetto ben diverso? La Victoria di Julie Andrews, come quella più antica di Renate Muller, vuol farsi passare per un uomo che finge d’essere una donna, ma è una donna che finge d’essere un uomo che a sua volta finge d’essere una donna … Vertigine provvisoria, finché tutto (o quasi tutto) torna anatomicamente a posto.

Il grottesco in A qualcuno piace caldo non nasce tanto dal travestimento femminile in sé, che è un espediente comico vecchissimo, quanto dalla forzata vicinanza con veri corpi femminili, specie durante il trasferimento in treno, sulle cuccette sovrapposte. Jerry/Daphne è attratto specialmente dalla bellissima Zucchero (M. Monroe), suonatrice di ukulele, ma su di lei Joe (Josephine) prova (con successo) gli effetti d’un nuovo travestimento, spacciandosi per il miliardario Junior, proprietario della Shell e di un grosso panfilo, ancorato nella baia. Daphne, invece, fa colpo sul miliardario Osgood Fielding II (J. E. Brown), vero proprietario del panfilo, che è deciso a sposarla, malgrado lei gli riveli che è un uomo: ma non importa, dato che nessuno è perfetto.
Il grottesco nasce qui dalla rivelazione stessa della verità anatomica, cui non viene attribuita alcuna importanza. Il travestimento di Jerry era solo buffo: diventa grottesco nel momento in cui Osgood Fielding II lo accetta come normale, nell’eccesso di trasformismo carnevalesco. Bachtin insegna.

3.

Interrotto il sodalizio con Brackett, ancora con Diamond, nel 1961 Wilder ha il suo incontro con un altro re della commedia non-sofisticata, l’ungherese Ferenc Molnar. In Uno, due, tre, assistiamo alla mitragliata di espedienti mediante i quali McNamara (J. Cagney) riesce a trasformare un fanatico capellone comunista (H. Bucholz) in un rispettabile capitalista. Gli fa confezionare vestiti su misura e scarpe firmate, lo costringe a frequentare corsi accelerati di buone maniere a tavola ecc., ma il suo capolavoro è un altro. Tra gli impiegati tedeschi della fabbrica Coca-Cola a Berlino Ovest, tutti pronti a scattare ad ogni ordine del boss americano, ce ne sono due in particolare: Ingeborg (L. Pulver), la procace segretaria-amante di McNamara, e il tuttofare Schlemmer (H. Lotar), grottesco burattino, caricatura del tedesco che non si permetterebbe mai di discutere gli ordini. Grottesco? Piuttosto inquietante. Grottesco lo fa diventare McNamara, quando gli fa indossare l’abito bianco scollato a pois neri di Ingeborg, costringendolo a passare per lei in uno scambio non alla pari con tre non incorruttibili funzionari russi, durante una serata d’orgia nello squallido Hotel Potemkin: inganno presto scoperto, ma che dà comunque il tempo ai nostri eroi di varcare di nuovo la Porta di Brandeburgo, lasciando Berlino Est.

Il motto «nessuno è perfetto» non vale per i russi? Si direbbe piuttosto, pensando al lavoro di Bachtin su Rabelais, che non valga per funzionari, burocrati e sinistri rappresentanti del conformismo: quelli convinti che ogni cosa dovrebbe rimanere uguale, cioè dis-eguale. Il corpo grottesco è l’emblema dell’uguaglianza, della rivoluzione carnevalesca, della non-accettazione di ruoli prestabiliti. Il suo orizzonte è la metamorfosi, la continua trasformazione, mettere l’ordine in disordine. Forse è il caso di citare ancora, benché stranota, la celebre affermazione di Bachtin:
«Tutti venivano considerati uguali durante il carnevale. Qui, nella piazza della città, una forma speciale di contatto, libero e familiare, regnava tra le persone che di solito erano divise dalle barriere della casta, del reddito, della professione e dell'età».
Peccato solo che al carnevale venga assegnato un arco limitato di tempo o che l’assunzione d’una maschera sia legata, come accade in Wilder, a circostanze eccezionali: questioni di vita e di morte –  ma il pensiero dialogico, scontrandosi con “il volgare”, si imbatte qui, inesorabilmente, nei propri limiti.

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