Ming, cinico trafficante di droga, si schianta in auto contro un negozio dopo l’esplosione del suo laboratorio dove si fabbrica eroina. Si salva la vita, ma ha la moglie e il cognato bloccati dentro la fabbrica. Lei, funzionario di polizia intelligente e attento, prova a rintracciare gli altri criminali offrendo a Ming l'opportunità di ridurre la pena detentiva. Ming decide di aiutarlo, tradendo tutti i suoi fratelli, ma all'ultimo minuto... Un viaggio all’interno del labirinto di mafia e traffici illegali, il primo film cinese che osa parlare apertamente di droga.
[Dal catalogo del Festival Internazionale del Film di Roma]
«La struttura latente è padrona di quella evidente»
(Eraclito, frammento 53)
Un’auto è lanciata a folle velocità lungo le strade del centro. Sbanda, vira a destra e sinistra, pericolosamente ebbra, drogata, fuori controllo. L’autista sviene alla guida, vomitando una sostanza verdastra: la macchina da presa più che registrare l’evento lo asseconda, lo mima, lo duplica, come se il desiderio del personaggio del film che innesca la trama fosse identico al suo e quindi la mdp fosse costretta a rifarlo portandolo a compimento, simulando con movimento incessante il gesto rotante del personaggio del film (il movimento di macchina di Johnny To, ellissoidale e febbrile, è assimilabile a quello dell’occhio del penitente che si arrovescia, svela il suo bulbo acquoso e biancastro prima di svenire completamente cieco, precipitando, dall’alto dove era, verso il basso) e trasfigurandolo però in voluta, arabesco, movimento ascensionale leggerissimo e patetico, violento come una traccia di sangue e sontuoso come un abito di donna che svolazza per una folata di vento (movimento suscettibile inoltre, come nella tradizione del gangsterismo asiatico di ogni possibile segmentazione, ralenti, sfarfallìo, finanche immobilizzazione repentina).
Come quasi tutti i suoi film anche Drug War è un film politico, dove però il politico scivola dolorosamente nell’autoptico, film sull’autopsia del politico, autopsia folle, interminabile, che non recede, se si intende qui per autoptico proprio quella punta o fondo - grund che giace dentro il politico, parte maledetta non assimilabile alla narrazione a posteriori, alle giustificazioni in base a logiche superiori, alle trame del linguaggio. Se il politico è, infatti, il manifestarsi dato dall’incontro di più esseri e della loro concatenazione e rinsaldarsi reciproco (come il un filo dell’ordito che si intreccia con un filo della trama: è lo stato della discriminazione e dell’analisi, è il tempo della coniugazione, del linguaggio), l’autoptico sarebbe il momento ulteriore dove la trama viene sfilacciata nel groviglio confuso e infinito dei fili che la costituiscono, e, iper - ravvicinata come per allucinazione, si scompone fino a diventare bava biancastra, lacerazione, sedimento scuro dove tutto il politico precipita per ritornare alla violenza primordiale dell’interno, della lotta intestina del tutti contro tutti, prima di ogni mediazione, sintesi, stabilità dei significati.
L’autoptico è, allora, la “struttura latente” padrona endogena di quella “evidente” del politico e inaugura, una volta fuoriuscito, una dimensione sempre inesorabilmente alive, senza possibilità di differita, violentemente sbilanciata e sempre difforme1.
Tutti i film di Johnny To rappresentano sempre lo stato convulso della violenza originaria, caratterizzata da eccitazione sempre crescente e dalla perdita delle differenze: nel film il giovane boss della droga si pente, tradisce i suoi complici diventando infiltrato e poi finisce per tradire anche i poliziotti. In (ad esempio) Breaking News il bambino dice: «Io sono per la polizia e loro sono i criminali», tentando una discriminazione (lì il bene, là il male) sempre oscillante, in un mondo fuori dai cardini dove la violenza dirige ogni cosa (è lei, come dice Girard, che «valorizza gli oggetti, inventa pretesti», e che, quindi finisce per dirigere il gioco). Violenza che non riesce a riordinarsi attraverso la forma culturale che il politico dovrebbe garantire: in Johnny To logos è sempre ostaggio di phobos e, nello stesso tempo, come il principe e il fool (i finali di Johnny To, spesso scene di mattanza, ricordano quelli elisabettiani), sono uno il doppio difforme dell’altro: lo stesso duello è sempre un guardarsi allo specchio (che spesso rifrange e raddoppia, il duello di A Hero never dies come ingigantimento della contesa finale di Lady from Shangay), dove i nemici compiono gli stessi movimenti, adottano le stesse tecniche, permutano gli stessi gesti…
A mettere un freno, a stoppare questo movimento convulso, delirante e idealmente illimitato della violenza è il pasto rituale consumato insieme (è il rito che pone momentaneamente fine, scambiandolo di polarità, al senso della violenza originaria2) che per Johnny To è straordinariamente importante3.
La sequenza del pasto di Drug War si svolge in un capannone dove si raffina droga. Il boss, inseguito, vi arriva trafelato; i due assistenti, muti, improvvisano una tavola alla meglio, stendendo una tela cerata su una cassa da imballaggio. Lo stesso pasto è rapido e frugale: vengono servite porzioni preconfezionate, si beve un sakè scadente in bicchieri di plastica… ma ecco che, d’improvviso, il giovane boss si alza in piedi e rivela che sua moglie è appena morta nel rogo di un altro capannone: gli occhi gli si gonfiano di pianto e, per commemorarla, getta il contenuto del bicchiere di sakè dietro le sue spalle. Gli assistenti lo imitano e poi fanno bruciare, “in onore della signora”, fasci di banconote in un secchio. Ecco che il pasto consumato insieme, sosta improvvisa all’interno del meccanismo ad orologeria dell’action svela il suo lato rituale e diventa banchetto funebre, inaugurando un tempo diverso, immemore e circolare, assolutamente opposto a quello rettilineo del film d’azione. A una durata che, letteralmente, si inerpica lungo la linea orizzontale della tensione crescente e del tempo che diminuisce, si sostituisce una durata seconda, rituale, del tempo sempre ricominciato.
Il cinema di Johnny To è quello che svela sempre ciò che c’è dietro, la struttura latente che si cela dentro lo spazio (dal politico all’autoptico) e il tempo (dalla retta al cerchio) dell’action movie. Il suo è un cinema balzacchiano: Johnny To è uno degli ultimi realisti.
Note
1. Questo dualismo autoptico - politico è centrale anche nel noir hollywodiano e nei romanzi che ne sono alla base: si pensi ad esempio ad un testo come Red Harvest, (Raccolto Rosso) di Dash Hammet, dove la tentata messa in luce della dimensione autoptica causa subito la morte del direttore del giornale. Il detective è la figura che si barcamena fra le due dimensioni, cercando di trovarci un senso e, appunto, sbrigliare la matassa.↑
2. Emblematica in questo senso è la scena di pasto di Exiled che ha proprio la funzione di rovesciare di segno la grande violenza del tutto contro tutti, della scena fratricida (amici contro amici) iniziale: dopo la vasta sparatoria che distrugge la casa e l’arresto del movimento dissipativo in seguito alla proposta di uno dei contendenti (“possiamo parlare?”, dice), lo spazio (dove si pranzerà insieme) viene riordinato, pulito, arredato (in una reminiscenza impossibile viene in mente l’analoga scena del Messia di Rossellini, quando i discepoli riordinano la Tavola, dispongono le vivande e il vino nell’ombra del portico ombreggiato attendendo l’arrivo di Gesù), vengono accese le candele fino al momento, silenzioso prima, poi rilassato, del pasto che si conclude con la foto di gruppo, miraggio nero seppia dove il meccanismo del film si blocca e l’immagine si sovrappone ad una seconda immagine, analoga ma più antica, fatta dagli amici quando erano giovani: il pasto rituale inverte la polarità e i nemici ritornano ad essere amici; invece di uccidersi tornano ad essere sodali.↑
3. Racconta il regista: «Quando si mangia con qualcuno si stabilisce una relazione, lo spazio del cibo è uno spazio di comunicazione. Quando si è seduti a tavola uno di fronte all’altro non si può fare a meno di farsi coinvolgere nella conversazione… è un posto ideale anche per gestire i conflitti»: per Isidoro di Siviglia caena deriva da koinon, insieme.↑
Titolo: Du zhan (Drug War)
Anno: 2012
Durata: 107
Origine: CINA, HONG KONG
Colore: C
Genere: AZIONE, GANGSTER MOVIE
Produzione: HAIRUM MOVIES & TV GROUP, MILKY WAY IMAGE COMPANY
Regia: Johnnie To
Attori: Louis Koo, Sun Honglei, Yi Huang, Michelle Ye, Lam Suet, Wallace Chung
Sceneggiatura: Wai Ka-fai
Fotografia: Cheng Siu-keung
Musiche: Xavier Jamaux
Montaggio: David Richardson
Riconoscimenti
Trailer