Michael è un giovane assicuratore modello con un orrendo segreto da nascondere. Nessuno lo scopre, almeno fino a quando la madre non scende nello scantinato della sua abitazione. Una porta blindata la separa da una verità che ci pone davanti alla “iper-normalità” dell'abiezione umana.
Dietro un'impeccabile patina di ordine e pulizia il tarlo è sempre all'opera. E se è vero che «le strutture architettoniche forniscono all'uomo schermi dietro cui si può celare» (Hall, 1988, p. 133), in Michael il bianco immacolato delle superfici tradisce in realtà la sporcizia di una mente deviata. In un anonimo contenitore borghese (una villetta a schiera), le serrande elettriche che delimitano lo spazio del non-mostrabile si abbassano lentamente. Come le palpebre degli indifferenti ai destini dell'infanzia violata. Wolfgang, dieci anni, è l'ennesimo caso di bambino scomparso nel nulla1, ingoiato nel ventre di una “balena bianca”.
Un ventre oscuro e claustrofobico (un seminterrato), ma accogliente in quanto dotato di giocattoli e comfort necessari, dove il piccolo trascorre cinque lunghi mesi di segregazione. Non sappiamo nulla di lui, né del come e perché sia finito lì. Il desaparecido austriaco, che si ostina a scrivere lettere che i suoi genitori non leggeranno mai perché sequestrate, non ha un passato conoscibile. E anche il suo futuro - come vedremo in più di un frangente - appare legato a un indecifrabile filo (chi lo tiene prigioniero viene investito da un auto e finisce in ospedale).
L'esordiente Markus Schleinzer, per molti anni direttore del casting per Michael Haneke, ci dice molto al contrario del suo carceriere. Quest'ultimo viene “pedinato” quotidianamente nella ripetitività delle azioni: il lavoro; la spesa; la cena; le faccende domestiche. Il giovane impiegato Michael (in odore di promozione), che pure ha una famiglia ma non dà confidenza a nessuno, neppure ai colleghi d'ufficio, ci viene raccontato in una dimensione di iper-normalità e di quasi totale solipsismo. E quindi, lo osserviamo mentre mangia2 da solo alla mensa, guarda la televisione sul divano, oppure mentre fuma in giardino.
Ciò che invece viene negato alla nostra vista, ma che è facilmente intuibile, è il momento dell'abuso. Ogni mattina l'uomo, prima di cominciare la giornata, fa visita al suo “oggetto del piacere”: scende nel sottoscala e apre la porta blindata del “Kindergarten”, celeste come il paradiso. Ma noi rimaniamo fuori. Come ne Il nastro bianco di Haneke, quando la punizione corporale inflitta da un padre a suo figlio rimane confinata dietro un invalicabile uscio. Mentre la violenza - secondo un'idea di messa in scena perturbante - occupa il fuori campo, la prostrazione psicologica serpeggia tra le mura di un bunker insonorizzato. E lavora ai fianchi sia personaggi che pubblico.
Se dunque il lato più esecrabile del “mostro” è interdetto al nostro sguardo in virtù di un modus filmandi che rifugge la morbosità della sessualizzazione (già inaugurato con efficacia da Todd Solondz in Happiness), quello apparentemente sano è visibile attraverso numerosi episodi. Michael consente a volte al bambino di cenare con lui, pulisce la sua camera e la riempie di provviste alimentari (il contesto bulimico di viveri è una costante). E ancora: lo cura quando ha la febbre e gli fa perfino dei regali. Un giorno lo porta anche a fare una gita in campagna, a vedere gli animali. E si preoccupa di procurargli (o procurarsi? - l'ambiguità è d'obbligo) un compagno di giochi.
Affidandosi ad una scrittura essenziale, metodica, Schleinzer fa il ritratto di un 35enne goffo, ridicolo, con evidenti limiti nei rapporti con le donne: non riesce a penetrare la barista di uno chalet. Senza indagare le cause o abbozzare facili pretesti psicologici, il regista viennese prima respinge l'ansia di sapere e di empatia dello spettatore presentando una figura disturbante, poco strutturata, debole (e proprio per questo più umana, come quella solondziana del papà pedofilo).
E poi, nei dieci minuti finali, in cui si compie la tragica espiazione (l'uomo finisce fuori strada con la sua auto dopo essere stato accecato dal bambino con dell'acqua bollente), riapre il canale di comunicazione con i suoi interlocutori, “costringendoli” ad interessarsi delle tristi sorti dei due protagonisti. Insomma, siamo tutti invitati al funerale di Michael. Nessuno escluso. E che ne sarà invece di Wolfgang?
La scoperta della verità nell'ultima sequenza, ad opera della madre del carnefice, ci pone di fronte ad un epilogo del tutto aperto. E soprattutto spiazzante. Non può infatti non lasciarci disorientati la scelta del brano Sunny sui titoli di coda. Fino ad un certo punto, però. Da buon allievo, Schleinzer ha rubato “l'arte dello sdrammatizzare” dalla collega Jessica Hausner: se ricordate bene, il suo Lourdes terminava sulle spensierate note di Felicità di Al Bano e Romina.
Note
1. La storia raccontata nel film ricorda alcuni terribili episodi di cronaca, come quello di Natascha Kampush, tenuta nascosta per otto anni nella cantina di un appartamento alla periferia di Vienna da Wolfgang Priklopil; oppure di Elisabeth Fritzl, che ha vissuto per ventiquattro anni in un bunker sotterraneo costruito dal padre in una cittadina della Bassa Austria. ↑
2. Le scene dei pasti scandiscono la solitudine del protagonista, il quale colma il suo vuoto esistenziale proprio attraverso il cibo: «Riempirsi, in un modo o nell'altro, significa evitare il nulla, la mancanza, l'assenza, significa occupare tempo, spazio, e pensieri, anche se si ha l'impressione di vivere solo grazie ad un comportamento ripetitivo e senza fine. […] significa aggrapparsi a un “quantitativo” necessario per vivere» (Poudat, 2006, p. 99). ↑
Bibliografia
F. Fogliato (2008): La visione negata. Il cinema di Michael Haneke, Falsopiano, Alessandria.
E. T. Hall (1988): La dimensione nascosta, Bompiani, Milano.
D. Mondella (2010): Sgradevole è bello. Il mondo nel cinema di Todd Solondz, Pendragon, Bologna.
F. X. Poudat (2006): La dipendenza amorosa, Castelvecchi, Roma.
Filmografia
Happiness (Todd Solondz, 1998)
Il Nastro bianco (Das weisse Band) (Michael Haneke, 2009)
Lourdes (Jessica Hausner, 2009)
Titolo: Michael
Anno: 2011
Durata: 105
Origine: AUSTRIA
Colore: C
Genere: COMMEDIA, DRAMMATICO
Produzione: NGF - GEYRHALTER GLASER KITZBERGER WIDERHOFER
Regia: Markus Schleinzer
Attori: Michael Fuith (Michael); David Rauchenberger (Wolfgang); Christine Kain (Madre); Ursula Strauss (Sorella); Viktor Tremmel (Fratellastro); Xaver Winkler (Nipote); Thomas Pfalzmann (Nipote); Gisela Salcher (Christa); Isolde Wagner (Collega ufficio); Markus Hochholdinger (Collega caffetteria); Susanne Rachler (Collega ufficio); David Oberkogler (Sig. Ehrnsberger); Katrin Thurm (Collega ufficio); Martin Schwehla (Collega ufficio); Olivier Beaurepaire (Uomo allo zoo); Samy Goldberger (Bambino allo zoo); Martina Poel (Madre); Mika Sakurai (Figlia).
Sceneggiatura: Markus Schleinzer
Fotografia: Gerald Kerkletz
Montaggio: Wolfgang Widerhofer
Scenografia: Katrin Huber, Gerhard Dohr
Costumi: Hanya Barakat
Riconoscimenti
Reperibilità
http://www.youtube.com/watch?v=0vdo0rV1VQ4