altC’era una volta: è la promessa di una narrazione, di Mysterious object at noon, di un allontanamento dal presente: un viaggio, quello del cinema di Weerasethakul, che sin dal suo esordio si addentra nel territorio thailandese, quotidiano militarizzato, realtà tropicale in bianco e nero da cui far riemergere quel paesaggio misticheggiante e trasognato dei racconti popolari, dei miti e delle leggende, che si ritrova come dolcemente sospeso sulle palpebre di chi quasi ammalato favoleggia a occhi aperti, alla luce alta del mezzogiorno o del meriggio, luogo del quotidiano assopito, rivelazione impenetrabile.


Mysterious object at noon, di questo territorio, ammaliato, di questa febbre, diviene documento in viaggio, incamminandosi per battere l’intero paesaggio thailandese alla ricerca di un raccordo e di un racconto popolare improvvisato, realistico quanto fantastico, da ascoltare e far riallacciare a ogni spostamento, da Bangkok a Chiang Rai sino a Panyi island. Questa narrazione popolare in fieri sembra rassomigliare a un laboratoriale e bretoniano gioco d’inconscio e parole (cadaveri eccellenti), come a un artigianato di racconti, o a quel particolare fantasticare semplice, libero e fanciullesco, che amava Rodari.

Come in un binomio fantastico, le parole non sembrano «prese nel loro significato quotidiano, ma liberate dalle catene verbali di cui fanno parte quotidianamente […] gettate l’una contro l’altra in un cielo mai visto prima» terreno fertile di una storia, poiché «la parola singola agisce solo quando ne incontra una seconda» che la muove «a scoprirsi nuove capacità di significare.» (Rodari 1973, p. 25)

Così la narrazione che comincia per voce di una venditrice ambulante, si affranca della realtà quotidiana, dalla sua storia dolorosa, per significare diversamente; e quando nel racconto improvvisato della venditrice, priva di nesso, una sfera nera, oggetto misterioso, cade dalla gonna di un’educatrice di un fanciullo su una sedia a rotelle, l’immaginazione di una sorridente vecchietta, che si ritrova a proseguire il racconto, la fa divenire la rotonda casa scura nella quale un bambino si è rifugiato, e dalla quale fuoriesce, varcando d’un balzo lo spaesamento che prende corpo in un oggetto misterioso.

Prosperano da questo laboratorio narrativo – teatrale come la compagnia che inscena e prosegue il racconto – da questo cielo del mezzogiorno, le vite successive del cinema di Weerasethakul; c’è in nuce in Mysterious object at noon tutta la materica immaginifica, genesi delle costanti visite mediche: quelle per un nuovo apparecchio acustico, dei segni sul corpo, degli unguenti da prescrivere: un territorio dove vagano liberi animali d’ogni genere, quasi fossero frutto d’immaginazione, o suggerimento fantastico.

Questa narrazione orale, fiaba o favola che dir si voglia, che s’incammina lungo tutto il territorio thailandese, si fa da sé, priva di un narratore padrone dell’enunciato, della parola, d’un regime militare, d’una storia già scritta: ogni cosa è liberata ad una oralità che è scrittura in voce, e che saltella per echi da un paesaggio all’altro, da una voce all’altra. Weerasethakul sembra forse solo l’osservatore e l’ascoltatore divertito, che trascrive nel suo diario di viaggio – al punto da firmarsi come semplice montatore.

Quando oramai la narrazione, il raccordo popolare, sembra giunto a conclusione, non avendo nessuna volontà di un narrare che si dica o si dice esaustivo o esausto, ma di un giocare spensierato con la lingua dei segni, con le parole, al gioco dell’allontanamento dal presente, dell’immaginazione, quello del C’era una volta, ricomincia una nuova storia per voce di un fanciullo di una scuola elementare: racconta di uno sparo rimbombante nelle profondità della foresta, di una tigre misticheggiante, impassibile. Racconto popolare, lettera che sembra rimandare a quel C’era una volta a venire di Tropical malady (2004).

Mysterious object at noon come una narrazione popolare, favoleggiante, appare per sua natura imprevedibile, «bellezza e paura» sembra la costanza, e in questo i bambini sembrano avere «organi misteriosi, di presagio e di corrispondenza» (Campo 1987, p. 39); del resto nelle fiabe come in Mysterious object at noon «di rado si sa verso dove si vada, o anche solo verso che cosa si vada […] è la parola a chiamare: l’astratta, colma parola, più forte di qualsiasi certezza» (ibidem, p. 17); e quando il C’era una volta smette con l’oralità non resta che rituffarsi nel gioco e nella meraviglia del movimento, nel correre dietro ad un pallone che rotola imprevedibile, con le palpebre ancora ammantate, fanciullesche, alla luce dell’assolato mezzogiorno, o del meriggio.


Bibliografia

Rodari G. (1973): Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino.

Campo C. (1987): Gli imperdonabili, Adelphi, Milano.


Filmografia

Tropical Malady (Sud pralad) (Apichatpong Weerasethakul 2004)



Titolo:
Mysterious object at noon (Dokfa nai meuman)
Origine: Thailandia
Anno: 2000
Durata: 83'
Colore: B/N
Genere: DRAMMATICO, MISTERY
Specifiche tecniche: 1.37:1
Produzione: Hubert Bals Fund, 9/6 Cinema Factory, Firecracker Film, Fuji Photo Film, Thailand
Restauro: World Cinema Foundation, Austrian Film Museum, LISTO laboratory, L'immagine Ritrovata, Technicolor Ltd

Regia: Apichatpong Weerasethakul

Fotografia: Apichatpong Weerasethakul
Montaggio: Apichatpong Weerasethakul


http://www.youtube.com/watch?v=Jt9mREqcXAM

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