Un ambiguo collezionista di film "maledetti" e rari commissiona a uno scout la ricerca di un film leggendario, creduto distrutto. La ricerca si rivelerà pericolosa e misteriosa, segnata da enigmatiche bruciature di sigaretta.
È tra la fine degli anni Ottanta e la metà dei Novanta che, fatta salva l'attenzione verso i meccanismi di evocazione e stratificazione delle immagini (una dopo l'altra, o sopra l'altra, con tanto di ferite, falle, di intervalli tra una e l'altra in cui inserirsi sedimentazioni di senso) propria già degli esordi scolastici e scanzonati di Dark Star (1974) e poi sottesa a tutte le altre trame avventurose in stile western, il cinema di John Carpenter si declina nella riflessione teorica più esplicita riguardo la natura, la provenienza, la s-comparizione delle icone, appunto la loro fastasmaticità (nell'accezione di Derrida), per cui poi Fantasmi da Marte (2001), pur sembrando un film minore, potrebbe essere uno dei titoli di un ideale loro compendio. Senza trascurare film apparentemente leggeri collocabili in questa fase, come le Avventure di un uomo invisibile (1992) o Fuga da Los Angeles (1996), che traducono queste ipotesi godardiane sull'ineluttabile farsi/disfarsi delle immagini, in presa di coscienza auto-ironica (ma comunque in modo meno giocoso che in Dark Star), assistendo con meno orrore e più divertimento, al vanificarsi o deteriorarsi delle figure: appunto fantasmi.
Ma sono due le opere che in questo periodo mostrano con estremo terrore, il lavorio metacinematografico, pur non rinunciando a straordinarie narrazioni: Il signore del male (1987) con il magnifico finale dello specchio come superficie di tachionico attraversamento (verso l'orrore di se stessi, riflèssivi, in un altro tempo), che non può non riflettere quello, sempre in epilogo, di The Ward (2011) sulla cui superficie (non) si chiariscono l'identità e l'origine della visione, rimanendo senza tempo, come galleggianti; e il Seme della Follia (1995), meglio nel titolo originario In the Mounth of Madness (proprio in prospettiva di perfetta rispondenza a intenti metanarrativi), in cui il destino di s-facimento del racconto e delle sue figure del tempo, proprio la sua fenomenologia, è il centro del film, andando oltre il film stesso, cioè oltre il mostrare, e dentro il contesto più generale del narrare, visto che la trama ruota tutta intorno a un un libro scomparso (In the Mounth of Madness) nel quale, a sua volta, si racconta (e così concentricamente all'infinito) di un film e di un libro intitolati In the Mouth of Madness che, con il loro orrore, trasformeranno la realtà: un impeto politico (tutt'uno con la poetica) che ormai si riconosce facilmente in tutta la filmografia carpenteriana e di cui, ad esempio, Essi vivono (1988), è manifesto, anche molto in anticipo rispetto alla predisposizione antiliberale e anticapitalistica di certo cinema americano.
Nel 2006 Carpenter partecipa al progetto collettivo di “Masters of Horror”, pensato dai produttori soprattutto per l'intrattenimento, per il consumo familiare, casalingo; eppure è proprio in questo contesto utilitaristico che Carpenter arriva a quello che forse è il suo capolavoro, il mediometraggio Cigarette Burns (56 minuti1), portando a compimento l'esperienza del Signore del male e del Seme della follia, in un film addirittura rastremato, come ripulito (realisticamente) di mostuosità, di quel serraglio di creature plasticose che tendeva a tracimare di là dai confini di Hobbs End, e gravido invece di una diffusa, per quanto maltrattata, seviziata, antropologia. Perciò l'orrore adesso è soprattutto nel sangue che sgorga a fiotti dal taglio, non solo quello di arti, teste o protesi alari, ma anche e particolarmente il taglio di montaggio, proprio fisico, quel decoupage operato sulla carne della pellicola, segnata da bruciature di sigaretta un istante prima che l'evento terrifico si compia, come spiega il proiezionista a Kirby, a proposito di Profondo rosso (1975), vero e proprio modello di Cigarette Burns, per la profonda espressività del sangue copioso, saturante gli spazi in modo addirittura astratto, nel modo in cui appare poi nelle locandine (molto simili) del film di Argento e della Fin absolue du monde (1971) di Hans Backovic.
Cigarette Burns allora viene progressivamente segnato da queste macchie sulla pellicola, che investono l'esperienza di Kirby Sweetman ponendolo di fronte al ricordo (sanguinoso, suicidario) che sopravanza divenendo la relatà di azione del protagonista, divenendo Cigarette Burns appunto, organismo (non più film) sfuggito al controllo del regista e incarnatosi nei salti progressivi di montaggio (voragini nella continuità della storia e quindi ridefinizione del tempo in regime filmico) dettati da cigarette burns, segni che preannunziano la carnalità fantasmatica (e dialettica2) dell'evento-cinema: Annie3 che compare sempre più spesso nello sfondo di un lago di sangue, fino a che esce da una bruciatura di sigaretta apertasi nello schermo (lo stesso su cui John Trent guardava se stesso alla fine di In the Mouth of Madness, nel film In the mounth of Madness), fantasma eppure figura sostanziale nelle sue forme carnee e insanguinate. Del resto anche La fin absolue du monde è organismo (politicamente) vivo, tanto che il governo, dopo la mattanza in platea alla prima del Festival di Sitges (Catalogna, Spagna), ne aveva vietato la circolazione, per evitare quello che sarebbe il terrore di ogni regime democratico, l'anarchia, lo sgmomento, l'eccitazione; effetti prodotti dalla sostanza emotiva, dialettica (pure volatile) dell'enunciato.
Dopo di che sono attestate altre due proiezioni del film, sempre in Europa: una nel 1983 a Rotterdam (rivelatasi poi inesistente, annunciata per errore) e l'altra, privata, nell''88 presumibilmente a Parigi, con esiti del tutto simili a quelli di Sitges del '71. Ma cos'è che scatena la violenza? Si direbbe, ascoltando le affermazioni di Backovic al microfono di Meyers, che sia la verità delle immagini (cioè dell'immaginazione primeva) e la loro meccanica giustappositiva (l'allestimento operato dal taglio), il (meta)linguaggio utilizzato per parlare della Necessità (del linguaggio), un dettato proprio di quello che era un grande regista giunto a forza di sperimentazioni alla palpitante perfezione di questo suo terzo film4. Sono proprio le immagini cupe nel loro rastremato bianco e nero (tanto lontane, mettiamo, dalla patina magnificamente posticcia, “narrativa” di gran parte delle figure carpenteriane); il viso terrorizzato di un angelo statuario, d'alabastro, sottoposto ad amputazione da macete e il suo lamento dimesso; le celle livide e bestialmente nude della contenzione; sono i muri che scorticano le unghie e riflettono le ombre scheletriche delle sbarre di fronte; l'ombra adunca di un assassinio tra la ramaglia di un bosco; le grida e gli occhi sbarrati di una donna incatenata, torturata; i tagli appunto (testimonianza della creazione), nel loro bruto realismo documentale, prima che l'angelo, finita la girandola di apparizioni (Kirby, Matthew, Annie, Bellinger5 oramai innestati al corpo del film) si liberi dalle catene6 e si ricongiunga alla vibrante pelle della Fin absolue du monde.
Note
1. Cosa per nulla limitante (della pregannza delle immagini) anche secondo le dichiarazioni di Bakovic rilasciate al critico A. K. Meyers in occasione della prima della Fin absolue du monde nel 1971. ↑
2. «I film sono magici e nelle mani giuste sono un'arma» (H. Backovic). ↑
3. E fantasma, ma in una forma paralynchiana e grottesca, è pure suo padre, Mr. Matthews, che s'aggira, anima in pena, nelle vicinanze del Vouge, il cinema di Kirby. ↑
4. È Katja Backovic, le sue confessioni a Kirby, a far pensare una stretta attinenza della Fin absolue du monde e del Signore del Male, parlando dei produttori (maligni) del film; cosa che effettivamente creerebbe una consecuzione tra le immagini disturbate giunte per mezzo di tachioni (cui promotore/produttore sarebbe appunto il signore del male) e quelle del capolavoro di Backovic, anch'esse visibili solo per frammenti. ↑
5. Non è un caso che tutti i personaggi siano ripresi (sin dalla loro prima occorrenza) in atti che riguardano la vita del film perduto. Esistono solo in funzione della sua latenza. Così Meyers ad esempio non vive che di un'infinita recensione del film che occupa tutti i suoi giorni (ammesso che ce ne siano al di fuori del tempo evenemenziale che dura la sequesnza che lo riguarda), così come Katja a Vancouver non vive che dell'attesa di Kirby; e Bellinger poi è come inoculato nel limbo della notte in cui finalmente commissiona la ricerca della pellicola e poi la guarda: egli non ha un passato, come tutti gli altri, e proviene direttamente dall'enorme spazio-tempo del possibile. ↑
6. Sembra ci sia addirittura un certo provvidenzialismo benefico alla base, come se tutto il film non sia che il compimento di un destino di restituzione identitaria al Bene (l'angelo appunto), o semplicemente all'ineluttabile (presentificazione del mondo) a costo del sanguinoso sacrificio di tutti i personaggi. Eppure è ancora una macchia in alto a destra del quadro a chiudere il film e ad affermare l'aseità, l'indipendenza assoluta dell'immaginazione in quanto origine e anima. Bellinger, giunto alla fine della sua missione di luciferino committente, ha capito che l'anima del mondo è l'immagine del mondo così creato: La fin absolue du monde, dice mentre si fonde sadicamente alla pellicola, è un'ineffabile anteprima delle meraviglie dell'anima. ↑
Titolo: Cigarette Burns
Anno: 2005
Origine: CANADA, GIAPPONE, USA
Colore: C
Genere: HORROR
Specifiche tecniche: PANASONIC (1:1.78)
Produzione: IDT ENTERTAINMENT, INDUSTRY ENTERTAINMENT, MASTERS PRODUCTIONS
Regia: John Carpenter
Attori: Norman Reedus (Kirby); Colin Foo (Fung); Udo Kier (Bellinger); Christopher Redman (Willowy Being); Chris Gauthier (Timpson); Zara Taylor (Annie).
Soggetto: Mick Garris
Sceneggiatura: Drew McWeeny, Scott Swan
Fotografia: Attila Szalay
Montaggio: Patrick McMahon
Scenografia: Ide Foyle
Musiche: Cody Carpenter
Costumi: Lyn Kelly
Effetti: K.N.B. EFX Group; Anthem Visual Effects
Riconoscimenti
Reperibilità
http://www.youtube.com/watch?v=S18e0dS1y8Q