Il mare è placido; una donna, pure placida, sta a galla, al largo. Ogni cosa è illuminata: sullo sfondo si scorgono le colline del Pan di Zucchero, quindi di fronte, fuori schermo, c’è il Corcovado, con la statua del Cristo Redentor. Questa infatti è Rio, agli antipodi della Cidade de Deus – la favela – c’è la Cidade do Cristo, il quartiere marittimo di Urca. Il sole pomeridiano rischiara e riscalda, ma lo stato di quiete è turbato dal volo di un elicottero militare, che sorvola radente la baia e vira verso la città: sinistro presagio di una realtà diversa da quella che appare. Quella che appare, corrusca, è una Rio brulicante di vita, di spiaggia, di ragazzi che giocano, malgrado la didascalia su sfondo nero informi sulla dittatura militare. È il 1971. I ragazzi sono innocenti, perché inconsapevoli e perché residenti in quel quartiere marittimo, bianco ricco e borghese. Due passi fuori dalla spiaggia e sono già a casa, dove senza soluzione di continuità si compone un universo selettivamente permeabile.

La donna della prima inquadratura, Eunice, è madre e moglie; Rubens, padre e marito, è un professionista di alto rilievo, ex parlamentare, che a casa vive e lavora. Infinite stanze e una governante chioccia, creola così come si confà a gente di quello stato sociale. C’è subito un’azione metaforica, che definisce lo sguardo di Walter Salles su questa società: uno dei figli – sono cinque in tutto – porta dentro casa un cucciolo trasandato trovatello, e convince i genitori ad adottarlo. Ad accoglierlo, perché il loro è un mondo ricco sì ma solidale, riconosciuto, caritatevole. Luminoso. Fuori, la tenebra incombe. Un’altra delle figlie, quella nell’età giusta per lasciare il nido, impatta bruscamente la distopia della dittatura: di ritorno dal cinema è fermata ad un posto di blocco, nel buio di un tunnel stradale, le torce in faccia come luce antitetica al sole di cui sopra. I militari si trattengono a stento, tutto nel tunnel suppura brutalità, pericolo. La ragazza torna a casa, è già buio. Si siede sul ripiano della cucina: è un segno semantico, è lì dove nessuno può farle del male. Al cinema aveva visto Blow Up, indice di una cultura che da lì in poi occupa la scena. La famiglia, infatti, si mostra appassionatamente europeista, nei gusti artistici, nello stile. I film, la musica sono all’orizzonte di tutta quella luce naturale, sono una via di fuga, con gli amici si canta e si balla e si sogna Londra. Rubens irradia gioia, promette un futuro sereno malgrado le fosche nubi politiche, ha il progetto di una casa, ancora a Rio, ancora più grande, ancora più luminosa, ed ecco tutta la famiglia beata nell’area cantiere, tutti in posa da Cristo Redentor. La ragazza cinefila ha una cinepresa super 8, la tiene sempre accesa e riprende tutto: è come se il suo personaggio cercasse di conferire forza alla rappresentazione del suo mondo, di quel Brasile che si sforza di immaginare. Eunice, più di lei, sembra intenta a creare memoria e a difenderla, che sia con il super 8 o con le polaroid. Vedere per ricordare, mentre i demoni in televisione parlano di attentati e sequestri e cospirazione.

I'm Still Here

Quando l’universo secondo Rubens è compiutamente, definitivamente rappresentato, ecco che Salles introduce l’apocalisse, l’invasione domestica. L’uomo viene portato via da ignoti in borghese. Non riapparirà più: questa è suspense hitchcockiana, il fatto è noto agli spettatori ma non ancora ai personaggi. La casa viene occupata da emissari della notte, che chiudono le tende, esigono buio. Per un effetto collaterale, non sappiamo quanto imprevedibile, i figuri sono sì minacciosi ma anche evidentemente proletari, suscitano quasi un moto di simpatia quanto a rottura dell’ordine borghese costituito. Da lì in poi il film cambia pelle. C’è la reclusione della donna e di una figlia, gli interrogatori e le torture psicologiche, tutto o quasi fuori schermo. C’è il ritorno a casa non lieto e la ricomposizione di un nuovo universo basato su un’assenza nevralgica, su un vuoto. È qui che il personaggio di Eunice (Fernanda Torres) si trasfigura, diventa Verità e Giustizia e non Vendetta. Deve garantire ai figli un futuro, differente dall’auspicato ma ugualmente radioso. Deve difendere il ricordo del marito svanito come un’ombra, dargli luce, ricostruendone in primis l’attività dissidente clandestina. Il lavoro che fa Eunice sul sé, sul contenimento delle emozioni più forti come resistenza all’oppressione, la sua fiducia nello Stato e nella legge malgrado tutto è inusuale nelle narrazioni a tema desaparecidos. Figura titanica e solipsistica, Eunice riesce nel suo intento in quanto capace di ripensarsi, di occupare in modo differente il mondo e la classe sociale cui appartiene, ed in cui continua incrollabilmente a credere.

È questa la cifra del suo essere, del suo stare ancora qui e non altrove, dove il locativo indica posizione etica, baluardo morale, intellettuale, sociale. Poco aggiunge, a conti fatti, lo spiegone finale, su come cioè il film si origini dal romanzo omonimo e da fatti realmente accaduti, e su come Eunice, per contrappasso, abbia subito in anzianità la perdita della memoria, dopo aver trascorso la sua (seconda) vita a studiare legge e diventare avvocato per i diritti degli ultimi. L’intento di Walter Salles è di fare un’opera programmatica, con un linguaggio pedagogico, anche dicotomico ma univocamente compreso da un pubblico molto vasto. Questo ha generato un consenso diffuso, internazionale, non esente da obiezioni di merito e di metodo. Alcuni critici brasiliani hanno rilevato come Salles si inserisca nei canoni nazionali del genere, rappresentando l’impatto della dittatura sulla classe dei ricchi e bianchi – la branquitude – e non sulla maggioranza della popolazione brasiliana, nera, discriminata, sommersa sotto la soglia della povertà e dell’ingiustizia. Invisibile, malgrado la luce di Rio.

In Io Sono Ancora Qui, quindi, nel solco di Zuzu Angel, O que é isso, companheiro? e L'Anno In Cui I Miei Genitori Andarono In Vacanza, si parla, forse a ragione, di memoria non condivisa, selettiva, anziché restituita, pur riconoscendo il tributo di sangue ed i meriti di quella borghesia nell’emancipazione del Brasile. Dal nostro punto di vista, resta in ogni caso un buon punto di partenza, un incoraggiamento alle intellighenzie contemporanee – ci sono ancora? – per arginare il male che esonda. Ovunque.