alt«Penso che se il diavolo non esiste, ma l’ha creato l’uomo, l’ha creato a sua immagine e somiglianza» (I fratelli Karamazov, Fëdor Dostoevskij)

L’impiegato di un ente governativo, Simon, (ri)vive le stesse giornate sentendosi costantemente fuori dal suo corpo («come Pinocchio è un ragazzo di legno, non vero»). La sua frustrazione partorisce un doppio, un dostoevskijano Sosia (lo script è basato sull’omonimo romanzo) che è, allo stesso tempo, suo opposto.


Asserviti all’ombra di un sistema che mira ad isolare gli individui i sensi si dilatano, le sensazioni divampano, ogni quesito si fa più evidente nella sua complessità, nella sua incapacità di concedere risposta; il senso comune, l’idea generalizzata può cedere il passo all’eversione, alla ribalta che si fa guerresca, quasi il più tragico sviluppo di una mancata deflagrazione, di un voler rattoppare una falla profonda fino all’esasperazione, finché un elemento esterno, un doppio appunto, proiezione materiale di un dissesto mentale, si confà a realtà, a catalizzatore di una reazione, di una caduta cieca e disperata attraverso un buio fitto, brumoso, palese riadattamento di un limbo preinfernale.

In questa tetra cornice Simon è disegnato come un delicatissimo rifiuto, un ignavo perdente, al confine tra l’invisibile e il fastidioso, come un moscerino da schiacciare per passatempo più che per reale fastidio procurato. La sua vita è un puzzle irrisolto di sconfitte tra le quali la nevrosi si fa largo con grande facilità: sul lavoro è un perfetto nessuno e la collega di cui è infatuato si limita a fargli svogliatamente fotocopie. James, il suo doppio, appare da un giorno all’altro, e fin da subito si presenta come la concretizzazione di ogni aspirazione più agognata, l’umanizzazione di un’ambizione, la rivoltosa evoluzione di un io ormai automatizzato. E dapprima il doppio coesiste ignaro dell’altro, così come ignari appaiono i vari colleghi, come se la sagoma di Simon fosse deformante, o meglio fuorviante: il suo esser invisibile, insignificante impedisce a chi gli sta intorno la cognizione stessa dell’esistenza di un suo doppio, non riconosciuto in quanto tale, ma in quanto altra persona, ulteriore pedina del sistema.

Uno specifico dipartimento indaga sull’elevato numero di suicidi, oramai all’ordine del giorno, come se la nevrosi, diffondendosi metastaticamente, tendesse ad inglobare la società tutta riproponendo situazioni stereotipate, costringendo gli individui ad una scissione dell’io, al distaccamento della loro componente ribelle cosicché questa non possa più nuocere al “sistema”; lo stesso da cui Simon smette di far parte («Lei non esiste più, non è più nel sistema», «Quanto è attendibile il sistema?», «È totalmente affidabile»), respinto per la sua (apparentemente) bassa produttività.

E in questo tripudio di oscurità nebulosa e claustrofobica gli echi di un braziliano Gilliam sono quanto mai evidenti, ricorrenti nell’elaborazione di un sistema pseudototalitario virato al parodico, in cui l’incremento della produzione è l’unico obiettivo e il consumo (di informazioni e non di prodotti) è fine ultimo: quasi una rivisitazione del presente. Gli impiegati di questa sorta di megaditta hanno il compito di “registrare le esistenze” accumulando informazioni sulle persone in enormi server, classificando rigorosamente ogni notizia. I loro scopi sono ignoti; si può però presumere che il fine sia quello di mantenere un certa forma di controllo, come un grande fratello senza telecamere, collaterale fotografia del nostro reale, sempre più assuefatto dalle informazioni, sempre più asservito alle ombre di una piramide invalicabile.

Tema sempre capace di fomentare riflessioni quello del doppio, le stesse contenute in un’altra affascinante pellicola, Enemy (rivisitazione del romanzo L’uomo duplicato di Saramago), opera più visceralmente drammatica, intrisa di paradossi kafkiani, angoscianti mutazioni che si pongono a emblema di un presente cristallizzato, di un incubo ad occhi aperti (lo stesso vissuto da Simon) in quell’amplesso infernale che è Toronto, metropoli desolata e decromatizzata, come privata di flusso vitale; come anche l’ultimo Kosinski di Oblivion, (s)folgorante riproposizione dell’incontro/scontro tra doppi che sorvola anche la dimensione scenica e temporale, ma più empiricamente legato all’industria cinematografica del presente che rigetta l’effimero, la più splendida fonte di liberazione.

 


 

Titolo: The Double
Anno: 2013
Durata: 93
Origine: GRAN BRETAGNA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: ALCOVE ENTERTAINMENT; ATTERCOP PRODUCTION; BRITISH FILM INSTITUTE; FILM4

Regia:
Richard Ayoade

Attori: Jesse Eisenberg; Wallace Shawn; Noah Taylor; James Fox; Cathy Moriarty; Phyllis Somerville; Gabrielle Downey; Jon Korkes; Craig Roberts; Kobna Holdbrook-Smith; Susan Blommaert; Bruce Byron; Tony Rohr
Sceneggiatura: Richard Ayoade; Avi Korine
Soggetto: Il sosia di Fëdor Dostoevskij
Fotografia: Erik Wilson
Musiche: Andrew Hewitt
Montaggio: Nick Fenton; Chris Dickens
Scenografia: David Crank

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=XG8qATRtNuU

Tags: