alt«Sei un uomo? Io credo di sì». Jauja di Lisandro Alonso è la ricerca che parte da questa domanda, come ritaglio di forme che cercando, si perdono nel paesaggio «Dove stai andando? È lontano?» la risposta non può che essere non lo so, per la natura stessa della ricerca, così come il credo di sì non può che essere dubitante, sfumato nel paesaggio stesso, materia priva di sostanza, eterea, onirica.


Jauja si costruisce intorno alla figura di Gunnar, capitano danese di un avamposto isolato nel deserto della Patagonia, Argentina nel 1880 circa. Tutto avviene nei primi minuti, Gunnar di spalle parla con la figlia quindicenne Ingeborg; lei desidera un cane che la segua sempre, tutto qui. Poco dopo lei scappa con un soldato del reggimento. Ma da dove scappa? Verso dove? L'acqua è il punto di contatto, così come la fuga non è nient'altro che il sogno che si distende tra l'erba e l'acqua stessa, riflesso del reale, materia di confine tra il corpo e il sogno.

Partendo dalla struttura, costituita di piani-sequenza in assoluta definizione che scandiscono e regolano «la presenza degli oggetti e soprattutto il rapporto tra visibile e invisibile, cioè quella dialettica tra forme finite, delineate, e forze essenziali, latenti eppure istruttive di ciò che appare, che si svolge in distensione mostrando l'invisibilità (la distensione stessa), come un fuoco centrale fluente nello spazio-tempo cinematografico.» (Abiusi 2012, p. 19), si arriva all’errare nel deserto del comandante Gunnar.

Ma la ricerca ha una partenza e si prefigge un obiettivo, Gunnar dice, parlando della figlia, «Lei non ha una casa. E nemmeno io», così da far sembrare la fuga stessa nient'altro che un perdersi volontario, nient'altro che il voler seguire un cane, anch’esso errante. Così il capitano in cerca della figlia, si affida ai segni, al simbolo, oggetto che letterariamente e filosoficamente rimanda ad altro, punto di contatto definitivo tra il reale e l'astratto, tra l'immanenza dell'atto e la costruzione del destino.

Così come simbolo diventa una statuetta, ancora snodo e nodo tra corporeo e onirico. Simbolo che è errare stesso, in quanto vagare senza meta, per errori appunto, attraverso luoghi significanti e non-significanti, che Gunnar attraversa inconsapevolmente, luoghi-simbolo che riportano alla figlia e luoghi a-simbolici che costituiscono l'errare stesso.

Il discorso di Abiusi su Liverpool «in cui pare si perfezioni la denotazione della visione di Alonso, cioè la sua natura di apertura percettiva, modalità di co-appartenenza (del vedente e del visto) alla “carne del mondo”, piuttosto che formulazione finita, inerte, che così sarebbe carname, immota, epidermide priva di impulso; non risoluzione ma intermezzo nel quale le essenza hanno il tempo, nell'intervallo dilatatorio del piano sequenza, di prendere forma, di affiorare» (ivi, p. 25), qui Alonso lo spinge ancora oltre, lavorando sull'affiorare come prender forma e perdersi nella forma. Alonso mostra le immagini in un riquadro in 4:3, simile ad una vecchia fotografia, lì dove non resta che perdersi nelle immagini, nei terreni sabbiosi e nei cespugli, alla ricerca di risposte come fossero acqua, affinché non si riesca a reagire esattamente come il comandante e sua figlia, figure che si perdono «spazzate via dalla faccia della terra. Ingoiate dal deserto».


Bibliografia

Abiusi L. (2014): Lisandro Alonso, L’enigma dell’estensione, in Il film in cui nuoto è una febbre, Caratteri Mobili, Bari.





Titolo:
Jauja
Anno: 2014
Durata: 109 min
Origine: Argentina / Danimarca
Colore: C
Genere: DRAMMATICO, WESTERN
Produzione: 4L, Perceval Pictures, Fortuna Films, Les Films du Worso, Mantarraya Producciones, Massive, Kamoli Films, The Match Factory

Regia: Lisandro Alonso

Attori: Viggo Mortensen, Ghita Nørby, Viilbjørk Malling Agger, Adrian Fondari, Esteban Bigliardi, Brian Patterson
Sceneggiatura: Fabian Casas, Lisandro Alonso
Fotografia: Timo Salminen
Montaggio: Gonzalo del Val, Natalia López
Musica: Viggo Mortensen

Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=QpsyW1Dq37Q

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