Il titolo STUDIO etimologicamente sintetizza l’atto e il luogo, il gesto e l’officina: implica una mobilità (mentale, fisica)  che parte da una zona interna  per tendere verso l’esterno (dal lat. stùd-ium che propriamente vale come impulso interno e il tendere con zelo), dunque un movimento che rievoca parallelamente l’atto di creazione artistica. Non c’è solo la volontà da parte di Francesco Dongiovanni di filmare i volti che nascono dal pennello dell’artista tarantino Pierluca Cetera ma qui, al lavoro, c’è anche l’occhio cinematografico. Si tratta dell'opera nell'opera, nel loro farsi, ovvero "l'occhio e la mano", lui che insegue l’altro in una specie di officina per due.


Francesco Dongiovanni porta il suo occhio ad aprirsi su quelli di un volto dipinto che guardano altrove, a dirottare lo sguardo verso tutto quello che è fuori campo, nel visibile assente  e allo stesso tempo, sembra ci inviti a posare noi stessi gli occhi sul volto che di li a poco, nell’ inquadratura successiva, andrà a formarsi. In effetti, un volto (Gesicht) è tale solo se viene visto (gesehen), di conseguenza «la teoria del termine ha avuto inizio con il volto visto dagli altri, quegli altri che vogliono “farsi un’immagine” del volto “leggendone” l’espressione» (Belting, p.30) E’ anche vero che Pierluca Cetera indaga sulle diverse possibilità della visione, pensiamo ad una sua serie di dipinti che prendono il nome di Le Ore  che ci fa pensare al verbo greco orao che significa “guardare” appunto. In STUDIO  perciò chi guarda è l’occhio cinematografico che spia e insegue la nascita dei volti dipinti e in questo inseguirsi e allo stesso tempo sovrapporsi di sguardi, da occhio a occhio, da superficie a superficie, il volto assume e attesta il senso originario dell’immagine, il riflesso di una preistoria.  Quando Il pennello di Pierluca Cetera tocca la tela o la carta e altri diversi tipi di supporti, la m.d.p. ne mette in luce la consistenza dei materiali, il colore che bagna la tela, la ruvidezza delle superfici lavorate, a rivendicarne ancora una volta la genesi, il fondo buio da cui un’opera prende vita.

Le immagini dei volti di Pierluca Cetera, attraverso l’atto di ripresa cinematografica, sembrano staccarsi (rispetto alla fissità dei corpi di altri suoi dipinti) dalla rigidità della figurazione perchè sono forme dall’espressione muta che deformano lo sguardo mettendolo in movimento, sono forme che oltrevalicano i confini «tra presentazione (presenza) e rappresentazione (assenza), tra vicinanza e lontananza» (Belting, p.47), evidenziano cioè un atteggiamento quasi ebete con quegli occhi proiettati altrove, dentro un fondo tutto interiore e quindi assente e proprio per questo si fanno grido capovolto (di baconiana memoria), celato dalla propria angoscia che resta muta, una lacerazione latente. Dongiovanni riesce a captare quel tipo di  coinvolgimento che - in Pierluca Cetera - tocca la tela, ne constata ancora la sua presa vitale in un momento in cui la pratica pittorica è un gesto superato, graffiandoci sopra, lasciandone il segno, indagandone e toccandone i volti per mettere in atto probabilmente anche una critica dell’immagine nell’epoca della sua riproducibilità più avanzata, lasciandoli colare allora nella propria sostanza cromatica, sentimentale.


Bibliografia

Belting H. (2014), Facce. Una storia del volto, Carocci editore, Roma.






Titolo: STUDIO
Origine: Italia
Anno: 2016
Durata: 20'
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO
Produzione: Murex, The Open Reel

Regia: Francesco Dongiovanni

Con: Pierluca Cetera                            
Suono: Salahaddin Roberto Re David




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