altAntefatto
Succede che durante le giornate della 22a edizione del Milano Film Festival venga organizzata una performance-incontro dal titolo Falsiritorni (dall’oltrecinema). A fare da relatori ci sono Emiliano Montanari ed enrico ghezzi che partendo dalle suggestioni de L'avventura (il cui set diventerà per ghezzi una delle tante magnifiche ossessioni1) si abbandonano a un flusso di coscienza sul cinema, l’archeologia delle immagini e i ritorni. In questa discussione dissennata, dove a imporsi è la monologia ghezziana, a un certo punto colgo (tra indistinto brusio) parole chiare: «al cinema non esiste la prima visione. Solo seconde, terze, quarte... visioni». E quella che lì per lì mi sembra poco più di una frase ad effetto, due giorni dopo si carica di senso.


Accade durante la visione di Meteorlar di Gürcan Keltek, un racconto, riprendendo quanto scritto da Lara Casirati, «che si snoda tra le macerie – territoriali, umane, linguistiche – di uno sterminio, tra le rovine di una “città su cui tutti credono di avere il controllo, ma in cui non è rimasto più nulla da controllare”». E le parole di ghezzi riaffiorano nel corso della proiezione perché, in questa opera prima, Keltek lavora su immagini di guerra (come fa notare Pietro Bianchi, il film è «uno dei primi [...] tentativi di rappresentare il Kurdistan post-Erdoğan) che dobbiamo considerare come lo scenario attualmente più mediatizzato e perciò visivamente sovraesposto.

Se da un lato Keltek, sfruttando in chiave antinaturalistica le possibilità di ripresa del dispositivo, sfida l'ovvietà della visione dandoci l'impressione di vedere come se fosse la prima volta, raggiungendo vette di visionarietà che ci fanno percepire il reale mostrandocelo allo stesso tempo trasfigurato, dall'altro, invece, sottolinea che le immagini di fronte a noi sono in realtà la conseguenza di uno sguardo e quindi già precedentemente viste. Questo si fa evidente in particolare in due momenti: all'inizio del film, quando, attraverso riprese in soggettiva, viene fatto coincidere il nostro colpo d'occhio con quello di chi sta puntando dentro a un mirino (il termine inglese “to shot”, del resto, rimarca questa continuità tra l'atto di riprendere e quello di sparare2); e successivamente nel momento in cui i bambini raccontano in camera la guerra (che è il loro solo orizzonte e unico confine), e lo fanno riproponendo all'obiettivo le immagini scattate con i loro cellulari.

Meteorlar è un'opera che riaccende nello spettatore interrogativi sempre urgenti: cos’è l’immagine? Cos'è il realismo? Come si filma la morte? Come si filma la vita? Gli stessi suscitati da un film come Eau argentée, Syrie auto-portrait di Ossama Mohammed e Wiam Simav Bedirxan, che, con ancora maggior radicalità (qui si ha che fare con mille e una immagine, mille e una storia, mille e un regista), compie un'analoga riflessione sullo statuto della visione.

I due momenti descritti dicono del moto immersivo che compie Meteorlar: da un approssimarsi all'immagine fino a un'estrema prossimità, tanto che il film, a un certo punto, arriva a farsi raccontare dalle memorie di una scrittrice che assiste al conflitto (e vediamo proprio le sue parole incidersi come segno grafico sulla pagina; scelta che evidenzia, ancora una volta, come la nostra condizione di spettatori cinematografici ci condanni a vedere sempre solo e soltanto il riflesso delle cose). A questo movimento ne segue uno diametralmente opposto, rivolto verso una prospettiva cosmica, oltremondana: sul finale vediamo uno sciame di meteoriti cadere sul Kurdistan nel novembre del 2015, proprio nel momento più caldo della guerra; una pioggia stellare che è stata capace, per un attimo, di fermare il conflitto. Chi assisteva allo spettacolo, probabilmente in maniera inconscia, deve aver sentito l'irrilevanza dell'umano e che da lassù essere morti o essere vivi è la stessa cosa.


Note

1 - «Mi piacerebbe rifare L'avventura a colori» dirà un giorno Michelangelo Antonioni. enrico ghezzi, affiancato da Michele Mancini, lo prende in parola e nel luglio del 1983 riporta il regista a Lisca Bianca, l’isola set del suo film, dove con due troupe filmano Inserto girato a Lisca Bianca (nel montaggio di Antonioni) e Lisca BiancaFalsiritorni (in quello di ghezzi). Nel corso dei decenni successivi ghezzi ritornerà più volte per rifilmare ulteriori (falsi)ritorni di quella che diventa l’isola set dell’ossessione.

2 – «La preda esige la messa a fuoco: lo sguardo che isola, restringe il campo visivo in un punto. È una conoscenza che procede per cesure successive, ritagliando figure da un fondo. Circoscrivendole, le isola come bersaglio. Anzi, il gesto del ritagliarle è già il gesto che le colpisce. Altrimenti non nasce la figura» (Calasso 2016, p.11).


Bibliografia

Calasso R. (2016): Il Cacciatore Celeste, Adephi, Milano






Titolo: 
Meteorlar
Anno: 2017
Durata: 84’
Origine: Olanda, Turchia
Colore: B/N
Genere: Documentario, Sperimentae
Produzione: 29P FILMS

Regia: Gürcan Keltek

Interpreti: Ebru Ojen
Sceneggiatura: Gürcan Keltek
Fotografia: Mustafa Şen, Fırat Gürgen
Montaggio: Fazilet Onat

Riconoscimenti

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