Spesso il cinema (che, oggi, ricoperti come siamo di una seconda pelle elettronico-mediatica, è ovunque, expanded e diffuso e lo si incontra sulle pareti della metropolitana, nella sfilata di televisori dei grandi magazzini, sullo schermo dei telefoni cellulari, sui pullman turistici, o proiettato sul letto limaccioso di un fiume, ma in forme compresse, ottuse e inerti) si inceppa producendo qualcosa come un alone, una interferenza, un contagio che assume varie forme. Trompe l'oeil e Anamorfosi sono due di queste.

Il primo, parola costellazione, è innanzitutto un velo. Quando si vuole ingannare qualcuno, dice Lacan, gli si mette sempre davanti un velo (o un fazzoletto, come sa bene Otello) o qualcosa che è sempre topologicamente oltre quello che afferma di vedere. Platone diceva che in pittura il trompe l’oeil vuole essere sempre di più di quello che è. Però, cos'è ciò che ci seduce, ci riempe di giubilo, se non esattamente questo plusvalore, questa apparizione tutta virtuale di qualcosa di più di quello che aspettavamo? Sua è la capacità di bloccare il movimento, fascinazione del malocchio meduseo. Sua è l’ombra sinistra che si avvicina e prende possesso del mondo trasparente dei fatti con la sua viscosità e l’apprensione predatoria di artiglio scarlatto (come sa bene l’Erice de La morte rouge) ed è, in ogni caso, sempre un eccesso e una trasgressione nella continuità bianca dell’immagine.

Il trompe l’oeil non è riflesso e ancor meno imitazione, ma rinvio chiuso a se stesso, alla sua iper simulazione sperimentale. Si tratta dell’apparizione improvvisa di un doppelganger che seduce e intrappola: la ninfa di Warburg è il trompe l’oeil seducente dell’antico rinato. Ma è anche la vertigine aptica del riflesso di Narciso che si immagina mentre abbraccia la sua stessa immagine; è la superficie turbolenta che eccede la realtà e, febbrile come le statue barocche, rivela che dietro di sé non c’è niente, e che però proprio questo niente, la vita e il sogno sono, borgesianamente, la stessa cosa. Il cinema raggiunge questo effetto con la tridimensionalità esplicita (animazione herzoghiana delle pareti di una caverna paleolitica; il movimento danzato sincopato wendersiano; il volo del grande uccello istoriato di Cameron etc.) o implicita (tutto Tony Scott Micheal MannTsukamoto Cronenberg) in una emersione compatta, quasi serica, di materia fantasmale che sembra, nello stesso tempo, uno scoppio iperpatetico di cose smembrate.

La seconda è un principio di alterazione che possiede un eterno doppio movimento; il fine è una attività  senza fine di liquidazione e alterazione della materia. L’anamorfosi è qualcosa (e nello stesso tempo è il segno dell’attività della nada, come sapeva San Juan de la Cruz) capace di proiettarsi, risaltare, scollarsi, lanciarsi come sputo e distendersi come una tela di ragno istoriata e ripiena della collezione delle piccole prede, incaute e belle come lo scoppio di colore in un tappeto ricamato a mano. L’anamorfosi è la goccia di liquido che si sparge sopra una superficie, perturbando l’aspetto sereno delle cose (come quella scena de L’Avventura di Antonioni dove l’inchiostro nero si sparge per errore proprio sopra il disegno architettonico, macchiandolo). Goccia che tiene la capacità  di trasformare un frammento di realtà in una moltitudine di cristalli iridescenti che sono anche una massa opaca.

Anamorfosi come rottura (qualcosa di simile a un grido o all’inizio di un largo silenzio, rottura del dispositivo che regola l’assunzione dell’intorno da parte dello sguardo); interruzione (come si dice di un percorso interrotto a metà, come in Beckett o in quella sosta piena di incredulità mista a terrore dei pastori di Arcadia) e sincope (paralisi del corpo e dell’auto-coscienza, come il narratore proustiano quando inciampa nell’irregolarità del selciato nelTempo Ritrovato di Ruiz o lo sparo di spalle che segna l’inizio del sorvolo assoluto di Enter the Void di Noè): all’interruzione della respirazione e del movimento volontario fa seguito la possibilità di penetrare nelle cappe negre del tempo perduto e della morte.

Anamorfosi come contro-attacco, ovvero la messa in luce di un contenuto latente vincolato con la morte (sono anamorfosi il giro di corpo di Mouchette alla fine del film; la lacerazione di Fontana nel corpo uniforme della tela; John Coltrane che rifà  My Favourite Things nel suo periodo free, trascinando la bellezza incorruttibile dello standard in una confusione di barriti, scalpiccii, urla sincopate nell’imbuto magico della sordina, per restituirlo a qualcosa di primigenio, selvaggio e impossibile da dominare (come un quadro action-painting mentre lo si fa) ovvero tutti quegli avvenimenti che traducono l'ostensione di un geroglifico dotato del mistero della presenza pura. Anamorfosi come attività profonda di tutto ciò che è passivo e che vuole impadronirsi delle caratteristiche dell’attivo, in una trasmutazione quasi magica (di cosa è fatta l’anamorfosi? di pasta colloidale? di ghiaccio fuso?) e contro qualsiasi limite: utopia dell’anamorfosi è quella di diventare ectoplasma, e diffondersi come un aroma o un sapore.

Il trionfo dell’anamorfosi è quello di un occhio incapace di riconoscere frontiere rigide: è l’occhio scomparso, l’occhio gran ladrone, l’occhio mercuriale impegnato in un sorvolo assoluto che termina con la visione di Proust quando parla di Eltsir: quel momento cosí peculiarmente fragile dove la terra è già marina e la popolazione anfibia in una versatilità dell’immagine che non è incostanza ma fede nelle possibiltà multiple del visibile; è quella che il poeta della spagna moresca dell’XI sec. Ibn Hazm chiama “Wasl”, unione spirituale di tratti singolari.

Anamorfosi e Trompe l’oeil rispondono allora in maniera sconcertante alla domanda gnostica “dove stiamo quando stiamo nel mondo”, trasformandolo in una periferia occulta e caotica dove si muovono creature pazze e deformi, nude, infreddolite e orfane, senza orientazione nè controllo, che, completamente out of joint perdono di vista limiti che si scoprono, finalmente, solo accidentali, in un processo glorioso di divenire infinito.

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