John Baltimore nel "bel mezzo del cammin di sua vita si ritrova per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita". Una dimensione onirico-allucinatoria, avvolta nelle classiche nebbie del gotico vampiresco, squarciate da fiammeggianti fluorescenze. A guidarlo all’origine dei propri spettri, per poterli rendere reali e trasformali in strumento per dare spiegazione del reale, il primo fra i poètes maudits, Edgar Allan Poe.
Nelle immagini è inscritta una metodica. Non si tratta della valutazione di elementi stilistici esteriori, quanto del rilievo di uno stile che ha la forma di un problema: il lavoro sulla tridimensionalità compiuto da Coppola, infatti, non può essere ridotto a esercizio figurativo (cfr. Hugo Cabret di Scorsese), in quanto mantiene una vocazione metodologica insopprimibile: in altri termini, si tratta di operazione relativa all’immagine, nella quale tuttavia si conserva la tensione dinamica dell’operazione intellettuale.
Non è casuale che Coppola abbia deciso di confrontarsi nuovamente con l’horror per condurre questa riflessione sulle possibilità dello sguardo cinematografico: il cinema horror è ontologicamente oltraggioso per gli occhi, volutamente rivolto allo shock visivo. E il regista mette in evidenza proprio la sostanza vampiresca del cinema. Twixt è, forse, il suo episodio più teorico assieme a Rusty il selvaggio e Dracula, di cui non a caso riprende a più riprese lo sperimentalismo barocco e visionario. L’indagine sul 3D, in quanto principio costruttivo, che implica una diversa disposizione del vedere, è condotta sia dal punto di vita formale che contenutistico.
John Baltimore sta vivendo una crisi, tanto sul versante professionale quanto su quello umano; l’uno condiziona l’altro, e viceversa, costringendolo così alla frustrazione. Si sente involgarito dalla banalità come scrittore, e allo stesso tempo come uomo; vittima di una coazione a ripetere che gli impedisce di mancare la verità, sia dal punto di vista creativo che esistenziale. Soltanto riuscendo ad andare “oltre lo specchio”, entrando in un mondo di immagini chiare ed essenziali, la vita può tornare ad autenticarsi, e ciò che appare come un problema si schiarirebbe, mostrandosi per quello che realmente è, solamente confusione. Per poter inaugurare una sensibilità diversa è dunque necessaria una dilatazione prospettica, compiere un passaggio in un nuovo regime spazio-temporale.
Dal punto di vista diegetico questo coincide con lo sfondamento della dimensione onirico-allucinatoria: Baltimore, smarrite le traiettorie, si trova ad avanzare per una “selva oscura”; qui a fargli da Virgilio è lo spettro dannato e dolente di Edgar Allan Poe che gli infonde stralci della sua Filosofia della composizione: per Poe, prima di tutto c’è la costruzione dell’effetto. Una costruzione che va intesa sia come individuazione strategica del programma narrativo, sia come atto dialogico fra il narratore e il lettore: una dialogicità implicita e differita, certo, ma ineliminabile, perché nell’azione progettuale ogni mossa e decisione viene presa come se fosse la battuta di un dialogo. Dunque individuare innanzitutto non una forma dell’oggetto ma un suo effetto, ed elaborare quindi la forma che quell’effetto di conseguenza è in grado di produrre. L’oggetto di ogni progetto sta tutto negli effetti che esso sarà in grado di produrre.
È lo stesso Coppola ad applicare il precetto; è in questa chiave che va interpretato l’impiego del 3D. La dilatazione prospettica è risposta alla necessità di un’altra estensione del visibile nella quale sperimentare ciò che determinate situazioni limite gli suggerivano. È messa in atto una risemantizzazione della vista: l’occhio deve non solo elaborare un aumento di dati sensibili, ma anche di sviluppare la capacità di comporre l’eterogeneità dei dati. Ma all’inizio è stordimento, lo stesso che è vissuto da Baltimore. Proprio quando la ricchezza delle immagini si fa più netta, queste appaiono invece più enigmatiche. È vertigine: ogni personaggio appare attraverso l’accenno del proprio gesto, e ogni elemento del paesaggio come sospeso.
Ma l’horror (che Coppola, come suo solito, scuote con fiammeggianti fluorescenze romantico-sentimentali), oltre che a produrre emozioni forti nell’occhio, è materializzazione di incubi. E quello che affligge il protagonista è lo stesso che tormenta il regista: il non aver fatto nulla per evitare la morte del proprio figlio (le dinamiche causanti la morte della figlia del protagonista sono le stesse che hanno ucciso Gian Carlo, il figlio del regista). Coppola, e Baltimore per lui, deve cercare di scavare nel passato per scacciare tutti i fantasmi che lo abitano; individuare il dolore primario, profondo e personale per riuscire a esorcizzarlo. Ma perché si possa avviare un processo di riparazione occorre che la perdita sia totale, e come tale percepita. Il lavoro del lutto inizia solo quando l’oggetto è perduto e il soggetto ne realizza e accetta le conseguenze. E a Coppola infatti sono occorsi 25 anni.
Solamente dopo che si è realizzata la scomparsa è possibile trovare dei correlativi oggettivi in grado di funzionare da ponte tra inconscio e conscio, tra esigenze psichiche ed esigenze estetiche. Non basta trovare un corrispettivo, un’immagine o un simbolo qualsiasi, deve adempiere anche a precise esigenze stilistico-formali. L’elaborazione deve corrispondere ad una precisa messa in forma che per Coppola si traduce in una vera e propria messa in scena: Baltimore rivede la morte della propria figlia come proiettata su uno schermo cinematografico. Questa rielaborazione funzionale della complessità del reale è la chiave del processo ripartivo: «la riparazione psichica è veramente compiuta quando la realtà che ci ha offeso è stata trasformata in arte. – ma – Purtroppo questo costituisce soltanto una fortunata e misteriosa eccezione» (Ferrari 2003, pp. 104-105).
Bibliografia
Ferrari S. {2003}: Scrittura come riparazione. Saggi su letterautura e psicoanalisi, Editori Laterza, Roma-Bari
Titolo: Twixt
Anno: 2011
Durata: 88
Origine: USA
Colore: C
Genere: HORROR, THRILLER
Produzione: FRANCIS FORD COPPOLA PER AMERICAN ZOETROPE
Regia: Francis Ford Coppola
Attori: Val Kilmer (Hall Baltimore); Bruce Dern (Bobby LaGrange); Ben Chaplin (Edgar Allan Poe); Elle Fanning (V); Joanne Whalley (Denise); David Paymer (Sam Malkin); Alden Ehrenreich (Flamingo); Anthony Fusco (Pastore Allan Floyd); Don Novello (Melvin); Ryan Simpkins (Carolyne).
Soggetto: Francis Ford Coppola
Sceneggiatura: Francis Ford Coppola
Fotografia: Mihai Malaimare Jr.
Musiche: Dan Deacon; Osvaldo Golijov
Montaggio: Robert Schafer
Scenografia: Katherine Covell
Costumi: Marjorie Bowers
Effetti: Spy Post Digital; Universal Production Partners (UPP)
Reperibilità
http://www.youtube.com/watch?v=RZ9Ylk92HJM