ne_change_rienJeanne Balibar non è solo straordinaria interprete del miglior cinema francese (Desplechin; Assayas; Honoré; Le Bosco; Rivette), ma anche cantante. Pedro Costa la segue esibirsi in questo percorso artistico parallelo. Una serie di concerti con il gruppo di Rodolphe Burger in Francia ed in Giappone, ma anche lezioni di canto lirico per interpretare la Périchole di Offenbach. Termine di riferimento è One plus one di Godard. JLG è una sorta di presenza/assenza nel film: in una canzone è la sua stessa voce, campionata da Histoire(s) du cinéma, a ripeterci «ne change rien pour que tout soit différent».



«Il nero possiede profondità.
È come una piccola apertura:
ci si entra, e dato che l’oscurità permane,
la mente si distende,
e una quantità di cose che accadono
lì dentro divengono manifeste».
(David Lynch)


In Ne change rien la luce e il visibile sono un’eccezione all’interno del buio che domina sullo schermo. Fasci di luce circoscritti irrompono d’improvviso e strappano piccole porzioni di spazio all’oscurità prevalente. Guardiamo dal nero (che imperversa) sparute tracce di luce accendersi sullo splendido volto di Jeanne Balibar, ripresa durante sessioni di prova e di registrazione, momenti di attesa in un camerino, frammenti di concerti di cui non vediamo mai pubblico pur sentendone la presenza.
Pedro Costa vuole cogliere la qualità fisico-acustica della musica, quando questa si fa suono, realtà vibrante. E riesce, soprattutto, nel lungo primissimo piano di lei che prova a cantare l'Air de la lettre: Mon cher amant da La Périchole di Offenbach, pedantemente incalzata e corretta dal produttore, in un autentico (ed efferato) duello. Non ci sono paesaggi; finestre, punti di fuga. Si resta sempre dentro, nel confronto a due tra Balibar e la musica. L'intimità è il corpo a corpo dell'artista con la sua materia, la fatica, gli esercizi, il tempo di una canzone che non riesce a afferrare, la ricerca dell'intonazione. Da ripetere fino allo sfinimento.

Trentacinque piani fissi e un montaggio che associa, senza soluzione di continuità, luoghi e situazioni diverse. Di fronte a Ne change rien si smarrisce ogni punto di riferimento. Unici elementi certi, la musica e l’immagine della sua esecutrice; vera e propria affiorante epifania.
Costa lavora sulla materialità, sia della musica, colta nel suo concretizzarsi nell’atto dell’esecuzione, che dell’immagine cinematografica, la quale si rivela attraverso le dinamiche di configurazione dell’oscurità.
Ne change rien è una tenebra prevalente in cui fatichiamo a riconoscere spazi, figure e oggetti. Non vediamo le cose, ma la visibilità stessa delle cose, l’illuminazione visibile che ce le mostra.  Con quest’opera il regista si interroga su cosa significhi visibilità, su cosa produca l’irruzione della luce. Del resto, come sostiene Merleau-Ponty, l’immagine «non celebra altro enigma che quello della visibilità» (Merleau-Ponty 1995, p.23). Da ciò si desume che l’oggetto principe e allo stesso tempo la materia costituente l’immagine filmica è la luce. L’immagine cinematografica è qualificata e determinata dalla luce, o dalla sua essenza, e solo in un secondo momento dall’oggetto ripreso. «Non è l’oggetto concreto, l’oggettualità profilmica a caratterizzare l’immagine filmica. È la luce. Qualsiasi orizzonte visibile cambia la sua configurazione a seconda della luce». Parafrasando Shakespare «si potrebbe dire che la luce non è “la materia di cui sono fatti i sogni”, ma la materia di cui sono fatti i segni (filmici)» (Bertetto 2007, p.88).

In Ne change rien gli oggetti, tutti, sono subordinati alla luce, sono fatti a loro volta di luce. È la luce che li fa essere nel visibile o li emargina nel buio dell’inesistente. Per riprendere Lorenzo Esposito, Pedro Costa «lascia  che l’immagine si faccia barlume, che neppure ci sia più oggetto e che i soggetti diventino diffusa luminosità spettrale, ciò che resta del fuoco. Che immagine è questa, umbratile e immateriale, che letteralmente annulla la distanza, un’immagine potentissima e insieme senza contorni, con una sua luce ma senza più sorgenti, totalmente esposta alla propria sottoesposizione, sfibrata e granulare, quanto più eterea tanto più umana


Bibliografia:
Merleau-Ponty M. (1995), L’occhio e lo spirito, SE, Milano.
Bertetto P. (2007), Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diventato favola, Studi Bompiani, Milano





Titolo: Ne change rien
Anno: 2009
Durata: 100
Origine: PORTOGALLO, FRANCIA
Colore: B/N
Genere: DOCUMENTARIO, MUSICALE
Specifiche tecniche: 35 MM
Produzione: SOCIEDADE OPTICA TECNICA, RED STAR CINÉMA

Regia: Pedro Costa

Attori: Jeanne Balibar (Se stessa); Rodolphe Burger (Se stesso); Hervé Loos (Se stesso); Arnaud Dieterlen (Se stesso); Joël Theux (Se stesso).
Fotografia: Pedro Costa
Montaggio: Patricia Saramago

Reperibilità

http://www.youtube.com/watch?v=j_wkApbSgHo

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