synecdoche

Caden Cotard è un regista teatrale. È anche marito e padre. Purtroppo la sua arte e la sua vita non procedono lungo medesime traiettorie di sviluppo. Tanto è rivolta al successo la prima quanto sembra essere irrimediabilmente destinata al fallimento l’altra. Consapevole di questo, una volta rimasto solo e vittima di sempre più acute manifestazioni ipocondriache, tenta di mettere a fuoco la sua esistenza facendone materia del suo ultimo lavoro teatrale. Vuole riuscire a dar forma al proprio dolore.

 

 

«Non percepirò più l’universo, percepirò lo Zahir».(Jorge Luis Borges, Lo Zahir)


Synecdoche, New York
è un’opera testamentaria.
Non ha importanza che questa coincida con l’esordio registico di Charlie Kaufman, perché, come sostenuto da Gianni Amelio in un intervento su Querelle de Brest di Rainer Werner Fassbinder, “il testamento, se uno vuole, lo può scrivere anche con l’opera prima”.

Kaufman già impostosi come riferimento chiave dei film ai quali collabora in veste di sceneggiatore (Essere John Malkovich e Il ladro di orchidee di Spike Jonze; Human Nature e Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry; Confessioni di una mente pericolosa di George Clooney) decide di confrontarsi con la regia per poter essere autore in senso pieno, totale della propria creazione. Una necessità, questa, manifestatasi fin da subito, dimostrata dall’interesse per l’iter realizzativo dei film, che porta Kaufman ad essere non solo fisicamente presente sui set per supervisionare e contribuire alla messa in opera del proprio lavoro e seguire la sorte dei propri personaggi, ma anche a partecipare in veste di produttore esecutivo. L’esigenza di non dover stare a trovare mediazioni con coscienze aggiunte non completamente controllabili e quindi non integralmente assorbibili all’interno del proprio disegno artistico (bisogna ricordare che per quasi tutte le sue sceneggiature a Kaufman sono stati chiesti frequenti aggiustamenti rivolti ad ammorbidirne l’annichilente pessimismo) è la stessa che tormenta Caden Cotard, il regista teatrale protagonista di Synecdoche.

Impotente di fronte all’abbandono della moglie che lo priva, portandosela con sé, anche della figlia, vittima di crescenti manifestazioni nevrotiche caratterizzate da una preoccupazione morbosa per la propria salute, Cotard tenta di mettere a fuoco la sua esistenza facendo di questa la materia del suo ultimo lavoro teatrale. L’idea, per lui sempre più assillante, è che l’arte possa permettergli di catturare e spiegare la vita, che la verità possa essere riprodotta mediante la finzione. Condizione necessaria affinché il senso si sveli è che questo tentativo di replica sia condotto con radicale onestà. Un progetto mosso da intenti terapeutici ma dagli esiti devastanti, autodistruttivi. Quella diretta da Cotard deve essere una messinscena in cui gli attori scritturati devono interpretare persone reali, ovvero lui stesso e i suoi cari, nella loro quotidianità, meticolosamente ricostruita nell’ambiente controllato di una produzione teatrale. Il principio generativo che sta a monte della messinscena è dunque regolato da un processo sineddotico dove la parte sta per il tutto, l’attore sta per il personaggio; la dettagliata scenografia a grandezza naturale sta per il mondo reale.

L’intento di riuscire a creare qualcosa che contenga l’idea della vita nella sua globalità è però vanificato dal fatto che la ricostruzione gode di un’unica prospettiva, il solo orizzonte contemplato è quello che ha il regista come punto focale. I personaggi portati in scena, viziati da difetti e patologie particolari, non sono altro che modelli differenti di uno stesso prototipo umano, un’immagine moltiplicata dello stesso Cotard, delle sue paure e ansie. Ossessionato dal tentativo di riuscire a dare una precisa forma al proprio dolore Cotard non si accorge di venire pian piano fagocitato dalla sua stessa creazione, dal proprio delirio solipsistico; sempre più chiuso all’interno del suo microcosmo, vittima d’un progressivo ripiegamento ombelicale, si ritrova ad essere tassello della sua struttura, non più burattinaio ma marionetta.

Il bisogno del protagonista di essere allo stesso tempo sguardo e cosa guardata è subito evidente; egli è infatti presentato come immagine riflessa. Il film si apre su un inquadratura di Cotard che si guarda esplicitamente allo specchio. Un’immagine in cui il personaggio insieme si osserva e si considera in rapporto al mondo, è insieme percezione e percepito, qualcosa che vede e si vede. “Lo specchio è insieme lo spazio della duplicazione e lo spazio dell’autorivelazione” (Bertetto, 2007, p. 143). L’immagine ripresa attraverso lo specchio sottolinea il carattere artificiale di quest’ultima, il suo essere un prodotto illusivo che cerca di sostituirsi al mondo. Il privilegiamento dell’immagine speculare è una traccia del processo di trasformazione radicale del personaggio e insieme un’apertura all’universo parallelo destinato ad emergere progressivamente nel film; essa sembra alludere, in modo ancora cifrato e nascosto, a quell’aprirsi del mondo a un altro orizzonte dominato dall’ossessione. Kaufman concentra il processo di significazione ai margini del testo, là dove il film inizia. L’incipit contiene in nuce tutto il resto, il tema del film è già inscritto nella sua genealogia.

La costruzione architettata da Kaufman moltiplica all’infinito il meccanismo di rispecchiamenti tra i personaggi; finzione e referenti reali si mischiano creando vertigine e continue sovrapposizioni dei livelli narrativi. Synecdoche è un labirinto della mente, con le sue strade, i sui bivi e i suoi eterni ritorni, dove “l’immagine non segna la conquista, ma la perdita della realtà…” (Gian Piero Brunetta). Il neo-regista stravolge la logica razionale per mezzo di una struttura discontinua, obliqua, non lineare dove tutte le cose appaiono improvvise, originali e strane. Il film ha una forma cinematografica compressa e condensata che rifiuta il criterio della semplificazione (Kaufman si diverte ad esempio a compiere piccolissime sostituzioni - di lettere, suoni, contesti - che straniano il senso dell’enunciato e lo spostano a un livello di maggiore complessità); il prima, il durante e il dopo non esistono o convivono in stretta simbiosi. In Synecdoche la dimensione finzionale non contamina quella della realtà, ma piuttosto la avvolge completamente determinando una condizione di incertezza nello spettatore che si ritrova così in difficoltà nello stabilire se all’interno della narrazione esista una zona non attraversata dall’allucinazione, dalle proiezioni della mente. Kaufman, giocando alla maniera di Resnais con le le identità, il tempo e la memoria, produce un nuovo visibile che si integra al reale, lo doppia e lo trasforma insieme, creando un altro mondo audio-visivo di grande forza e pregnanza; realizza un’operazione che moltiplica i mondi possibili. Il raddoppiamento della messinscena che il regista mette in atto è una duplicazione differenziale, è una differenza relativamente somigliante. È qualcosa che si mostra come doppio per poi rivelarsi come altro dal mondo esterno.

Synecdoche, New York è un film-limite: un film sul limite che Kaufman sente di dover-voler oltrepassare, pur avvertendo l’impossibilità di farlo, e cioè di rendere nuovamente vero ciò che è già reale. Perché, come detto da Derrida, “la vita è l’origine non rappresentabile della rappresentazione”.

 

Bibliografia

Paolo Bertetto (2007): Lo specchio e l’immagine riflessa in Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, Studi Bompiani, Milano.

 


Titolo: Synecdoche, New York
Anno
: 2008
Durata
:124
Origine
: USA
Colore
: C
Genere
: COMMEDIA, DRAMMATICO
Specifiche tecniche:
SUPER 35 (1:2.35)
Produzione
: ANTHONY BREGMAN, SPIKE JONZE, CHARLIE KAUFMAN, SIDNEY KIMMEL PER LIKELY STORY, SIDNEY KIMMEL ENTERTAINMENT

Regia: Charlie Kaufman

Attori
: Philip Seymour Hoffman (Caden Cotard); Michelle Williams (Claire); Catherine Keener (Adele); Jennifer Jason Leigh (Maria); Tom Noonan (Sammy Barnathan); Samantha Morton (Hazel); Hope Davis (Madeline Gravis); Lynn Cohen (Madre di Caden); Sadie Goldstein (Olive); Daisy Tahan (Ariel); Emily Watson; Dianne Wiest
Soggetto
: Charlie Kaufman
Sceneggiatura
: Charlie Kaufman
Fotografia
: Frederick Elmes
Montaggio
: Robert Frazen
Scenografia
: Mark Friedberg
Arredamento
: Lydia Marks
Costumi
: Melissa Toth
Effetti
: Brainstorm Digital

Riconoscimenti

Reperibilità

 

http://www.youtube.com/watch?v=XIizh6nYnTU

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