114644-1-naissance-des-pieuvresDentro i bordi di una piscina, l’adolescenza si racconta attraverso tre ragazzine quindicenni e il loro movimento a-sincrono di fronte al sesso, all’amicizia, al mondo che si apre davanti a loro solo per essere appreso.

 

 

 

 


«Quello che c’è di emozionante negli adolescenti è che tutto quello che fanno, lo fanno per la prima volta».
F. Truffaut.



Corpi che si muovono, avvitano, sbattono, schiumano nel liquido amniotico di un mondo protetto, ancora vergine e cercano di uscire dalle pareti della pelle, dalle proprie forme, da paure sotterranee per sincronizzarsi col mondo.

Tre ragazze: Marie, Anne e Florianne, tre corpi diversi, corpi come tentacoli; e tre caratteri diversi ma uniti da un’insicurezza di fondo: il fondo appunto di una piscina che è il luogo per mettersi a nudo, scoprirlo nelle forme abbondanti e impacciate di Anne o nei piedi nudi che passeggiano per il corridoio degli spogliatoi di Marie o nella sincronia dei movimenti in acqua in Florianne. Nulla è sfrontato, nemmeno il corpo chiuso nel proprio involucro, questo caldo respiro non strappato ancora dall’esperienza : “Ho un po’ paura” dirà Anne salendo in bici con la sua amica del cuore, mentre dopo scivoleranno via lungo le strade di un paese fantasma (fuori dalla narrazione) e come in Tomboy, secondo lungometraggio della Sciamma, la splendida apertura del film è una corsa alare di Laure/Micheal a palmo aperto contro il tempo che lo attraversa, ad occhi chiusi mentre il passato è alle spalle, pregustando il cambiamento nella luce che viene. Il sesso non viene mai esibito, ma continue sono le allusioni nel movimento morbido e torbido di Florianne, nelle sue labbra morbide, nel seno sviluppato, nella capacità di saper “stare al mondo”, sincrona con il resto della sua piccola comunità di amici (piccola società fatta di regole, atteggiamenti, tabù), resistendo alla fatica del gruppo, alla rivalità tra compagne, ai desideri sessuali maschili, a questo continuo contare-dosare i gesti per non sentirsi mai fuori. Questo passaggio da un mondo all’altro, da una scoperta all’altra (“non guarderò mai più i soffitti come prima”) rimarca la voglia di sperimentare, di rompere una corazza, e così il corpo spigoloso di Marie esce dalle pareti vuote della sua stanza, sperimenta  questo “gregge” così grande e forse raggiungibile se si impara a starci dentro. Guarda da lontano sott’acqua gambe e battiti che seguono uno stesso tempo mentre lei  è distante, diversa, “bimba dalle tette piccole” ma in fondo “chi vuol essere normale”? E si pensa incastrata ancora nel proprio guscio animale, quella tartaruga che stuzzica e che spinge a stare in acqua, a entrare in contatto con qualcosa, con qualcuno; e si ritrova stretta dentro una vasca da bagno, un perimetro ancora troppo piccolo per contenere qualcun altro, per contenere anche se stessa e il suo corpo così asimmetrico che un braccio le sembra essere più corto dell’altro.

In Tomboy il film scorre leggero, naturale, sciolto nei gesti (più che nelle parole) della protagonista che decide di cambiare, ricrearsi un’identità sessuale (giocando a calcio, sputando a terra) e quindi creare e ricreare mondi possibili, come la sorella più piccola nel suo sognare di essere una parrucchiera, o giocare ad avere realmente un fratello. C’è quasi la voglia di non diventare qualcosa di già stabilito perché certificato dalla nascita, ma essere altro da sé in continuo divenire, “per non avere più un volto”, un’immagine già tracciata, e sentirsi nel mondo come la prima volta, senza pudore, senza barriere o percorsi da seguire; e se non sono le parole a riempire questi corpi, lo è l’ambiente che li circonda: cortili e boschi e laghi, spazi ariosi e luce e respiri ampi di grida, corse incontro a un pallone, incontro al proprio simile, perché entrambi innocenti, prima che il tempo entri in gioco, prima che il gioco smetta di esistere (Tomboy) e man mano che si cresce come perimetri sempre più chiusi, stretti come le quattro pareti di una stanza da letto, i corridoi di una piscina, gli scantinati di un garage (La nascita delle piovre). Gli spazi, come anche i movimenti, sono limitati: è il corpo ora a svilupparsi, a scoprirsi con vergogna, e le stesse pulsioni erotiche vengono solo mimate affinché ogni azione resti sospesa e l’immagine stessa si presenti pura, vergine. Così il bacio, il sesso, il corpo restano impigliati, trattenuti negli occhi ingenui di Micheal/Laure in Tomboy, o nella vicinanza di corpi che danzano, di bocche che si avvicinano, si sfiorano, mimano un gioco sessuale, sospirano ma che ancora restano inviolati (o si presentano impacciati).


L’adulto scompare, non può comunicare con questo mondo piccolo eppure immenso, perché spenta è la sua fiamma primigenia, lo spirito innocente di quel fanciullino “che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle” (Pascoli). Si scorgono così rimandi al cinema di Truffaut, a quel tredicenne imprigionato in una giostra che gira e gira ed è piena di occhi, di sagome, di regole e costrizioni asfissianti nei Quattrocento colpi. In ogni caso l’adolescente non si accetta e non si sente accettato, è vittima di un mondo che non può essere modellato a proprio piacimento (semplicemente utilizzando una plastilina colorata) ma deve imparare a saper gestire quella giostra centrifuga, tuffarsi per la prima volta, respirare il fondo e poi risalire abbracciando il pelo dell’acqua, guardando in alto “l’ultima cosa che si vede” prima che il tempo torni a invadere tutto, ogni cosa.





Titolo: Naissance des pieuvres
Anno: 2007
Durata: 100
Origine: FRANCIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM
Produzione: BALTHAZAR PRODUCTIONS

Regia: Céline Sciamma

Attori: Pauline Acquart (Marie); Louise Blachère (Anne); Adèle Haenel (Floriane); Warren Jacquin (François); Serge Brincat; Jérémie Steib; Christel Baras; Marie Gili-Pierre; Yvonne Villemare; Esther Sironneau; Christophe Vandevelde.
Sceneggiatura: Céline Sciamma
Fotografia: Crystel Fournier
Musiche: Para One
Montaggio: Julien Lacheray
Scenografia: Gwendal Bescond
Costumi: Marine Chauveau

Riconoscimenti

Reperibilità

http://www.youtube.com/watch?v=dgptas0r9XQ

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