TargetRussia 2020. Tre uomini e due donne della ricca borghesia moscovita giungono al Target, un luogo sperduto dell'ex URSS, le cui radiazioni hanno la proprietà di dare l'eterna giovinezza. Ritornati a Mosca insieme a un'abitante di un villaggio vicino il Target, scopriranno che la loro percezione dell'esistenza è mutata in modo irreversibile e tragico.



Una delle ambizioni del cinema è narrare il tempo in relazione a un luogo. In Russia, tra gli altri, oltre a Sokurov, nume tutelare vivente della cinenarrazione storica russa (e ancor prima sovietica), negli ultimi due anni ci hanno provato Zvyagintsev con Elena, ricognizione interna alla classe dominante dell'oligarchia al potere (e quindi uno svisceramento delle interiora del corpo sociale russo) e Balabanov che, dopo Cargo 200 (in cui il corpo sociale ormai morto, cadaverico, veniva esposto nella sua oscena decomposizione), ha presentato quest'anno a Venezia Me too, nel quale veniva messa in scena la squinternata ricerca di un campanile della felicità, che si rivelava poi essere una sorta di decompositore di corpi, che trovavano la felicità nella loro dissolvenza. Quasi contemporaneamente usciva Target, ultimo lungometraggio di Zeldovich, a più di dieci anni di distanza dal precedente, Mosca.


In Target assistiamo al dissolvimento di un luogo, la Russia, che si rivela essere non abbastanza grande per contenere l’esorbitante trama del film: con un moto incontrollabile per lo stesso regista, le immagini spontaneamente si moltiplicano le une dalle altre, secondo un processo di ipertrofica gemmazione.
Ciò è dovuto probabilmente al cambiamento di status che l'immagine ha avuto in seguito ai nuovi processi di comunicazione: da essere un semplice supporto (incorporeo, quindi fuori dalle res che compongono la realtà) alla narrazione del reale è diventata essa stessa produttrice di realtà (e come conferma basterebbe citare Reality di Garrone, ultimo esempio in ordine cronologico di una lunga serie di film sul tema). L'immagine quindi non è solo il tramite di significati fra un reale oggettivo e un irreale fantasmatico quanto piuttosto la traccia più evidente dell'iperreale (da intendersi come eccesso di significati nella realtà) in cui siamo immersi.

Zeldovich pare essere consapevole di questo cambiamento e allestisce una Russia che non è più un determinato luogo fisico ancorato a un tempo storico bensì uno spazio iperreale in cui far collidere ogni tempo. All'interno di questo piano dai confini sfrangiati, attraversato da perpetui flussi di immagini, materia, vettori, disseminato di costruzioni che tentano di sottrarre spazio e nei cui interstizi vuoti si aggirano spettri, Zeldovich individua un punto irreale, il Target (un po’ come Tarkovsky scovava un’isola nell’infinito oceano di Solaris), in cui il tempo non ha luogo, e che ha in Mosca, punto centrale della Russia (non tanto geo-politico quanto energetico), il suo doppio di polarità inversa. Nel film, difatti, di ogni corpo (inteso come massa tangibile che occupa uno spazio) vengono rappresentate due polarità contrapposte, una rivolta verso il bene e l'altra verso il male. Cosa poi questi due termini morali vogliano significare esattamente non è dato saperlo; quel che conta è che in virtù del diverso segno di polarità i corpi si attraggono e si respingono, si infettano e si sanano.

Ma nel vuoto temporale, i corpi divengono eterni come immagini e le immagini si scontrano e scompongono come corpi: vediamo fluire corpi-immagine che si ricongiungono immutati dopo anni di lontananza e immagini-corpo che si sfregano tra loro e si consumano, deteriorate dall'eccesso di esperienza che una fa dell'altra. Agli amanti del film non restano che due vie: o logorarsi di troppo vissuto fino a giungere alla dissolvenza oppure darsi appuntamento fra venti o trent’anni per farsi trascorrere dai tempi e invadere dagli spazi, per divenire flusso e infine riconfluire insieme in un’unica immagine.





Titolo originale: Mishen
Altri titoli: Target
Anno: 2010
Durata: 154
Origine: RUSSIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: CINEMASCOPE, 35 MM
Produzione: REN FILM

Regia: Alexander Zeldovich

Attori: Maxim Sukhanov (Victor); Justine Waddell (Zoya); Danila Kozlovsky (Mitja); Daniela Stojanovich (Anna); Vitaly Kischhenko (Nicolai); Anton Khabarov (Andrey).
Sceneggiatura: Alexander Zeldovich, Vladimir Sorokin
Fotografia: Aleksandr Ilkhovsky
Musiche: Leonid Desyatnikov
Montaggio: Nil Farell, Andrey Nazarov

Riconoscimenti


http://www.youtube.com/watch?v=VX9KPXbyCvo

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