secretosUn uomo politico cileno in esilio ritorna in patria per riportare un frammento di verità riguardo la storia del suo paese. Una volta arrivato innesca un gioco di rivelazioni a catena, una sorta di telefono senza fili attraverso il quale si perdono e si confondono verità e menzogna.

 



Che raccontare il Cile fosse difficile ce lo ha detto pure Larraín: le frattaglie della storia in putrefazione a malapena potevano essere ricomposte Post Mortem su un tavolo d’obitorio, e già bisognava salvare i frammenti della narrazione dalla ulteriore triturazione dei mezzi blindati della retorica al potere o dalla sepoltura sotto stratificazioni di cose e ricordi. Che fosse addirittura impossibile lo sosteneva ancor prima Raúl Ruiz: nella sua Lettre d’un cinéaste, scritta con la macchina da presa, s’arrendeva dinanzi all’indescrivibilità del Cile «che appartiene alla Cina, non è in Sudamerica come tutti credono, e la Cordigliera è la Muraglia Cinese, anzi no, le Ande sono Piramidi e i preti sono sacerdoti egizi…»; oppure in Rapsodia Chilena, dove lo sguardo scorre sul paesaggio urbano come a voler comporre una narrazione, usando gli edifici come sintagmi di un discorso: ma gli elementi compositivi dell’immagine sfuggono al significato, e allora Ruiz prova a costringere lo sguardo facendo comparire frecce sullo schermo (eppure anche le frecce finiscono col diventare segni a sé stanti, fluttuanti come in un quadro di Klee).

Forse non è il Cile in sé ad essere refrattario alla narrazione: più probabilmente è inutile cercare una verità univoca su un luogo e l’unica narrazione possibile è l’antinarrazione, tipica di quello spazio irreale chiamato cinema. In Secretos, sebbene ogni elemento si dia all’inquadratura immediatamente nella sua chiarità come a voler fugare ogni dubbio sulla propria natura, viene confutata sistematicamente ogni correlazione diretta fra quel che si vede e ciò che il soggetto in questione dice di sé: il medico non è un medico, quel morto non è morto e i due amanti non si amano, sono solo ombre… Il film sembra così non riuscire a partire, bloccato nel meccanismo circolare di affermazione e negazione, e fatica a trovare una storia, per poi rinunciarvi. Non appena due personaggi, ognuno portatore di un’ipotesi di trama, si incrociano nel tentativo di delineare una situazione da cui far partire la narrazione, accade che dal cozzo dell’incontro vengono distrutte entrambe le ipotesi per farne scaturire una terza che verrà contrapposta a un’altra e così via di seguito, in un processo dialettico potenzialmente infinito che si perpetua attraverso dialoghi surreali e ironici, dove la surrealtà è da intendere come il tentativo di superare le forme finite per come esse si danno al primo sguardo, mentre l’ironia è il meccanismo socratico di svelamento della contraddizione che porta uno dei due personaggi ad affermare il contrario di ciò che riteneva vero e giusto all’inizio del dialogo.

È questo incessante movimento, reso dal succedersi delle scene secondo il ritmo cadenzato dal montaggio,  (la Sarmiento è valente montatrice e ha curato molti film di Ruiz) che mette in moto il cinema, dato dal continuo inseguimento di immagini che sfuggono dinanzi a qualsiasi assoggettamento, al soggetto filmico, alla linearità della storia e alla finitezza della trama. Si spezza la gerarchia tra sceneggiatura e immagine, l’una non riesce più a definire l’altra, sebbene siano fatte della stessa materia di cui è fatto il cinema. Se non possiamo riferire una parola sola e certa a un’immagine indefinibile, allora cadono ogni significazione e qualsiasi sistema di senso che sottenda una presunta verità universale, inconfutabile. Non c’è più somiglianza tra ciò che appare e la sua narrazione ma solo una similarità di ambigue rappresentazioni («i cileni sono tutti bugiardi» dice Ruiz in Rapsodia Chilena). Secretos mette in scena il proprio programmatico fallimento reiterando i tentativi di riduzione delle molteplicità all’univocità. Se ciò che si vede non è quel che dice di essere, probabilmente non è nemmeno qualcos’altro, forse non è, come se nel non dire, nel nascondersi, ci sia il desiderio più profondo, segreto, di non essere, di dissolversi: e quando il desiderio è raggiunto, il movimento cinema cessa e il film può svanire, finalmente libero dal senso, diluendosi in un bacio.





Titolo: Secretos
Anno: 2008
Durata: 85 min
Origine: Cile
Colore: C
Genere: COMMEDIA
Produzione: Margo Films; Suricato

Regia: Valeria Sarmiento

Attori: Claudia Di Girólamo (Amelia); Sergio Hernández (Atalibar 'Traidor' Leal); Alfredo Castro (guru).
Soggetto: Valeria Sarmiento
Sceneggiatura: Raul Ruiz
Fotografia: Acácio de Almeida
Musiche: Jorge Arriagada
Montaggio: Béatrice Clérico
Scenografia: Leticia Kausel
Costumi: Lola Cabezas
Sonoro: Roberto Espinoza; Felipe Zabala.

http://www.youtube.com/watch?v=up_9bp2qNfk

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