kinettaUn uomo registra degli ordini su un mangianastri; una ragazza, sola in una stanza, li esegue per esercitarsi; i due poi mimano la scena dell'omicidio descritta sul nastro dinanzi a un cineoperatore, che li riprende con la sua "kinetta". 




 

Tre indizi fanno una prova: quest'anno a Venezia Yorgos Lanthimos col suo terzo film Alpis ha dimostrato di essere un vero autore. Non poteva esserci miglior premio di quello alla sceneggiatura: il lavoro di destrutturazione eseguito dal regista sul linguaggio ha ottenuto il riconoscimento che meritava. Non solo: riavvolgendo l'opera di Lanthimos si scopre l'evolversi di un discorso autoriale rigoroso e coerente.
Con una intransigenza degna di un Robert Bresson, Lanthimos rimane fedele ai canoni formali scelti sin dall'inizio: telecamera preferibilmente a spalla, fotografia che predilige i colori tenui e scuri, cura dell'immagine senza orpelli, unici suoni quelli in presa diretta, senza colonna sonora, se non musiche provenienti da apparecchi presenti sulla scena.

Al rigore formale corrisponde la coerenza dei contenuti: rivedendo di seguito i suoi tre film pare di assistere a un continuo smottamento del senso verso l'insignificanza. In Kinetta i dialoghi sono ridotti al minimo, a banali constatazioni, nulla sembra smuovere i personaggi se non la mera esecuzione di ordini imposti da una registrazione su nastro: l'azione non è altro quindi che la semplice ripetizione di una volontà estranea che detiene il potere. In Kynodontas il detentore del potere fa un passo ulteriore: non solo continua a impartire disposizioni su nastro ma codifica un sistema di significati parallelo e avverso a quello comune per mantenere il proprio ordine dispotico all'interno di un ambiente ridotto. In Alpis si assiste al combaciare del sistema dell'insignificanza col linguaggio comune, fino alla completa con-fusione del reale col virtuale.
Costante in tutti e tre i film è il rimosso escatologico. In Alpis il trauma della morte viene rimosso attraverso la mimesi di scene di vita passate, col risultato che a sembrare cadaverico sarà, retroattivamente, proprio il vissuto considerato "reale", dato che le scene riprodotte prevedono tutte dialoghi insulsi e situazioni convenzionali. In Kynodontas il sistema di potere camuffa sotto un altro significato tutti quei termini che indicano comunicazione, apertura, morte, e che quindi ne incrinerebbero l'unicità, la pretesa perfezione autarchica, l'inestinguibilità.

Per Kinetta dobbiamo invece fare ancora un passo indietro: l'insignificanza è anche qui ormai un dato di fatto, ma è come se fosse conseguente alla stanchezza della parola, sia detta che ascoltata. Esemplificativa la scena in cui un uomo chiede a una donna la traduzione di alcuni termini nella lingua di lei: vengono cantilenati come una salmodia oggetti apparsi nel corso del film e l'arbitrarietà della giustapposizione rimarca l'assenza di qualsiasi struttura che possa produrre collegamenti fra gli elementi nominati e incasellarli in un ordine di significati.
Nulla ha più senso, neanche il lavoro, lo status sociale, la quotidianità. L'unico modo per ricordarsi di essere vivi è la riproduzione della morte: il sangue resta l'unica differenza fra l'uomo mortale e le cose inanimate. Eppure è forte la tentazione dell’individuo di diventare cosa fra le cose e arrendersi al potere di "kinetta", la macchina da presa digitale, che non perde occasione di attestare la propria presenza con i suoi tremolii e luccichii, unico soggetto ancora capace di volere e desiderare.






Titolo: Kinetta
Anno: 2005
Durata: 95
Origine: GRECIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: Haos Films; Modiano Inc.; Top Cut; STEFI Cine & TV Productions; Kino.

Regia: Yorgos Lanthimos

Attori: Evangelia Randou; Aris Servetalis; Costas Xikominos;Hector Kaloudis
Sceneggiatura: Yorgos Kakanakis; Yorgos Lanthimos
Fotografia: Thimios Bakatakis
Montaggio: Yorgos Mavropsaridis
Scenografia: Anna Georgiadou
Sonoro: Stefanos Efthymiou

Riconoscimenti

http://www.youtube.com/watch?v=-A-9auAP6Os

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