Doppia (tripla, quadrupla) personalità.

Ogni attore che interpreti diversi ruoli (almeno due, ma possono essere anche di più) nello stesso film, in fondo non fa che allevare Caino, dar vita a questo doppio mostruoso dell’originariamente innocuo Carter  e ai suo altri multipli, più o meno inquietanti (il dottor Nix, Margo).

Alla base di tutto, certo, ci sono gli esperimenti perversi del dottor Nix, che da anni ha finto d’essere morto annegato e forse porta non per caso il nome di antiche divinità acquatiche germaniche (i Nix), capaci (come Proteo) di assumere forme diverse; ma la teoria di Raising Cain è stata elaborata dalla sua assistente, la dottoressa Waldheim, resasi conto, alla fine, della pericolosità di simili esperimenti, condotti sulla pelle di inconsapevoli bambini.

La dottoressa lo racconta ai poliziotti durante un vertiginoso piano-sequenza che li accompagna lungo parecchie rampe di scale e una corsa in ascensore, e nel dialogo intanto non manca l’accenno (lì per lì incomprensibile) al fatto che lei porta una parrucca. Le parrucche, i loro scambi, sono, come le maschere, tra i materiali privilegiati da De Palma, senza tuttavia arrivare all’importanza della doccia o del bagno: ogni nudo femminile, sotto la doccia, diventa come quello delle Ninfe acquatiche, creature dal corpo doppio, il cui volto appartiene a un’attrice e il corpo a una controfigura (o Double Body) – ma anche l’acqua si tramuta quasi sempre in sangue, colorandosi di rosso: le Ninfe di Brian De Palma sono sempre Ninfe insanguinate, sia che il sangue sgorghi inaspettato dal loro sesso adolescente per la prima mestruazione o  si rovesci loro addosso (sangue di maiale) per uno  scherzo crudele (ambedue le cose accadono a Carrie), oppure provenga da ferite, oppure, ancora, sia sangue finto, prodotto dal morso di un improbabile Vampiro cinematografico. E a farne le spese allora, ancora una volta, sarà una controfigura, doppio della Star.

La specifica perversione depalmiana è che gli spettatori possono vedere nella stessa scena Cain,Carter e il dottor Nix, che conversano tutti insieme sul da farsi, con la sola differenza che Cain, in quanto gemello anche esteriormente malvagio, è abbigliato e inquadrato in un certo modo, rispetto agli altri due e si esprime in modo più volgare – il che non toglie che anche Carter sia capace di uccidere o almeno sogni di farlo, per dimostrare al padre d’essere ormai capace di cavarsela da sé, senza l’aiuto di Cain.
Carter, comunque, è anche Josh, un bambino di sette anni e mezzo, che a volte è davvero (fisicamente) un bambino, a volte ha l’aspetto dello stesso Carter, limitandosi a insediarsi nella sue mente. Altre volte è un ectoplasma in bianco e nero, ripreso da una Tv a circuito chiuso, mentre coccola la sua bambina. Del resto anche sua moglie, all’inizio, è duplicata dall’immagine a colori d’un televisore a forma di cuore, all’interno del negozio di orologi.

Tutti o quasi tutti i personaggi di De Palma sono prima o poi catturati da un televisore; questo è noto, ma bisogna precisare una cosa: se è vero che l’immagine elettronica diventa il loro doppio, è altrettanto vero che sono loro, quando De Palma li inquadra “in carne e ossa”, a diventare i doppi della loro immagine. L’immagine (derivata) diventa l’origine.   
Allora ci rendiamo conto che anche le citazioni cinematografiche, da Hitchcock, Corman, Ejzentejn, Billy Wilder ecc., tante volte notate e inventariate, hanno la funzione di situare i personaggi sullo sfondo d’un dejà vu relativo a tutta la storia del cinema. E’ appunto la scrittura dello sguardo, d’uno sguardo che non rinuncia mai a dichiararsi scrittura, tramite la ripetizione e la differenza, lo split-screen, la croce fotografica, le variazioni di formato, l’iscrizione nell’inquadratura del marchio dell’occhio che guarda attraverso un dispositivo tecnologico, e attraverso una lunga storia filmica.

Le cose (corpi, storie, oggetti) con De Palma, insomma, non possono più essere guardate per la prima volta. Tanto per fare riferimento al caso più citato, siamo di fronte a un Hitcock 2 che, in quanto tale, presuppone un Hitcock 1, ma riverbera luce critica su questo e ne mette a nudo i procedimenti narrativi modificandone la percezione, come se il freddo bagliore della tessera d’un domino avesse il potere di modificare, almeno in parte, la natura della tessera a cui viene accostata.

Da Domino, per l’appunto, De Palma ha preso le distanze per varie ragioni, anche finanziarie (divergenze con i produttori danesi). Ciò non toglie che l’inseguimento sui tetti di questo film, con relativa caduta sulle cassette di frutta per rottura della grondaia, ci fa vedere in modo diverso le sequenze analoghe di Vertigo, di Caccia al ladro o di Frenzy. E’ Scottie che cade sempre due volte, ma qui non per effetto di vertigine.  Così le immagini  dei mulini ci ricordano Il prigioniero di Amsterdam e l’occhio del drone sulla Plaza de Toros ci fa venire in mente il dirigibile di Omicidio in diretta (Snake Eyes). Anche il simil-Ravel di Pino Donaggio fa venir voglia di rileggere il significato del Bolero in un film come Femme fatale, con la continua ripetizione ipnotica di due soli temi. Ma attenzione: con la sua conclusione sanguinosa di vendette incrociate, Domino si pone sulla scia di altre ossessioni depalmiane, già espresse nei suoi film sul Vietnam e sulla guerra in Iraq. Tutto però è più cupo e senza speranza. Non c’è più nessun De Niro, che in Ciao America (Greetings) invece di sparare alla guerrigliera viet-cong preferisce fotografarla.



Double Indemnity.

Era intitolato in Italia (paese cattolico) La fiamma del peccato. In Femme fatale, la bionda Laurie lo sta guardando in Tv, prima di imbarcarsi nella rischiosa impresa di sedurre la modella Veronica  e rubarle quel favoloso gioiello fatto di diamanti durante la prima del film Est Ouest al festival di Cannes: seduzione che avrà felicemente luogo, non a caso nei bagni delle donne, tra le trasparenze di cristalli fumé - ma qualcosa comunque andrà storto, interrompendo bruscamente seduzione, rapina e Bolero di Ravel.
Sarà qui il caso di ricordare Woman’s Wake (1962),  cortometraggio di laurea di De Palma, in cui uno scultore e inventore pazzo, munito di maschera grottesca, se ne va in giro appunto a bruciare coppie di amanti con la fiamma ossidrica: fiamma del peccato, nel senso che lo brucia e cancella. Il pazzo gioca a scacchi con la morte in una parodia del Settimo sigillo, e finisce poi come King Long, bersagliato dagli aerei, arrampicato su un grattacielo (finto). Dalle sue strampalate sculture di metalli e rifiuti organici, nasce la Donna, la bellezza che lo perderà.

Avrà corso invece, in Femme fatale, un sogno premonitore, ma ce ne accorgeremo solo alla fine, quando la ripetizione con variazioni si farà evidente. Il sogno conduce alla morte della protagonista, Laurie, che per sfuggire alla vendetta dei complici ha assunto l’identità della bruna Lily e ha lasciato che costei si suicidasse. Dal sogno si sveglia soltanto quasi a fine film, tanto per cambiare nella vasca da bagno, dove l’acqua sta traboccando, e allora decide di impedire a Lily di suicidarsi. Il suo destino cambia: un camion fuori controllo uccide i complici che la perseguitavano, infilzandoli nelle pale appuntite d’un furgone per la raccolta dell’immondizia; ma notiamolo: l’autista del camion perde il controllo perché abbagliato da un raggio di sole negli occhi, e il raggio di sole, che sta per essere coperto dalle nuvole, è riflesso da un gioiello di poco prezzo appeso davanti al parabrezza. I gioielli luccicano sempre, nei film di De Palma, ma il loro scintillio può essere molto pericoloso (vedi, per esempio, il diamante che luccica incorporato nel pilone di cemento in Omicidio in diretta).

Quanto al fotografo Nicolas Bardo (Banderas) la sua funzione, oltre a quella di assicurare un lieto fine sentimentale, è di testimoniare comunque l’artificio della visione, il suo ormai ineluttabile dipendere dai dispositivi tecnologici. Non esistono più immagini “innocenti”.



Double Obsession.

L’incontro tra due esponenti della New Hollywood, De Palma e Paul Schrader, avviene in occasione di Obsession (Complesso di colpa – 1976).
A Firenze, a S. Miniato al Monte, il miliardario americano Michael Courtland si imbatte nel doppio di sua moglie Elizabeth, morta anni prima assieme alla figlia, in seguito a un rapimento e a un incidente di cui Michael si attribuisce la colpa. In realtà, è la figlia (scampata all’incidente) doppio della madre. Si ha un doppio amore, così come c’era stato un doppio monumento funebre , un doppio oggetto architettonico, una doppia scenografia, S. Miniato al Monte e una tomba a (vuota) New Orleans; poi un doppio rapimento, un doppio riscatto, il tentativo di cambiare il corso d’una vicenda che sembra ripetersi identica.

Sandra Portinari ha trascinato Michael, appena conosciuto, In cima a una vecchia torre medievale, dove un tempo Beatrice, accompagnata dal padre, incontrava Dante. Sandra vorrebbe rivivere la scena, ma i tre partecipanti del ‘300 ora sono solo due. “io sono il padre?” chiede Michael. “No – risponde Sandra – tu sei Dante”: eppure Michael è andato, involontariamente, molto vicino alla verità.
Sandra recita alcuni versi dalla Vita Nova: “Voi non dovreste mai, se non per morte, / la vostra donna, ch’è morta, obliare. / Così dice ‘l mio core, e poi sopira.”, ma Michael non crede ai suoi occhi, è accecato dalla prospettiva di avere una “seconda possibilità”, le chiede di sposarlo, di partire con lui per New Orleans. Intanto non manca di fotografarla, sulla scalinata di quella chiesa doppio della tomba.

De Palma e Schrader elaborarono insieme la storia, ma sembra che Schrader non fosse d’accordo con la conclusione scelta da De Palma, basata sulla sola ripetizione degli eventi. Aveva in mente la Vita Nova e la sua struttura  triadica, con una terza parte in cui Dante traeva ispirazione dal passaggio d’un gruppo di pellegrini diretti a Roma. In effetti, nel film, Sandra sta per prendere un aereo diretto proprio a Roma, ma Nichael riesce a fermarla in tempo. Le banconote del riscatto, stavolta vere, volano fuori dalla valigetta, testimoniando un pegno d’amore – ma amore verso chi? Verso una moglie? Verso una figlia? Verso un fantasma plasmato dal desiderio?           



Allucinazioni.
Dopo l’incendio e il crollo della sala da ballo del liceo, dopo la morte di insegnanti e allievi (compresi quelli che si erano dimostrati amichevoli), dopo la morte di Carrie e di sua madre, dopo la seconda morte di Cristo,  crocifisso e bruciato … l’unica superstite è Sue, la ragazza il cui scherzo crudele, attuato con la complicità di Chris e e di Billy Nolan, ha risvegliato lo sguardo di Satana, provocando il disastro.

Sue giace a letto tormentata dal rimorso, a casa sua, assistita dalla madre, ma poi (è passato del tempo? Si è forse ripresa?) la vediamo in piedi, con un mazzo di fiori in mano, che intende collocare sotto il cartello “For Sale” che è l’unica cosa rimasta della casa di Carrie. Qualcuno lo  ha imbrattato con una scritta a vernice che a Carrie augura l’Inferno, ma sembra che Sue non se ne preoccupi. Si china per compiere il suo ufficio pietoso, quando un braccio esce di sottoterra e la ghermisce.
No, Carrie non diventa alla fine un film di morti viventi: è solo un sogno, un incubo, dal quale Sue si risveglia urlando; ma è comunque un sogno cinematografico, un incubo che evoca un preciso genere hollywoodiano. Dunque il cinema pervade ormai anche i nostri sogni, ad esso non sfuggono il sonno, l’attività onirica, il lavoro dell’inconscio – il reale stesso, direi, che rivela sempre, con De Palma, la sua natura irreale, dalle lontane origini surrealiste. Non è cinema “di genere”, ma “di sur-genere”, invasivo e totalizzante. Investe il sonno, si insinua sotto le docce e nelle vasche da bagno, dove addormentarsi è pericolosissimo  - non tanto perché si rischia di affogare, quanto perché si rischia d sognare.

In Vestito per uccidere, Bobbie, doppio femminile del dr. Elliott, uccide un’infermiera davanti a una platea di pazzi in delirio, indossa i vestiti di lei e fugge dall’ospedale psichiatrico in cui era ricoverato. Va a casa di Liz, la ragazza che lo ha fatto arrestare, e la colpisce a rasoiate mentre lei sta facendo la doccia – finché Liz si sveglia: anche questo era un sogno, ma un sogno con una lunga storia cinematografica, che passa senza dubbio per Psycho, ma si riconnette al duo Mark Robson/val Lewton. Lei è Liz, ma è anche la Jacqueline Gibson della Settima vittima, oltre che la Marion Crane di Psycho. In De Palma, certo, il delitto è solo sognato dalla presunta vittima, ma in fondo non può non esserlo, dato che il reale è pervaso  di allucinazioni (cinematografiche), indistinguibili dal reale stesso.
Cosa sfugge al dominio delle allucinazioni? E ci sono allucinazioni positive, allucinazioni buone, che smascherano le manipolazioni dei violenti e dei propalatori di menzogne? Malgrado tutto, De Palma ne è convinto. Vedere Redacted. Vedere Vittime di guerra.

Anche il soldato Eriksson, tornato dal Vietnam, è vittima di un’allucinazione, mentre sta viaggiando in metropolitana: seduta di fronte a lui c’è una ragazza nera, e questo basta a suscitare una serie di atroci visioni della guerra in Vietnam, del sergente psicopatico Meserve, d’una ragazza vietnamita stuprata e uccisa, dei tentativi per insabbiare la cosa da parte dei superiori. L’allucinazione serve qui a evocare la verità, è l’allucinazione degli onesti che smaschera, per una volta,  non solo le azioni dei violenti, ma le manipolazioni che vi intessono sopra gli opportunisti – con la forza d’una cosa obsoleta e fuori moda, come la verità. La verità è sempre la prima vittina d’una guerra, come sa il soldato Salazar in Redacted. Aspirante regista, ma senza soldi per iscriversi a una scuola di cinema, gira in Iraq video che potrebbero essergli utili quando tornerà a casa – ma non tornerà, ha un appuntamento con la morte a Samarra, proprio secondo la leggenda. E tuttavia in qualche modo i suoi video, rispetto a quelli ufficiali, documentano la verità – mostrano la verità insostenibile dell’allucinazione.   
                                  

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