altCos'è Simone Weil? Comprenderne l'essenza non è un comprenderne lo spazio interiore, è arrivare ad una possibilità di “cosificare” il soggetto. Capire chi è Simone non è sufficiente, bisogna arrivare a capire cos'è. È la ripetitività del ritmo: gli attimi di silenzio tra i singoli rumori che si alternano.





Ferraro riscrive i diari e gli appunti di Simone Weil raccolti ne La condizione operaia tra il 1933/34 e il 1942. Il suono di una voce che copre il rumore della fabbrica, tra le vie di una città grigia e tagliente, dolorosa e folgorante come è il cinema di Ferraro, sino a farlo scomparire.

I testi de La condizione operaia si alternano ad un lungo ripetersi di rumori di città, Ferraro porta l'esperienza della fabbrica fuori dal lavoro, nel cantiere cittadino, tra i palazzi, negli incroci, nella metropolitana, e lo fa attraverso il rumore.
Il rumore rende cosa il soggetto, lo introduce al ritmo della fabbrica, agli oltre duemila pezzi da consegnare a fine turno: la voce di Simone Weil dice «lo sfinimento finisce col farmi dimenticare le vere ragioni della mia permanenza in fabbrica, rende quasi invincibile la più forte fra le tentazioni che comporta questo genere di vita: quella di non pensare più, unico mezzo per non soffrirne». E, infatti, il suono delle parole è rigorosamente separato dal rumore, il silenzio lo condisce per non farlo soccombere al ritmo, alla ripetitività.

La perdita del silenzio, della parola, è questa crasi tra la macchina e il soggetto, il giorno di pausa è la sola via di fuga del soggetto dal divenir oggetto. Simon Weil dice «Solo il sabato pomeriggio e la domenica mi tornano dei ricordi, dei lembi di idee, e mi ricordo che sono anche un essere pensante. Spavento che mi penetra costatando la condizione di dipendenza nella quale mi trovo di fronte alle circostanze esterne: sarebbe sufficiente che esse mi costringessero un giorno ad un lavoro senza riposo settimanale – cosa che, dopotutto, è sempre possibile – e io diventerei un animale da soma, docile e rassegnato.»

Il lavoro di Ferraro sul rapporto tra rumore e silenzio, in un bianco e nero altrettanto dualistico, rappresenta una rilettura del periodo in cui Simone Weil decise di abbandonarsi al lavoro in fabbrica per arrivare a comprendere il punto di vista degli oppressi, non tanto sull'alienazione, con i connotati sociali e intersoggettivi, quanto in una verticale perdita fisica dell'esser soggetto pensante.

La scelta di una narrazione capace di rappresentare il lavoro fuori dalla fabbrica e la descrizione di altre lavoratrici, riporta la condizione operaia sull'orizzonte della lotta, lì dove Simone Weil stessa riteneva bisognasse agire dopo aver descritto il divenir oggetto lavorante del soggetto pensante. In questo modo Je suis Simone è un silenzio che si presenta allo spettatore sotto forma di soggetto, nello stesso modo in cui si può esser soggetto o diventar soggetto.





Titolo:
Je suis Simone (la condition ouvrière)
Anno: 2009
Durata: 82
Origine: Italia / Francia
Colore: B/N
Genere: DOCUMENTARIO
Specifiche tecniche: 35mm e Digital Beta
Produzione: GRUPPOAMATORIALE; in collaborazione con BOUDU

Regia: Fabrizio Ferraro

Attori: Claudia Landi, Giovanna Giuliani, Natacha Eychenne, Kamal Boukarass, Marco Teti, Ilaria Tramacere, Antonio Sinisi, Emmanuel Rovillier, Yvonne Leclerc, Martin Barriè, Léon Mouquet, Eugénie Forestier
Soggetto: Fabrizio Ferraro
Sceneggiatura: Fabrizio Ferraro
Fotografia: Fabrizio Ferraro
Montaggio: Fabrizio Ferraro
Suono: Morgan Bennett, Klothè
Testi: Simone Weil

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