«Le trame dei film sono l'oppio del popolo. Viva la vita com'è!» Džiga Vertov
Lascio una scia bianca e inquieta, […].
Le onde invidiose si gonfiano ai lati
per sommergere la mia traccia:
facciano, ma prima io passo.
(Achab, Moby Dick)
È la crisi, declinata in sovrastante potenza espressiva, del regime di visione fondato sullo sguardo centripeto, esclusivo, che cede all’offensiva di un regime di fruizione flessibile, di uno sguardo instabile, volubile; uno sguardo multicentrico, attratto da più poli e oggetti di attenzione.
In Leviathan di Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor la tratta di un peschereccio, che ripercorre la navigazione solcata dal Pequod nell’inseguimento a Moby Dick, non è soltanto occasione per scandagliare la reale natura dei transiti marittimo-commeciali, tracciati aventi come unica coordinata geografica il profitto predatorio mosso da logiche di sfruttamento consumistico, ma anche occasione per forzare ai limiti le nuove potenzialità dell’occhio cinematografico, perché, seppur non possiamo rendere migliori i nostri occhi di quanto essi non siano, disponiamo delle capacità e dei mezzi per perfezionare ininterrottamente la macchina da presa.
Si rimane atterriti, quasi terrorizzati, dall’imponenza visiva dell’opera, peraltro ottenuta attraverso il massimo assottigliamento dello strumento di ripresa: l’impiego di una dozzina di GoPro, miniCam waterproof, lanciate, legate, passate di mano dai pescatori ai registi. Immagini di una forza incontrollabile perché clamorosamente casuali, affidate ad una sorta di moderno occhio meccanico vertoviano. I registi si sottraggono alla ripresa affidandosi quasi completamente allo sguardo disumanizzato delle minicamere. L’innovazione estetica dei contenuti e della forma è diretta conseguenza delle caratteristiche tecniche del mezzo.
In Leviathan si compie il supremo scacco all’arrogante miopia delle prospettiva umanocentrica, ogni soggetto presente sulla nave dispone di un proprio punto di vista e tra questi non intercorre rapporto gerarchico alcuno. Gli occhi che esplorano e perlustrano il reale sono al tempo stesso un elemento di quel reale, non esterni all’universo che vanno riprendendo, ma parte integrante di esso. Come direbbe Merleau‐Ponty: lo sguardo non è fuori dal mondo, ma ne fa parte, il vedente vede solo in quanto è anche visibile (Merleau‐Ponty 1989).
Paravel e Castaing-Taylor, quasi con spregio lovecraftiano, non si curano assolutamente dei rapporti umani, le parole tra i pescatori sono indecifrabile borbottio; è soltanto la relazione con l’ignoto, con il «terrore oceanico a livello spinale […], la percezione del mare come nada primordiale, senza fondo» (Wallace 2010, p.23) ad accendere in loro la scintilla dell’immaginazione creativa.
La fruizione avviene sotto le insegne dell’incertezza e dell’instabilità, della pluralità di prospettive. Una continua mobilità di situazioni senza stabili punti di riferimento che chiama in causa la libertà e la responsabilità dello spettatore a cui è chiesto di apportare adeguate condotte e appropriati stili di visione. Spettatore che, in relazione a quanto detto, gode della posizione di soggetto onnipercipiente, è pura istanza della percezione.
In Leviathan torna a prendere prepotentemente voce uno dei principali protagonisti delle dinamiche della visione, troppo spesso messo a tacere, il cine-occhio:
«io sono il cine-occhio. Io sono l'occhio meccanico. Io macchina, vi mostro il mondo, tale come soltanto io posso vederlo. Io libero me stesso da oggi per sempre dall'immobilità umana, io sono il movimento incessante, io mi avvicino e mi allontano dagli oggetti, io striscio sotto di loro, io mi arrampico su di loro, io avanzo accanto al muso di un cavallo che corre, io piombo a tutta velocità nella folla, io corro davanti ai soldati che caricano, io mi rovescio sul dorso, io mi sollevo assieme agli areoplani, io cado e mi innalzo con i corpi che cadono e si innalzano [...] Liberato dai limiti temporali e spaziali, io confronto ogni punto dell'universo con la posizione in cui l'ho fissato. La mia strada porta alla creazione di una percezione attuale del mondo. Ecco io decifro in modo nuovo un mondo a voi sconosciuto» (Vertov 1923).
Bibliografia
Merleau‐Ponty M. (1989), L’occhio e lo spirito, SE, Milano
Vertov D. (1923) in Dubois P., Mélon M., Dubois C., CINEMA e Video: Compenetrazioni in. Lischi S, Cine ma video, ETS, Pisa, 1996
Wallace D.F. (2010), Una cosa divertente che non farò mai più, Minimum Fax, Roma
Titolo: Leviathan
Anno: 2012
Durata: 87
Origine: GRAN BRETAGNA, FRANCIA, USA
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO
Specifiche tecniche: DCP
Produzione: LUCIEN CASTAING-TAYLOR, VERENA PARAVEL per ARRÊTE TON CINÉMA
Regia: Lucien Castaing-Taylor, Verena Paravel
Attori: Declan Conneely, Johnny Gatcombe, Adrian Guillette, Brian Jannelle, Clyde Lee, Arthur Smith, Christopher Swampstead (intrerpreti di se stessi)
Sceneggiatura: Lucien Castaing-Taylor, Verena Paravel
Fotografia: Lucien Castaing-Taylor, Verena Paravel
Montaggio: Lucien Castaing-Taylor, Verena Paravel
Suono: Lucien Castaing-Taylor, Ernst Karel, Verena Paravel
Riconoscimenti
Reperibilità
http://www.youtube.com/watch?v=iB7jfFeRSYI