James White (Christopher Abbott) è una vita sospesa. Quella di suo padre, figura che ha conosciuto poco, è appena finita, mentre quella di sua madre (Cynthia Nixon) è sempre più corrosa da un tumore che si estende, la nega e la trasforma. James White è il nome di questo film; e il tempo che passa. I nomi dei mesi che si succedono sono i capitoli di uno svolgimento apparentemente piano, una identità che non è riuscita mai a definirsi, le pagine vuote di un diario inconscio, di ciò che non si riesce a dire, a fare, a mutare, di fughe da se stessi fino poi a trovare nel dolore più profondo, nella perdita più grande, la violenza della verità.

Inizio: James rientra a casa di sua madre dopo aver sudato. Ha cercato nuovi smarrimenti in una discoteca e ora si ritrova a dover ritualizzare il lutto paterno nei metri quadri dell’appartamento con persone che vede per la prima volta, la nuova famiglia di suo padre; lui però non sa piangerlo, si getta in un locale con il suo migliore amico (Scott Mescudi) e finisce in rissa. Lo script, la scrittura del personaggio, già da subito, è chiara, essenziale: l’alcol, la droga, le scopate occasionali, un lavoro che non c’è, la macchina a mano che pedina e intercetta azioni e reazioni sono un collezionismo fallimentare e sfiancato di momenti, di emozioni inventate per svanire poco dopo, di frasi date via insieme all’esistenza.
Ma quest’opera prima dell’americano Josh Mond, classe 1983 (fondatore insieme ad Antonio Campos e Sean Durkin della società di produzione Borderline Films), all’interno di drammaturgie e stilemi indie, riesce a infondere il pulsare sotterraneo di un cinema che, nella sua ossessione non oscena ma dolente per i corpi e per gli occhi, nella sua ricerca del gesto d’amore dentro la relazione madre-figlio, trova il suo compimento.

James se ne è andato in Messico, ma la telefonata di sua madre che è tornata a stare molto male lo riporta a New York. Da qui qualcosa cambia,  eppure il regista non inverte nulla, non spiega, piuttosto lascia andare il film, libera il sentimento che entra quasi invisibile nell’inquadratura, nelle smarginature sottili del lessico, della prossimità dei corpi, nella dolcezza dolorosa della cura. Ma se la progressione della malattia si fa vedere, quella più intima del film, quella più segreta, è quasi da ascoltare, come se la si potesse soltanto percepire, intuire, accogliere. Ecco: James e sua madre a un certo punto diventano quasi personaggi da sentire, anche se le parole non sono molte, fin quasi a rivederli soltanto quando, una notte, in bagno, dove lui l’ha accompagnata portandola tra le braccia come “una principessa” – così la chiama –, di fronte alla morte che a breve arriverà, si mettono a immaginare nuovi amori e vite a Parigi, i figli, i pranzi, i musei e i libri. Mond rischia tanto in questa scena, ma è qui che James White smette di essere soltanto un titolo e ritorna a essere una vita; è qui che lui e lei si riappropriano pienamente dell’amore che a breve li dividerà inesorabilmente; sono questi istanti a produrre il senso più espanso del film, a conferirgli una forma che quasi lo astrae dal prima e dal dopo: pochi attimi che diventano per sempre.





Titolo: James White
Origine: Usa
Anno: 2015
Durata: 85'
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Produzione: BORDERLINE FILMS, RELIC PICTURES

Regia: JoshMond

Attori: Christopher Abbott, Cynthia Nixon, Ron Livingston, Makenzie Leigh, Scott Mescudi, David Call
Sceneggiatura: Josh Mond
Fotografia: Mátyás Erdély
Montaggio: Matthew Hannam    
Musica: Scott Mescudi

Riconoscimenti

Reperibilità


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