altLe immagini favolose di Métamorphoses di Christophe Honoré godono di un’aura fortemente cinematografica poiché, come ci ricorda Pavese per bocca di Leucotea, gli dèi non sono altro che il luogo, la solitudine e il tempo che passa; e, dopotutto, cos’altro mostra il cinema se non l’apparire dell’essente non come essere ma come divenire?

 

 


Proprio come di fronte a una inquadratura o, per esempio, a un piano sequenza, nelle Metamorfosi di Ovidio si viene completamente ammaliati dalla continuità e dalla mobilità del tutto, dall’unità e dalla vicinanza di ciò che esiste. D’altronde la visività, la plasticità e il senso del colore della scrittura ovidiana sembrano conferire una disposizione cinematografica al testo, tanto da aver spinto Italo Calvino a celebrarne il ritmo definendolo come «poema della rapidità: […] dove ogni immagine deve sovrapporsi a un’altra immagine, acquistare evidenza, dileguare». (Calvino 2014, pag.XII)

Rivisitando in chiave moderna alcuni episodi della corposa opera del poeta di Sulmona e intrecciandoli in tre capitoli attraverso la figura paradigmatica di Europa – che, alla maniera di un Bildungsroman, troverà la guida in Giove, Bacco e Orfeo per un viaggio iniziatico tra boschi onirici e rigogliosi - Christophe Honoré sigla la più importante delle metamorfosi: quella del suo cinema.
Pensando a Pasolini (la trilogia della vita) e a Straub (le trasposizioni pavesiane), ma anche, azzarderei, a certo cinema contemplativo contemporaneo come quello di Weerasethakul (su tutti, forse, Blissfully Yours e Lo Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti), il regista bretone recide di netto il cordone ombelicale che lo lega alla città e si affranca dagli sfilacciati intrecci sentimentali dei mortali per affidare totalmente lo sguardo agli spazi naturali e a quell’ imprendibile velo di ombra e sogno che li circonda.
È lì, dove propriamente si addensa il mitologico e il fiabesco, che sembrano attecchire i semi di quell’erotismo diffuso che irradia il suo cinema fin dagli esordi. A ben vedere, si spinge coraggiosamente anche oltre accarezzando il sovrannaturale ed evocando la deità: ogni immagine sembra piegarsi a dare corpo e desiderio all’invisibile.

Invisibile, che non è solo l’intangibile soffio di un mondo superiore a quello degli uomini, ma anche lo spazio di sparizione dove il bipede implume (Cortàzar) conduce la ben più intensa realtà naturale - come la flora, la fauna e le più piccole particelle minerali - attraverso una sistematica e prepotente devastazione della vita dettata dalla cieca corsa al dominio territoriale ed economico. Eppure basterebbe leggere, per esempio, Cesare Viviani che nella sua penultima ed esilissima prova poetica, dal titolo bellissimo Credere all’invisibile, prova ad indicare, alla maniera del primo Leopardi, il sentiero da imboccare: «è la pietra il tuo volto / l’albero il tuo corpo e il tuo animo / il bosco che hai voluto lasciare / era la vita.»
D’altra parte è impresa ardua risvegliare certi sentimenti nell’irriducibile abbruttimento del nostro tempo. Però, si sa, fortunatamente, Pandora scoperchiando nuovamente il vaso rivelò alla luce anche la speranza. E, infatti, proponendo l’attualità del mito e dei suoi luoghi perduti, possiamo facilmente intuire l’intento di Honoré: provare a saldare il grande debito culturale dell’Europa intera nei confronti della Grecia. Quell’Europa che oggi si fa funesta creditrice, proprio nei confronti della terra di Omero, accecata com’è dalla spietata legge della fredda macchina economica che la sostiene. Rimossa la tragica leggerezza mitica delle origini in favore di un genocidio spirituale senza precedenti, il Vecchio Continente, oramai, appare sempre più come un corpo stanco, svuotato di senso, prossimo al suo tramonto.

Al contrario, preda di un labirinto di passioni e istinti incontrollabili, ben più vivi appaiono i corpi in Métamorphoses. Si cercano, si toccano, si penetrano. «Nucleo irrinunciabile ad ogni nostro sapere, dal quale solo può partire e al quale solo può ritornare la nostra credenza nel mondo» (De Gaetano 1996, pag.95), il corpo - come del resto nei suoi precedenti lungometraggi - da Tout contre Léo (2002) passando per Ma mère (2004) fino a raggiungere Homme au bain (2010) – assume una posizione nevralgica ed essenziale. E in fin dei conti il senso di questo ruolo privilegiato lo si può ricondurre alla delicata e spinosa questione dell’identità che è da sempre la colonna portante del cinema di Honoré.
Scivolando inevitabilmente nel raggio insidioso di un discorso etico e politico, egli infatti ci dice ancora una volta qualcosa intorno al diritto all’alterità e alla pluralità delle identità. Cosicché la metamorfosi, simbolicamente, da evento tragico e distruttivo, bagnato da lacrime e rimorsi, lascia emergere una violenta affermazione di vita in quel passaggio des formes en des corps nouveaux che ne custodisce e riconosce comunque il diritto all’esistenza.

Così, pur sempre restando in un limbo ambiguo e indecifrabile, che è lo spazio proprio e irrinunciabile del mito, il fulcro di questa trasposizione cinematografica si tiene puramente nel gioco febbrile delle forme che cambiano, dei corpi che diventano altro e che proprio in questo mutamento irreversibile trovano una rinnovata parvenza dove poter esperire il proprio esserci.
Allora, non sembrerà del tutto azzardato dire che le Métamorphoses s’impone, senza indugi e in maniera incontrovertibile, come manifesto dell’intero percorso cinematografico di Honoré, proprio per questa audace tensione al riconoscimento di uno spazio necessario e indifferibile per l'alterità e la differenza.



Bibliografia

Publio Ovidio Nasone (2014): Metamorfosi, Einaudi, Torino.

De Gaetano R. (1996): Il cinema secondo Gilles Deleuze, Bulzoni, Roma.

Viviani C. (2009): Credere all'invisibile, Einaudi, Torino.

Pavese C. (1999): Dialoghi con Leucò, Einaudi, Torino.





Titolo: Métamorphoses
Anno: 2014
Durata: 102
Origine: Francia
Colore: C
Produzione: LES FILMS PELLÉAS IN CO-PRODUZIONE CON FRANCE 3 CINÉMA, LE PACTE

Regia: Christophe Honoré

Attori: Amira Akili - Europa, Sébatien Hirel - Giove, Mélodie Richard - Giunone, Damien Chapelle - Bacco, George Babluani - Orfeo, Matthis Lebrun - Atteone, Samantha Avrillaud - Diana, Coralie Rouet - Io, Nadir Sönmez - Mercurio, Vincent Massimino - Argo, Olivier Müller - Pan, Myriam Guizani - Siringa, Gabrielle Chuiton - Bauci, Jean Courte - Filemone, Rachid O. - Tiresia, Arthur Jacquin - Narciso, Anna Camplan - Miniade, Eléonor Vergez - Miniade, Margot Guitton - Miniade, Julien Antonini - Ermafrodito, Marlène Saldana - Salmacide, Yannick Guyomard - Penteo, Jimmy Lenoir - Cadmo, Vimala Pons - Atalanta, Erwan Ha-Kyoon Larcher - Ippomene, Keti Bicolli - Venere.
Scenggiatura: Christophe Honoré
Fotografia: André Chemetoff
Montaggio: Chantal Hymans
Scenografia: Samuel Deshors
Costumi: Pascaline Chevanne

Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=lzRZv2pDlbA

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