Periferia irlandese: nel corso di cinque giornate alcune persone si sfiorano incrociando i rispettivi destini. Un umanità allo sbando sopravvive in uno stato di quieta disperazione, tra l’indifferenza e la desolazione di un paesaggio degradato. “Animali” cinici, aggressivi, ma anche maltrattati e uccisi come sono realmente i cani e i gatti che accompagnano la lenta agonia delle loro squallide vite.
Radure battute dal vento, murales bagnati dalla brina, nuvolaglia livida e pesante come il piombo. Attorno un microinferno umano senza possibilità di speranza. Disanimato, disseccato. In cui il silenzio della vergogna e della menzogna ricopre ogni cosa.
In principio Five Day Shelter era stato pensato da Ger Leonard senza parole, per lasciare spazio alle ricercate soluzioni visive e alla poesia della suggestiva colonna sonora. Nella versione definitiva (da cui lo stesso regista si dissocia perché - sostiene - non gli appartiene dal punto di vista creativo), invece, i dialoghi ci sono ma in misura astenica e decisamente morigerata.
Non servono logorroici discorsi per vomitarsi addosso quel grumo insolubile di contrasti che ci attanaglia ogni giorno lo stomaco. Non serve “abbaiare” a squarciagola dietro una gabbia di cemento senza fondo, se dopo appena cinque giorni che nessuno viene a “reclamarci” veniamo brutalmente soppressi come bastardi in un canile.
Non vi è conforto e non vi è rifugio (shelter) se non nell’assenza di relazione (con esseri umani), che quasi sempre si risolve in cieca ed insensata crudeltà, in abuso, in sopruso. L’istintività animale connaturata alla specie umana “ringhia” dalle viscere come in un cane rabbioso. Di contro: “ama il prossimo tuo come il tuo pet” (?).
Un violento padre di famiglia, che frequenta una prostituta adolescente, rinnega una paternità capitata per errore fuori dal matrimonio con un’altra donna (una giovane veterinaria che da parte sua rifiuta l’aborto). Un ragazzo muore per overdose e viene derubato dal suo migliore amico, il quale lo lascia in strada per andare a cercare la prossima dose. Un altro litiga furiosamente col fratello per una questione familiare e scompare in una notte d’inverno uggiosa. Un tossicodipendente senzatetto (dopo aver salvato un vecchio randagio) sceglie di suicidarsi gettandosi nelle gelide acque di Dundalk.
Personaggi che potrebbero apparire poco approfonditi e definiti, in realtà portano sulle loro spalle stanche e ricurve il macigno del nostro vivere. I sobborghi dell’Irlanda, ricettacolo della galoppante disoccupazione in tempi di depressione economica, grondano oggi non solo di pioggia ma anche di sudore e di disperazione. La vecchia Tigre Celtica ha perso il pelo.
Madri esaurite, alcolizzate (che si prendono cura di cucciolate di gattini più che di loro stesse), figli confusi, spacciatori eroinomani si aggirano come ombre, costantemente sull’orlo del baratro. Il vuoto richiama il vuoto. Stephen, ex agente immobiliare caduto in disgrazia ed in preda ad una centrifuga di interrogativi morali e pulsioni autodistruttive, giace ubriaco sul bordo di un’immensa piscina deserta di una casa in vendita.
Questa, come molte altre sequenze (ad esempio, quella che precede i titoli di testa ha tutti i crismi della video-arte), rivela una particolare disinvoltura registica da parte dell’esordiente autore irlandese. Leonard costruisce inquadrature di indubbio impatto visivo, a costo di sfiorare lo sperimentalismo puro e fine a sé stesso, e grazie a morbidi e lentissimi movimenti di macchina, resi con insistite carrellate orizzontali, disegna uno spazio-tempo alienante. Come nei racconti minimalisti e di estrazione suburbana di Andrea Arnold (vedi Red Road e Fish Tank).
L’immagine fotografica volutamente sgranata comunica un senso di logorio dell’anima, tutto interiore, riflessivo. Il rischio di scambiare Five Day Shelter per un’asettica e noiosa operazione di virtuosismo, per di più non supportata da un impianto narrativo sufficientemente solido, è concreto. Ma, allora, bisogna piuttosto chiedersi quanto vale oggi l’artisticità di un’opera cinematografica. Insomma: il Faust di Sokurov è un capolavoro assoluto oppure è soltanto una bellissima tela sfregiata da un “giudice” chiamato volgarmente pubblico?
Titolo: Five Day Shelter
Anno: 2010
Durata: 83
Origine: IRLANDA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: (1:1.85)
Produzione: PARADOX PICTURES, REDRAY FILMS, RENDEZ-VOUS PICTURES
Regia: Ger Leonard
Attori: Antonia Campbell-Hughes (Paula); Ines Catalano (Infermiera); Charles De Bromhead (Infermiere); Kate Dickie (Jean); Michael Fitzgerald (Nick); John Lynch (Stephen); Stella McCusker (Margaret); Marcella Plunkett (Alison); Mark Pollock (Bob); Ger Ryan (Jackie); John Travers (Robbie); Emma Tuthill (Jess); Johnny Ward (Brian); Keith Ward (Jimmy).
Sceneggiatura: Ger Leonard
Fotografia: Tim Fleming
Musiche: Alex Leonard
Montaggio: Frank Reid
Scenografia: Annabel König
Costumi: Lara Campbell
Effetti: Nick Morton