muratovaDalle finestre della grande casa costruita sul palco l’attore vede una ragazza che forse aspetta qualcuno e in quel momento fiocca la neve e i fiocchi si confondono con gli spettatori mentre una porta si apre su un immenso parco di alberi spogli e di figure veloci in lontananza. Sopra e sotto le assi di legno (del teatro?) si susseguono serpentini i pedinamenti, un fuoco di fila irrappresentabile di suicidi, incesti, omicidi.




Se c’è qualcuno oggi capace di far slittare l’una nell’altra la vita delle immagini e l’immagine della vita, questa è Kira Muratova. Questo significa, come per la maggior parte dei film, che l’invisibilità non è più semplicemente data dall’endemica non uscita nelle sale (italiane), ma dalla forma del fantasma, dallo spettro di non-vita chiamato cinema. D’altra parte Muratova è incline a ricercare, e quasi a intagliare, un’accordatura nella dissonanza, che sia un breve incontro o un lungo addio (con un’ostinazione che ha equivalenti nel solo Paradzanov). Anche se poi si è costretti a verificare l’andatura truffaldina e amara di ogni nota vitale, è proprio l’ariosa sospensione che cancella anche il sonoro a custodire la dolcezza delle cose di cui non si sa il nome. Ci sono momenti della vita, dicono queste immagini, nei quali le cose avvengono mute e il mondo è familiare come il riflesso in uno specchio ed è come essere nati in un posto e basta questo a essere felici.


Da qui l’orrore. Il mercato insulso e beffardo (anch’esso chiamato cinema) che non permette di accordarsi, ma anzi si dimena e si dibatte con corrotto strepito. Certo allora, di fronte a uno sguardo che proprio dal nostro vociare insieme inane e nervoso rapisce il sogno e la nostalgia di una pur brevissima purezza, le autorità sovietiche non potevano non accusare Muratova fin dagli anni sessanta di “scarso impegno civile”: più che profetiche nell’intuire l’energia politica racchiusa in un cinema che sceglie di filmare per tutta la vita il lampo infuocato della luce che si stempera al tramonto. Da Brevi incontri fino Alla scoperta della vita fino a L’accordatore Muratova guarda alla lotta per la sopravvivenza e al parallelo sfibrarsi dell’umano, fa dell’immagine una muscolatura che con spietata leggerezza decide di esaurirsi e mancarsi.

Un piano (complotto?) astenico confermato dall’ultimo Dva v odnom (Two in One), dove subito il film strappa il sipario (come se conoscesse la formula segreta) e fa scivolare la scena fino al teatro della vita. Dalle finestre della grande casa costruita sul palco l’attore vede una ragazza che forse aspetta qualcuno e in quel momento fiocca la neve e i fiocchi si confondono con gli spettatori mentre una porta si apre su un immenso parco di alberi spogli e di figure veloci in lontananza. È come se qualcosa o qualcuno che ci teneva per mano su un nastro invisibile, lentamente e impercettibilmente si fosse sfilato altrove, abbandonandosi e abbandonandoci allo scorrimento. Sopra e sotto le assi di legno (del teatro?) si susseguono serpentini i pedinamenti, un fuoco di fila irrappresentabile di suicidi, incesti, omicidi (fa la sua comparsa nelle vesti di un guardiano assassino Alexander Bashirov, già regista dell’unico e grande Il tallone di ferro dell’oligarchia, 1998). Ancora una volta, come in tutti gli ultimi film (da Passioni in poi), Muratova si affida all’imponenza bionda di Renata Litvinova (qui per la prima volta anche co-sceneggiatrice), autentico fulcro energetico intorno a cui avviene l’impatto deflagrante che cancella ogni derivazione teatrale (fino al finale sul tram che ricorda Bariera di Skolimowski). Ma è chiaro: il cinema non rappresenta nulla e si fanno film su ciò che lo sguardo fatica a trattenere del mondo. L’immagine si intestardisce a tallonare la vita scoprendosi troppo in ritardo e troppo in anticipo (in un gioco che scopertamente e paradossalmente avvicina Muratova a Straub-Huillet). E forse è questa l’unica regola del gioco della ronde ormai quarantennale della regista ucraina: allungarsi nell’aria con piccoli slanci laterali trasparenti e silenziosi, ondivaghi e dettagliatissimi, sbilanciati e smarriti, duri e ironici. Lasciarsi andare - e non importa se sembrerà di trattenersi - al tempo che sfugge al tempo, stralunati e carnali, stupiti infine dalle sacche di vissuto che lampeggiano d’improvviso (come un film che, nonostante i suoi dieci o venti spettatori, non vedrà mai luce).






Titolo originale: Dva v odnom
Anno: 2007
Durata: 124
Origine: UCRAINA, RUSSIA
Colore: C
Genere: GROTTESCO
Produzione: SOTA CINEMA GROUP

Regia: Kira Muratova

Attori: Natalya Buzko; Renata Litvinova (Alisa); Mila Musiyenko (Oksana); Nina Ruslanova; Bogdan Stupka.
Sceneggiatura: Yevgeni Golubenko, Renata Litvinova
Fotografia: Vladimir Planko
Scenografia: Evgenii Golubenko

Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=MroUL2mmu-M&feature=related

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