Si dice che nel rivolgersi all’erede, Luigi XIV in punto di morte, parlasse di sé come d’un trapassato e che poi il popolo, appresa la sua morte, trasalì di gioia, danzò e cantò la fine di quel tiranno... Per evitare tumulti, il cadavere non attraversò la città, ma venne occultato per vie traverse. "Il cadavere” dice Dumas “entrando nella Basilica, non sfuggì agli insulti di quei miserabili”.

Multiformità, un corpo che si frammenta, il "corpo urlante", l’anima, la putrefazione, la cancrena, l’odore di cipria e di decomposizione. Questa la corporale realtà che aveva messo in scena Albert Serra in La Mort de Louis XIV (2016), tra i sussurri e i rumori propri di quel patire. E possiamo avvertire quell’odore, sentire quell’ovattata stanza; quel velluto…

La variazione è adesso verso chi lo osserva. O meglio: il modo con cui ci si rivolge a chi quel corpo lo osserva. E quindi adesso quel corpo ci appare in confessione, in comunione; ci appare più vicino. Più vicino perché solo, perché messo lì in deliquio per noi.

Commissionato dalla Graca Brandao Gallery di Lisbona, Roi Soleil (2018), dopo FIDMarseille, giunge alla Viennale attraversando, procedendo e travasando in diverse forme: quella performativa (svoltasi e registrata presso la galleria stessa, della durata di 29 ore), quella video-installativa (presso la Galeria Cadaqués - proiettata per due volte al giorno) e la più recente, cinematografica.

A ben dire, a modificarsi è puramente la forma della fruizione dell’opera, l’adattabilità della stessa ai casi - a qualsivoglia caso, a qualsivoglia sguardo - a cui si concede lanciandosi nel bagno d’un neon color sangue. Certo è che l’avevamo già visto. L’avevamo già “sentito” lamentare morte il suo Louis XIV. E al mesto J.P. Léaud si sostituisce pingue Lluis Serrat (Pancho di Honor de Cavalleria, 2009), a sottolinearne la versatilità, la ciclicità, l’imitazione e la variazione sul tema. Imitazione e variazione di sé – qualcosa che ci ricorda un noto pittore neoclassico, che amava rivedersi in più forme, imitando se stesso, poiché egli stesso il classico.

Ma questa archeologia del sé troverà in tale variazione una formulazione significativa e nettamente opposta a quella di La Mort de Louis XIV. Il semplice e apparentemente grossolano tentativo di isolare il soggetto e rigettarlo, solo, in una camera vuota con gingilli di vario tipo – una camera da osservare, osservabile - riproduce mirabilmente l’asfittica ultima camera dell’ultimo giorno di vita del monarca. Da quella camera, si dice, non ne uscirà che da morto. Il teatrino rituale, l’andirivieni cortese e strisciante dei personaggi del film del 2016 è qui invece totalmente annientato dall’abbandono del corpo a se stesso che pingue e rotolante si spegne, finendosi, davanti al pubblico presente in galleria.

Serra elabora il lamento e lo presenta sotto-forma d’un dramma luttuoso che poco attiene alla tradizione del dramma nobile, del dramma eroico… Se nel dramma il silenzio imperiale dell’eroe è regola, in questa tragicommedia il nostro nobile (eroe ?) guarda alla morte con occhi mortali, lamenta, si contorce nel suo patire in ogni sorta di versi. La produzione del cadavere in vetrina è la natura stessa dell’anti-eroe che senza pudore spettacolarizza quel marcire. Con distacco, teatrante conscio del suo teatro, si dimena; senza compassione, senza coinvolgimento, annoia.

La severa ritualità dell’azione performativa è dissacrata, fa burla di sé e di tutta la storia della video-arte performativa da lì a salire. Per Krauss il contatto con il video è un contatto con se stessi, con ciò che chiamiamo narcisismo. E' dunque questo che vediamo? Il nostro marcire? “Da quel momento, l’immonda compagnia si precipitò come un solo Narciso, a contemplare la propria immagine triviale sulla lastra” (Baudelaire, a proposito della fotografia).

Tags: