altDall’interno di un abitacolo, attraverso un parabrezza sporco, seguiamo l’incedere costante di un autoveicolo. Fuori il cielo è sereno, così azzurro da rendere meno triste l’anonimo paesaggio circostante. Un uomo, poco più avanti, indica la strada. Sta quasi correndo. Forse è a causa sua se fin da subito si avverte un vago senso d’inquietudine. Un attimo dopo la situazione si fa più chiara: ci troviamo a bordo di un’ambulanza chiamata a soccorrere qualcuno. Quella sottile sensazione di turbamento trova ora una possibile giustificazione, ma non per questo svanisce e, al contrario, s’infittisce col passare dei minuti. Due soccorritori scendono dal veicolo, l’autista rimane al suo posto. Una nuova inquadratura ribalta la prospettiva e ci mostra il volto di quest’ultimo in primo piano, mentre fuori campo si sentono le voci dei suoi colleghi e di una donna che li informa dell’accaduto. Per alcuni interminabili secondi la mdp non si muove di un millimetro, poi finalmente un nuovo stacco di montaggio. Stavolta la ripresa è a mano e si sofferma in particolare sulla figura del dottore. Il paziente non si vede, ma il rumore del suo respiro disturbato diventa man mano insopportabile. Di nuovo all’interno dell’ambulanza, in corsa verso l’ospedale, questa volta è l’infermiera ad essere inquadrata da vicino mentre fornisce assistenza al malcapitato, di cui ancora restano celate le sembianze.


Sofia’s Last Ambulance inizia pressappoco così. Presentato nel 2012 alla 51ma Semaine de la Critique del Festival de Cannes, dove si è aggiudicato il premio France 4 Prix Revelation, il lungometraggio d’esordio di Ilian Metev è un’opera documentaria che denuncia una condizione ai limiti del verosimile: a Sofia, capitale della Bulgaria, ci sono solamente tredici ambulanze a servizio dell’intera popolazione che si attesta all’incirca su 1.2 milioni di abitanti. La questione alla base del film è dunque piuttosto complessa, ma il talentuoso regista bulgaro ha le idee chiare su come affrontarla: osservando tre persone impegnate ogni giorno a salvare vite umane.

Protagonisti di Sofia’s Last Ambulance sono infatti il dottor Krassimir Yordanov, l’infermiera Mila Mihaylova e l’autista Plamen Slavkov, che Ilian Metev ha seguito in ambulanza per quasi due anni insieme al fonico inglese Tom Kirk, dopo un lungo lavoro di preparazione. Il punto di vista adottato nel film è quindi molto particolare, non tanto perché limitato al raggio d’azione dei tre soccorritori, quanto perché risulta quasi sempre rivolto esclusivamente su di loro. Il giovane cineasta li filma a lungo, senza concedere mai un controcampo, indugiando soprattutto sui loro volti e disinteressandosi di tutto il resto. Egli cioè considera l’ambiente circostante solo mediante i suoi protagonisti, attraverso il loro corpi, il loro coinvolgimento, le loro reazioni. Le riprese che non li riguardano, infatti, si possono contare sulle dita di una mano e nella maggior parte dei casi consistono in piani fissi della strada quando l’autolettiga è in movimento.

Il film segue uno schema estremamente rigido e preciso, alternando momenti di tensione a momenti di distensione in cui i protagonisti si distraggono, rivelando altri aspetti e sfumature della loro personalità. Tutto è delineato con chiarezza già nella sequenza d’apertura poc’anzi descritta, non a caso seguita da tre inquadrature frontali in successione che presentano Krassi, Mila e Plamen mentre conversano tra di loro in un momento di pausa, prima di rimettersi in moto. L’incipit della pellicola, peraltro, è la sola parte in cui viene mostrato un intervento della squadra nella sua interezza, dall’inizio alla fine. Da lì in avanti, infatti, il documentario sarà composto solo da frammenti, tratti principalmente da altre operazioni di soccorso, ognuno volto a offrire un nuovo spaccato della vita lavorativa dei tre, portata avanti con grande umiltà e dedizione, tra mille avversità.

È difficile non essere toccati da certe scene, come ad esempio quella in cui Mila assiste una bambina, tentando in tutti i modi di distoglierla dal dolore che le infligge ogni scossone, ogni buca che l’autombulanza incontra sulla strada. La freddezza della realtà mostrata, in un certo senso rispecchiata da rigore strutturale dello stesso film, trova dunque una compensazione nella profonda umanità dei protagonisti. È davvero il loro impegno e la loro straordinaria forza di volontà che dona un’anima al film. Ilian Metev sembra esserne consapevole, e riesce a non disperdere e a massimizzare questa energia, spogliando il suo documentario da ogni elemento superfluo: non ci sono infatti interviste, né accompagnamenti musicali di alcun tipo, non vengono offerte spiegazioni o informazioni extradiegetiche, non vengono emessi giudizi, né si giunge ad una conclusione.

Nell’arco dei 77 minuti che compongono l’opera si può però intravedere un declino nell’umore e nella complessiva condizione dei personaggi; circostanza che non lascia presagire nulla di buono. Nella parte conclusiva della pellicola, in particolare, qualcosa sembra essere cambiato rispetto all’inizio. Nell’ultima scena in ambulanza Mila è assente, mentre in quella subito precedente, avvolta nella notte, si ascolta una straziante conversazione tra i soccorritori e i familiari di una persona deceduta che li accusano di essere arrivati in ritardo. La scena è costruita in modo diverso dalle precedenti: c’è un movimento di macchina (zoom indietro) e per la prima volta il regista non mostra ciò che sta accadendo nemmeno attraverso i volti dei protagonisti. Qui Metev preferisce mostrare qualcos’altro, associando questo doloroso dialogo a un’immagine quasi astratta: le fragili lucine di un palazzo attorniate dal buio.

Nel film è dunque possibile riconoscere un’operazione di montaggio volta a far progredire in maniera drammatica gli eventi. Una piccola forzatura che teoricamente potrebbe non coincidere con l’effettiva realtà dei fatti, ma che risulta comunque un’ipotesi più che verosimile e soprattutto significativa. D’altra parte la mano del regista non è celata nel film, ma si distingue chiaramente in diversi momenti. Senza contare che il lavoro di Metev (e della sua collega e compagna, Betina Ip) in fase di postproduzione si evince anche dalla struttura narrativa che sembra riprodurre una giornata tipo, seguendo cioè un’ideale arco temporale di 24 ore puntellato dai diversi accadimenti. Non a caso Sofia’s Last Ambulance si conclude con un’immagine simile alla prima, suggerendo così un’idea di ciclicità e infinitezza.

È un’immagine che mostra l’autoambulanza procedere in pieno giorno, alla luce del sole. Questa drammatica realtà, sembra voler dirci l’autore, è sotto gli occhi di tutti, basta guardare nella giusta direzione per prenderne atto. Ma a chi scrive piace pensare che la luminosità del finale sia anche un piccolo segno di incoraggiamento, una possibile speranza. Il che comporterebbe una nuova compensazione negli equilibri interni al film, questa volta provveduta dal regista a favore dei suoi protagonisti. Sarebbe un atto d’amore verso di loro. Sofia’s Last Ambulance d’altra parte resta pur sempre un film, e Ilian Metev sembra saper bene che qualsiasi film per poter esistere ha bisogno di almeno uno spiraglio di luce.

 



Titolo:
Poslednata lineika na Sofia
Anno: 2012
Durata: 77’
Origine: Croazia, Bulgaria, Germania
Colore: C
Genere: Documentario
Specifiche tecniche: 1.85:1 / 16:9 anamorphic
Produzione: Bulgarian National Film Center, Chaconna Films, Croatian Audiovisual Centre, DOK Leipzig, Film- und Medienstiftung NRW, Impact Partners, Medienstiftung der Sparkasse Leipzig, Nukleus film, SIA Advertising, Sutor Kolonko, Talent Dove, WDR / Arte

Regia: Ilian Metev

Cast: Krassimir Yordanov, Mila Mihaylova, Plamen Slavkov
Sceneggiatura: Ilian Metev
Fotografia: Ilian Metev
Montaggio: Ilian Metev, Betina Ip
Suono: Tom Kirk

Riconoscimenti

Reperibilità

http://www.youtube.com/watch?v=Bg67useA8-E

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