les-amours-imaginaires-7-gL’utopia del ménage à trois, gli amori impossibili. Xavier Dolan raccoglie e rivisita gli occhi tristi, le teste basse, i baci rubati di certo cinema francese nella personale e narcisistica veste omosessuale.






«Il n’y a de vrai au monde que de déraissoner d’amour», questa citazione di Alfred De Musset, in apertura del film, traccia una radiografia dell’animo inquieto di Xavier Dolan, giovanissimo cineasta e attore canadese, e del suo cinema struggente e voluttuoso salito alla ribalta della critica internazionale negli ultimi tre anni. Appena ventenne debuttava con J’ai tué ma mère e solo un anno più tardi tornava dietro e davanti alla macchina da presa per realizzare Gli amori immaginari, secondo lungometraggio della trilogia sugli amori impossibili, capace di stregare Cannes e fare incetta di premi al Sydney Film Festival.

Il film orbita intorno al forte legame d’amicizia tra Francis (lo stesso Dolan), ragazzo sensibile e omosessuale, e Marie (Monia Chokri), affascinante silfide nevrotica, e la comparsa improvvisa nella loro quieta vita affettiva di una figura magnetica, il bell’Adone Nicolas (Niels Schneider); questi con affilata civetteria inclinerà l’idillio amicale fomentando una silente gelosia e rivalità tra i due amici, divenendo il recondito desiderio d’amore, «la possibilità di essere amati, non di amare» sostiene Dolan. L’equilibrio precario del ménage à trois, fulcro di quella vivida e sognante nuova ondata francese - di una nouvelle vague intrisa d’amore e morte (Jules et Jim), di quella rohmeriana, moraleggiante e letteraria (La collectionneuse), e di una nouvelle vague devota al musical (Une femme est une femme e il recente Les Chansons d’amour) - seppure rivisitato sotto un’insolita lente dalla gradazione omosessuale, avrà il suo culmine su un tappeto di foglie d’autunno, durante un apparente pacifico week-end di campagna, quando i due rivali in amore s’affronteranno animalescamente per contendersi Nicolas. Latitante dai due contendenti, egli diverrà miraggio impalpabile, stordimento della memoria; la lenta morte di Adone, seppur sofferta, tra frenesia e dolente rimembranza, non spingerà Francis e Marie a battersi il petto e a strapparsi le tuniche come ebbe a suggerire Saffo, ma li porterà a ritrovarsi nel legame d’affetto che li univa in passato.

Il cinema di Dolan sa ammaliare col suo tocco onirico che s’agita in quei disperati amplessi succhiati alla vita, suggellati con leggiadri frammenti à la Gus Van Sant (riprende gli amplessi stigmatizzati in fotogrammi di My own private Idaho) e girati alla moviola con rigogliosa grazia. Le inquadrature oculate e le pose studiate, tese verso una languida staticità compositiva, rievocano la Coppola più ispirata, quella dei suoi illuminanti esordi. La sensibilità ed eleganza della camera nello sfilare lemme sui corpi, tracciando precise pennellate, a intingere volti e corpi in un effluvio epico, rifinito da una colonna sonora senza tempo, ricordano il Wong Kar-Wai di In the mood for love e 2046. Torreggia la commovente Bang bang interpretata da Dalida, e che tornerà spesso a risuonare durante la pellicola, e ammantano le note brumose dei The Knife, con la trascinante Pass this one - che congelerà il suggestivo parallelismo tra Nicolas e la statua di Adone - e dei Fever Ray, con la gelida Keep the streets empty for me, vibrante sottofondo della sceneggiata di campagna.
Varcare la soglia dove immagine e musica collimano in un tutt’uno indissolubile è la chiave del cinema di Dolan: cesellare prodigiose sequenze in slow (e)motion quasi a voler esorcizzare tempo e materia, scavando un invisibile passaggio di segreta connessione, sympatheia, tutta giostrata sulla percezione, tra spettatore e attore, pubblico e divo/a (espliciti  e costanti i riferimenti a James Dean e Audrey Hepburn) in una celebrazione dell’eterno culto della bellezza.

Ma sullo sfondo di questa pomposa e luminescente facciata di (auto)celebrazione aleggiano pericolosi i fantasmi di un cinema troppo levigato, melenso, innervato di crucci adolescenziali e, che a tratti, sfugge verso apici stucchevoli insostenibili. Anche se, da quanto se ne è detto e scritto dall’ultima edizione del festival di Cannes, sembra che, a sorpresa, Laurence anyways, l’ultima sua fatica, abbia convinto ed emozionato anche la frangia di critica più intransigente. Muovendosi tra Truffaut e Resnais (la Nouvelle vague sembra essere il pozzo da cui attinge costantemente ispirazione), rilanciando Suzanne Clément, già apparsa nel suo primo film, e vestendo negli insoliti panni di un transessuale il grande attore francese Melville Poupaud, Dolan sembra essersi definitivamente smarcato dalla smania narcisistica e dai tormenti adolescenziali che invischiavano e intorpidivano la sua devozione per il cinema.






Titolo: Les amours imaginaires
Anno: 2010
Altri titoli: Heartbeats; Love, Imagined
Durata: 95
Origine: CANADA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO, ROMANTICO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)
Produzione: XAVIER DOLAN, CAROLE MONDELLO, DANIEL MORIN PER ALLIANCE ATLANTIS VIVAFILM

Regia: Xavier Dolan

Attori: Monia Chokri; Marie Camille; Niels Schneider; Nicolas M.; Xavier  Dolan; Francis Riverëkim; Anne Dorval; Anne-Élisabeth Bossé; Magalie Lépine-Blondeau; Olivier Morin; Éric Bruneau; Gabriel Lessard; Bénédicte Décary; Patricia Tulasne.
Sceneggiatura: Xavier Dolan
Fotografia: Stéphanie Biron Weber
Montaggio: Xavier Dolan
Scenografia: Xavier Dolan
Costumi: Xavier Dolan

Riconoscimenti


Reperibilità

http://www.youtube.com/watch?v=5m8ETKdB23Q

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