Un collegio femminile, un parco recintato e lo sviluppo di tre ragazzine in bilico tra giochi d’infanzia e l’opportunità di diventare adulte. Il mistero dell’innocenza e il desiderio di perderla.
«E ogni suono che si spande nella strada tramuta questa notte in un giorno non segnato nel calendario. Qui si è arrivati nell’officina del Tempo e si può gettare lo sguardo su quella riserva di giorni non ancora consumati.»
W. Benjamin, Immagini di città
C’è qualcosa che si muove e trema sotto la superficie della terra, una bara si trascina nel raschio di pareti, rotaie e tunnel che passa, poi nel moto vertiginoso dell’acqua in una sorta di apnea confusa.
Il buio scolpisce l’udito (e partono i titoli di testa dove le parole sono disposte l’una accanto all’altra nella posizione quasi di un racconto che deve essere letto) e s’allarga il suono, cresce, s’innalza come una presa d’aria, come un'eco che ricade nelle viscere del mondo, si vuole trattenerlo con tutto il suo interno ma scoperchia un mistero che non si vede e pulsa: la vita in una bara.
Innocence parte da uno stato confusionale degli elementi: il movimento dell’acqua ad esempio, che assume la forza di una ribelle che dall’abisso arriva all’epidermide d’alberi di un parco recintato e poi di nuovo un interno, una grata, una porta, una stanza. Passaggi. Lucille Hadzihalilovic disegna passaggi che non hanno via di fuga ma sono scatole chiuse (il tunnel sotterraneo, la bara, la scuola, la recinzione): unico varco è il Tempo che scandisce nel suo rintocco lo sviluppo di tre ragazzine prima che escano allo scoperto, prima che si imbattano nel mondo, fuori dal labirinto.
Iris, Alice, Bianca: di loro non sappiamo nulla; si presentano così, senza darsi una spiegazione. L’intonazione è quella di una favola dalle tinte gotiche: un vestito dai colori corposi, potenziati da tecniche di rendering che si avvicinano al Technicolor e che riprende l’intensità “simbolista” di un Magritte (il verde del prato, il tripudio cromatico dei nastri tra i capelli, il bianco netto dell’inverno). L’assenza di dialoghi poi, le inquadrature fisse, gli stacchi improvvisi tratteggiano una distanza: tutto il film assomiglia a un segreto da custodire, l’innocenza appunto e la paura di perderla.
Ora, sebbene il quadro appaia confuso, esiste un ordine, un ciclo da seguire: tre è il numero che compare sulla porta che apre al collegio, tre sono le ragazzine, tre età, tre punti di vista diversi e tre finali aperti: è un cerchio che si avvicina sempre di più a un punto senza mai raggiungerlo, “la nostra evoluzione non si ferma mai” dirà l’insegnante Edith alle sue alunne; ed ecco la metamorfosi che avviene all’interno di questo parco-collegio-sotterraneo: questo interno è un periodo di gestazione, l’incubazione di corpi non ancora maturi e allora si spiega la lezione di biologia in una stanza piena di animali in gabbia, e la scoperta del bruco che si trasforma in farfalla passando per fasi intermedie che sono i tre capitoli in cui si struttura il film. E poi c’è l’obbedienza, “l’unica via che conduce alla felicità” ed è forse per questo che non esistono luci sovrapposte come se ci fosse l’incrocio dei venti, no, non esistono mezze stagioni ma è tutto molto chiaro a partire dall’uso che si fa della luce, nulla di artificioso ma solo il giorno, la notte e lampade nel bosco di notte a segnare il cammino (a significare tramonto) che deve essere lento (il passo consapevole di Bianca) e non affamato (la corsa oltre il recinto di Alice che desidera una libertà anticipata e incontra forse la morte). L’armonia dei toni e il “rispetto” delle fanciulle sono solo una pellicola che nasconde sotterranei, impulsi e desideri che rompono ogni regola: le mura che circondano il parco, il rigore imposto alle ragazze, le regole, le punizioni, la fuga potrebbero fare pensare alle tematiche proprie di un regista come Lanthimos da sempre concentrato (esemplare è Kynodontas) sui meccanismi di coercizione: “La villa, dove la famiglia vive, altro non è che un collegio infernale dove bisogna conformarsi a regole e dogmi e chi vi si sottrae o li infrange viene punito con sanzioni crudeli e spietate”. E se nel film greco il linguaggio risulta fondamentale per l’intera struttura del film e agisce sullo stravolgimento di significato della realtà, in questo caso ogni domanda non ottiene risposta, è silenzio. La ribellione esiste ma viene messa a tacere, affonda come la barca su cui la piccola Laura decide di scappare e invece trova la morte.
La sensazione è claustrofobica anche quando è la musica classica a far trattenere il respiro o il rumore degli ambienti (scricchiolii di porte, echi notturni) ad aumentare la tensione della notte e del mistero. Poi c’è il bosco a possedere i corpi che, nel gioco con cerchi e nastri, conservano il loro stato infantile; ed è una coreografia, una danza del corpo che vortica (la danza sul modello di Isadora Duncan insegnata all’interno della scuola) e le braccia s’alzano per imbarcare più aria possibile. I riferimenti a Suspiria di Dario Argento e Picnic a hanging Rock di Peter Weir sono dovuti e del resto dichiarati dalla stessa regista: il collegio, la scuola di danza, la tensione che occupa gli ambienti, le uniformi bianche.
E la fine segna un nuovo ciclo: il volo. Le ali prima addentate da spilli in una teca di vetro, poi osservate da lontano vengono, infine, attaccate sulle scapole di Bianca in un teatro dal crepuscolo perpetuo, un palco con il pubblico che c’è ma non si vede e che anticipa la scoperta di un esterno con cui Bianca dovrà approcciarsi. Sentirsi guardata, sentire nel corpo il completamento di una muta mette in gioco un erotismo lieve, un velo che si scopre, un movimento bianco, il passaggio da un regno all’altro attraverso la partitura dell’acqua (di una fontana), la fonte da cui tutto ha inizio e, di nuovo, un altro inizio.
Titolo: Innocence
Anno: 2004
Durata: 122
Origine: BELGIO, FRANCIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: 35 MM, 2.35:1
Produzione: EX NIHILO, ATELIERS DE BAERE, BLUE LIGHT
Regia: Lucile Hadzihalilovic
Attori: Zoé Auclair (Iris); Lea Bridarolli (Alice); Bérangère Haubruge (Bianca); Marion Cotillard; Hélène de Fougerolles; Micheline Hadzihalilovic.
Sceneggiatura: Lucile Hadzihalilovic, Frank Wedekind (novella)
Fotografia: Benoît Debie
Musiche: Richard Cooke
Montaggio: Adam Finch
Scenografia: Arnaud de Moleron
Costumi: Laurence Benoit
Riconoscimenti
Reperibilità
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