la_terre_abandoneeLa guerra civile nello Sri Lanka è colta in una pausa surreale che fa da sfondo alle vicende di esseri parziali rappresentati nella quotidianità di una vita senza aspettative. Abolito il mistero, il vento solo muove nella desolazione. 





«Il perturbante è quella sorta di spaventoso
che risale a quanto ci è noto da lungo tempo,
a ciò che ci è familiare»
S. Freud

È uno sguardo ronzante, da insetto superiore, quello che inquadra la vita schiacciata in un fosso polveroso.
Abbandonata è la terra, il primo uomo che la abita semplicemente ne ignora l’esistenza: vive nell’afa notturna un contagio primordiale che lo condanna alla ricerca senza oggetto, fa esperienza della vergogna e vaga nell’ombra in attesa che dio gli impedisca di sacrificare la vita su un altare sconsacrato. Gioca a fare la guerra illudendosi di poter cambiare le contingenze mentre un’Eva bruna accoglie il vento, un temporale vangoghiano si scioglie in ciocche di capelli neri, e i suoi occhi sanno che essendo tutto inventato per la prima volta tutto è dall’altra parte della vita, perso in un abbraccio senza pudore.

L’abbandono è già l’evento compiuto: nessuna attesa ha senso e mentre gli annunci di anonimi scomparsi registrano la perdita del mondo, un uomo-albero e una bambina-uccello seppelliscono i resti di una natura parziale. L’acqua è stata inventata per lavare le colpe, le piogge torrenziali che in Tzai Ming Liang decompongono la scena in funzione di un collasso progressivo dell’immagine, in Jayasundara riequilibrano un mondo pervertito.

Ma il tentativo di purificazione è fallimentare perché il mondo non s’annega e manca il giusto che salva le specie.
Mancano le specie, la sottrazione dell’essenziale è eccedente, anticipa la fine, annulla il senso dell’attesa e la ricerca del senso: abbandonarsi a un vuoto senza concetto, lasciare una terra sconosciuta, o decidere di stare senza nessuna aspettativa in una stanza vuota al centro di un deserto equivale a rifiutare un accadere senza ragione.

Questa rappresentazione della vita depurata dalla rappresentazione avvicina molto Jayasundara alla selvaggia semplicità dei “morti” di Alonso: entrambi rinunciano alla meta in funzione di una scelta consapevole di scarnificazione dell’umano.

È assente il concetto di una natura matrigna, al contrario il primo uomo, che è anche un sopravvissuto, ne asseconda la familiare indifferenza scegliendo di non contemplarla.
Scegliendo di essere un residuo di vita appeso a un ramo, un corpo piegato in due dalla fatica di essere corpo, una cavità vuota che programmaticamente tradisce.
Semplicemente scegliendo di non essere nient’altro che questo grumo perso nel mondo senza storia.





Titolo: La terre abandonnée
Anno: 2004
Titolo originale: Sulanga enu pinisa
Durata: 108
Origine: SRI LANKA, FRANCIA
Colore: C
Genere: ALLEGORICO
Produzione: UNLIMITED, LES FILMS DE L'ETRANGER, ONOMA, ARTE FRANCE CINEMA, FILM COUNCIL PRODUCTIONS.

Regia: Vimukthi Jayasundara

Attori: Mahendra Perera (Anura); Kaushalya Fernando (Soma); Nilupili Jayawardena (Lata); Hemasiri Liyanage (Piyasiri); Saumya Liyanage (Palitha); Pumudika Sapurni Peiris (Batti).
Sceneggiatura: Vimukthi Jayasundara
Fotografia: Channa Deshapriya
Musiche: Nadeeka Guruge
Montaggio: Gisèle Rapp-Meichler

Riconoscimenti

Reperibiltà

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