«I met my love by the gas works wall/Dreamed a dream by the old canal/Kissed a girl by the factory wall/Dirty old town/Dirty old town.»
Non dirò mai a nessuno della prima volta che andai al cinema. Del buio, della prima luce – fiat lux, e fu la luce, e fu il mio nome. Una volta, una giovane artista disse di non riuscire a vedere un film per intero nel suo scorrimento, del suo dover alzarsi, andarsene e poi tornare. Perché, come sentiva Fassbinder, «i film liberano la testa», ma imprigionano il cuore. E non voglio, non posso, che grazie a quella luce le altre ombre presenti in sala vedano la testa libera, il cuore imprigionato e il vero volto.

Però dirò di un altro, non l’iniziale ma quello più ricorrente nella veglia e nel sonno, che resterà nell’iride anche dopo aver smesso di battere le ciglia, in un controcampo assoluto: il volto di Ivan, dietro ad una ragnatela, accanto ad un albero. E quel collo alto del maglione, quelle lentiggini, quelle occhiaie, quei capelli bellissimi – e il bacio rubato sopra il fossato, la palude, la morte fuori campo e fuori dalla storia del compagno Katasonov. Ogni volta che la luce in sala – luce in sala, e non buio in sala – mi mostra un bambino perduto, mi mostra L’infanzia di Ivan. E a chi si voltasse per scoprire indifesi la mia testa libera, il mio cuore imprigionato e il mio vero volto, risponderei come Andrej Arsenevič Tarkovskij fece rispondere Teofane il Greco ad Andrej Rublëv: «Ma perché guardi me? Guarda là invece.»

«Clouds are drifting across the moon/Cats are prowling on their beat/Springs a girl in the street at night/Dirty old town/Dirty old town.»
Kisses è una composizione, come scriveva Ruskin, dove tutto è proporzionato, tutto è collegato per creare un intero, tutto rimanda alle sue varie parti. Ogni cosa è immediata e svelata, ogni cosa prefigura e svela quello che verrà dopo. E come in una pala trecentesca dove in assenza della prospettiva verità si dipingeva la piatta essenza, il gioco è così luminoso e contornato che si può operare un ribaltamento prossemico, emozionale e cromatico purissimo, con il giorno che è bianco e nero e la notte che è colore – il nostro gioco, «the night is bright and full of colors». Ma Lance Daly va oltre permutando alchemicamente la rappresentazione da teatro elisabettiano con la visione da bardo irlandese, il kitchen stink realista con la fairytale romantica: i palinsesti si sovrappongono e Kisses diviene una piccola e curata glossa a narrazioni più grandi e diverse, e il viaggio di Dylan e Kylie attraverso squat e vicoli precipita dentro metafore e sineddoche.

Scorrendo i nomi e gli eventi, scopriamo del figlicidio da parte di quello che è chiamato Dylan’s Da e della sopravvivenza del figlio destinato però a scomparire tra i canali della città, degli eccessivi omicidi del Sackman e dei pedofili proclamatisi Sackman che tentano di rapire Dylan e Kylie, del Bob Dylan cantato a squarciagola e del Bob Dylan incontrato prima di un concerto. Rappresentazioni e visioni assieme che arrivano a combaciare e a riprodursi – con Borges, «ricordai anche la notte che è al centro delle Mille e una notte, quando la regina Shahrazad (per una magica distrazione del copista), si mette a riferire testualmente la storia delle Mille e una notte, con il rischio di arrivare di nuovo alla notte in cui la racconta, e così all’infinito» –, hawthorniani racconti raccontati due volte che divengono talmente consapevoli del loro linguaggio, di loro stessi, che quando il Dredger Captain avvicina l’armonica alla bocca per le note di Shelter from the Storm, e fuori dal campo, fuori dal film, ma dentro quel mondo, inizia a risuonare questa canzone, Dylan e Kylie si guardano e la sentono, la sentono per davvero, perché Robert Zimmerman sta cantando di loro: «Suddenly I turned around and she was standing there/With silver bracelets on her wrists and flowers in her hair/She walked up to me so gracefully and took my crown of thorns/“Come in” she said “I'll give you shelter from the storm”»

«Heard a siren from the docks/Saw a train set the night on fire/Smelled the spring on the smoky wind/Dirty old town/Dirty old town»
Dylan e Kylie sono soli. Soli negli affetti, nei giochi, negli spazi. Le loro esistenze sono piene di vuoti, non c’è niente attorno a loro, e quello che c’è è soltanto vicino – le famiglie sono ruvide, i prati sono strade, i colori sono grigi. L’immobilità li riempie, l’immobilità fatta di rabbia e solitudine, dell’essere privi di tutto non quando si è adulti ma quando si è bambini. Entrambi creano il loro pentacolo magico, dove rifugiarsi per sparire da tutto quello che li circonda, Dylan in un anfratto nel muro di casa, Kylie sotto il letto. Entrambi, stagione dopo stagione – immaginiamo noi –, si intravedono e si affacciano nella vita dell’altro, Dylan imbronciato e seduto a terra sul viale, Kylie che gioca con il bastone da majorette sul viale. E quando Dylan da un pugno al padre e Kylie rompe la finestra per intervenire, lo fanno assieme, non uno in aiuto dell’altra, ma assieme per le loro stesse vite che sono divenute una soltanto.

Così scappano e lei salta su una barca, lui si taglia i capelli, loro si comprano le scarpe con i pattini, uno dopo l’altra, una dopo l’altro. Facendosi baciare da prostitute e tirando bottigliate, saltellando da chiazze di rosa a fuck, prick, bastard, arrendevoli e spietati e innocenti e sguaiati come solo i bambini sanno essere, come solo i bambini dubliners sanno essere – e le confessioni di Kylie sullo zio («Me uncle made me put his in me mouth») come quelle di Molly Bloom («I often felt I wanted to kiss him all over also his lovely young cock»). Dublino, l’unica cosa che gli resta, contro cui non alzano mai il pugno o levano un bleedin’ killed, perché sanno che la Storia è con loro, che la città ha già accolto altre e più grandi odissee e quindi chiuderà un occhio, ancora una volta, per questa piccola fuga. Dublino che gli colora finalmente la vita, che li fa pattinare sul ghiaccio, forse conoscere Bob Dylan, scontrare con degli sconosciuti assetati di bambini, dormire sotto i cartoni. Dublino che è per i vivi e i morti, come l’inner city vicino a lei, come l’isola dietro le sue spalle, dove Yeats visse la vita e adesso vive l’eternità – «If I die bury me up there [a Roquebrune, Francia] and then in a year's time when the newspapers have forgotten me, dig me up and plant me in Sligo.»

«I'm going to make me a good sharp axe/Shining steel tempered in the fire/Will chop you down like an old dead tree/Dirty old town/Dirty old town.»
Il film di Lance Daly è il folk dei Pogues che sta qua sopra, Dirty Old Town, con i suoi, i loro – del film e della canzone –, sogni sognati, baci contro il muro, notti infuocate, vecchi alberi. Kitchen stink e fairytale. E finiti i versi di Dirty Old Town finisce anche questo scritto su Kisses, in un finale che appare all’improvviso, Dylan e Kylie che parlano con un poliziotto, poi in macchina a scrivere sui freddi vetri, l’arrivo di fronte le loro case, le famiglie che escono, il vialetto che li divide. In slow motion. Ed ecco che Dylan e Kylie scavalcano assieme quel viale, e un attimo prima del bacio, Dylan’s Da e Kylie’s Ma si guardano, poi Dylan viene tirato via, ma il bacio arriva soffiando sul palmo di una mano e per un attimo il viso di Kylie si colora di nuovo di rosa. E per un attimo rivedo il viso di Ivan, l’infanzia che lui non ha mai avuto, l’amore che ha conosciuto solo in un giorno di pioggia, e ho la testa libera, il cuore imprigionato e il vero volto.





Titolo: Kisses
Anno: 2008
Durata: 76
Origine: IRLANDA, SVEZIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM (1:2.35)
Produzione: LANCE DALY E MACDARA KELLEHER PER FASTNET FILMS, ZENTROPA, FILM I VAST

Regia: Lance Daly

Attori: Kelly O'Neill (Kylie); Shane Curry (Dylan); Paul Roe (Padre di Dylan); Neilí Conroy (Madre di Dylan); Cathy Malone (Madre di Kylie); Sean McDonagh (Zio Maurice); Stephanie Kelly (Sorella di Kylie); Stephen Rea.
Sceneggiatura: Lance Daly
Fotografia: Jake Corbett, Lance Daly, David Grennan
Musiche: GoBlimpsGo
Montaggio: J. Patrick Duffner
Scenografia: Waldemar Kalinowski
Costumi: Leonie Pendergast

Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=KqIaMoGmDCM

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