Smith vive nel campus universitario. Passa le giornate con Stella, la sua migliore amica, intrattiene una relazione sessuale con London e sogna di andare a letto con Thor, il biondo surfista con cui condivide la stanza. Una notte, sotto l'effetto di biscotti allucinogeni, Smith si convince di aver assistito all'assassinio della splendida ragazza con i capelli rossi che popola i suoi sogni. Cercando di ricostruire la realtà dei fatti, il ragazzo e i suoi amici finiscono per trovarsi coinvolti in un mistero che sta per cambiare per sempre non solo le loro vite ma le sorti di tutta l'umanità.
[Dal catalogo del TFF]
Muoversi all’interno delle coordinate postmoderniste significa aver per orizzonte un panorama detritico; una landa di macerie come unica scaturigine da cui attingere per le proprie creazioni, destinate, proprio causa della loro origine residuale, a poter essere solo e soltanto ri-creazioni. Gli autori che si collocano in questo solco culturale riportano a memoria i maghi e gli indovini raccontati da Dante nel XX Canto dell’Inferno:
«mirabilmente apparve esser travolto
ciascun tra ‘l mento e ‘l principio del casso,
ché da le reni era tornato ‘l volto,
e in dietro venir li convenia,
perché ‘l veder dinanzi era lor tolto».
Questi hanno lo sguardo rivolto alle loro spalle, su un paesaggio che ha l’aspetto di un day after, di un’apocalisse già compiuta, del quale però, pur prendendone le distanze per mezzo di sfregi iconoclasti, non riescono compiutamente a privarsi.
Per quanto detto sembra essere inevitabile avvertire un sentore di stantio quando ci si confronta con un’opera post-moderna. Un’impressione che può essere fugace poco più di un indizio, oppure, come nel caso di Kaboom di Gregg Araki, sedimentarsi pesantemente.
Araki fa del mash-up un vero e proprio paradigma costitutivo, tanto sul piano strutturale che su quello contenutistico. I personaggi sono quelli a cui da tempo ci ha abituato, infinita variazione di un microuniverso giovanile popolato da corpi acerbi, sessualmente disinvolti, mai minacciosi o pericolosi, piuttosto luminosi come un’insegna pubblicitaria; immagini di un’adolescenza smaccatamente artificiosa, simulata nel suo continuo atteggiarsi. La cifra dominante è un nomadismo identitario che trova piena espressione nelle dinamiche sessuali; il loro è un desiderio senza gerarchie morali, cangiante e sfuggente, che rifiuta qualsiasi progettualità sentimentale. La loro reale preoccupazione è quella di trovare un soddisfacimento istantaneo; ogni rapporto è meramente fisico, ridotto alle categorie del frammentario e dell’episodico. Da parte di questi c’è un cosciente rifiuto di qualsiasi forma di codifica comportamentale, inevitabilmente percepita come sintomo di staticità.
Questo atteggiamento, che è comun denominatore dei protagonisti di Kaboom, è adottato da Araki come vero e proprio principio formale dell’opera: quello che conta, qui, è l’immediatezza della visione, la sequenza più che la narrazione complessiva. Il film è una sbornia psicotica e psichedelica; un crossover di generi opposti; un frullato transmediale; un ibrido che è sommatoria di suggestioni cinefile, catodiche, letterarie e fumettistiche. Come un videogioco il film si rigenera e riparte a ogni momento, cambiando strada e registro. L’universo di Kaboom è un grande labirinto, un rizoma infinito, dove i corridoi sono tutti potenzialmente in collegamento in una rete di relazioni che non presuppongono l'unicità del percorso, ma la sua molteplicità. Come sostengono Deleuze e Guttari, il rizoma «non ha centro, non ha periferia, non ha uscita, perché è potenzialmente infinito» (Eco 2002, p.525); intrappola. Che è poi la condanna a cui sono destinati i protagonisti del lavoro di Araki.
Scritto così si potrebbe pensare che a Kaboom non manchi nulla per imporsi come termine di riferimento dell’estetica e dell’etica postmoderna. Però qualcosa non funziona. L’operazione di Araki è troppo programmatica, ragionata, e finisce per prevaricare il racconto. La volontà di realizzare un’opera che possa affermarsi tra le massime espressioni di libertà formale e contenutistica porta il regista a fare incetta di quelle soluzioni stilistiche impostesi come stilemi del postmoderno, non rendendosi conto che, in quanto tali, hanno ormai perso il loro furore iconoclastico tanto da essere diventate parte del repertorio mainstream. Kaboom è un film citazionista elevato a potenza, il rimando di un rimando. Ma il rischio di una creazione dall’identità molteplice è forse quello della dissoluzione della propria personalità, di scomparire del tutto.
Bibliografia
Eco U. {2002}: Postille a “Il nome della rosa” in Il nome della rosa, Bompiani, Milano.
Titolo: Kaboom
Anno: 2010
Durata: 86
Origine: USA
Colore: C
Genere: COMMEDIA, FANTASCIENZA
Specifiche tecniche: SCOPE
Produzione: ANDREA SPERLING E GREGG ARAKI PER WHY NOT U.S. PRODUCTIONS, DESPERATE PICTURES IN ASSOCIAZIONE CON WILD BUNCH E SUPER CRISPY
Regia: Gregg Araki
Attori: Thomas Dekker (Smith); Haley Bennett (Stella); Chris Zylka (Thor); Roxane Mesquida (Lorelei); Juno Temple (London); Andy Fischer-Price (Rex); Nicole LaLiberte (Ragazza russa); Jason Olive (Hunter); James Duval (Messia); Brennan Mejia (Oliver); Kelly Lynch (Nicole).
Sceneggiatura: Gregg Araki
Fotografia: Sandra Valde-Hansen
Musiche: Ulrich Schnauss; Mark Peters; Vivek Maddala; Robin Guthrie.
Scenografia: Todd Fjelsted
Costumi: Trayce Gigi Field
Riconoscimenti
Reperibilità
http://www.youtube.com/watch?v=Xu9NkMCElMk