altSi potrebbe dire che Centro Historico è un film che si sviluppa su quattro capitoli-organi interni, ognuno  girato da un diverso grande regista (Aki Kaurismaki, Pedro Costa, Manoel de Oliveira e Victor Erice): si tratta, di fatto, di quattro micro film aventi ognuno un proprio titolo ma che insieme si riaccodano ad un nucleo centrale che è appunto: Centro Historico.


Sicuramente, leggendo il titolo, ci si trova di fronte a un fraintendimento, un equivoco voluto: per definizione un centro storico è nucleo originale di una città che nasce in opposizione al concetto di città moderna ma anche centro storico come punto indiscutibile di memoria, luogo di riunione e aggregazione sia collettiva che umana, punto di forza della Storia di un paese (il paese in questione è la citta di Guimarães, in Portogallo e il film è stato realizzato nell’ambito dei progetti sviluppati per “Guimarães 2012 Capitale Europea della Cultura”) ma quello che emerge da questo film  è che il centro non esiste, è il residuo di una memoria infranta e sbiadita dal tempo e che, in effetti,  più che di centro si dovrebbe parlare di punto o punti persi nella storia. Gli stessi quattro capitoli che compongono il film di fatto sono micro esperienze, micro visioni o voci emerse dal buio come se non si possa far altro, oggi, che mostrare la storia di un paese solo per frammenti, solo per quella polvere che si è depositata in superficie e che del tempo ha fatto materia, sostrato pellicolare tale da essere in grado di risvegliare fantasmi ma anche di ripolverizzarli. Gli stessi personaggi che si muovono in questi quatto capitoli possiedono un'aura fantasmatica, morti eppure ancora vivi, soli nel frammento dell’immagine che si fa vero centro, cuore pulsante del film.

E l’immagine è un ricordo d’archivio, di memoria, vetro infranto: è la solitudine Kaurismakiana che nuota vagante come uno spettro dentro sfondi azzurognoli e oceanici, è la statua di Alfonso Henriques, primo re del Portogallo, un conquistadores conquistato dagli scatti di una folla di turisti. E’ come se de Oliveira qui abbia voluto ribadire che «Le società del passato facevano in modo che il ricordo, sostituto della vita, fosse eterno e che almeno la cosa che esprimeva la Morte fosse essa stessa immortale: era il Monumento» (Barthes 1980,p.94). E poi c’è il fantasma  di Ventura, nel corto di Pedro Costa, immigrato capoverdiano che è «l’eterno sconfitto della storia» (Marelli). Egli apre un varco temporale e diventa testimone di un’umanità persa, sfilacciata dal corso degli eventi e della storia ma ancora in grado di bruciare e diventare ombra, notte in-sepolta avvertendoci che, se l’immagine abita la memoria, allora il cinema non può far altro che voltarsi indietro e dirigersi nel passato come un Orfeo che non cesserà mai di cantare ancora la sua ombra scomparsa.

Desaparecidos sono anche alcuni ex-operai di una fabbrica un tempo fiorente e ora abbandonata che ritornano sotto lo sguardo-custode di Erice per assumere i panni di aedi, cantori orfeici della propria storia e di una realtà infranta: la stessa fabbrica prende il nome di Vidros Partidos e il film ericiano si apre in effetti su una stanza le cui finestre hanno tutti i vetri rotti. Ma quello che emerge è come questi volti inquadrati a macchina fissa vadano ad incrociarsi con lo sfondo di una parete sulla quale è appesa una gigantografia fotografica del vecchio refettorio popolato da centinaia di operai/e appartenuti ad un’altra epoca. Anche qui si tratta di una rievocazione e di un voltarsi al passato; sono volti in bianco e nero che nessuno riesce a riconoscere, sono spettri che con “i loro sguardi vogliono dire qualcosa; ma che cosa?”; e all’improvviso i loro volti impressi mortalmente sulla pellicola tornano ad animarsi, a guardarci da un altrove che è memoria, che è il centro di una storia. Sono spettri o come direbbe Barthes, sono morti che ritornano, esistenze che, attraverso l’atto fotografico e lo sguardo filmico, perpetuano il loro diritto di esserci stati. Ma «se la Storia è una memoria costruita secondo ricette positive, un discorso puramente intellettuale che abolisce il Tempo mitico, la Fotografia è sì una testimonianza sicura, ma effimera; cosicché tutto, oggigiorno, prepara la nostra specie a questa impotenza: il non poter più, ben presto, concepire, affettivamente o simbolicamente, la durata»(Barthes 1980,p.94). Erice allora non fa altro, attraverso il cinema, che smontare e rimontare quell’immagine fotografica, ingrandendo e isolando i volti, andandoci più a fondo ma anche qui come nel cinema, l’atto di avvicinamento alla visione produce sempre un accecamento, più mi avvicino al volto più mi allontano da lui e mi avvicino ad altro, alla materia, alla grana, a ciò che è invisibile agli occhi.

Bibliografia:

Barthes R. (1980): La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino.

 




Titolo originale:
Centro histórico
Durata: 90'
Origine: Portogallo
Anno: 2012
Colore: C
Genere: DOCUMENTARIO, DRAMMATICO, COMMEDIA
Produzione: GLOBALSTONE RV FILMS, NAUTILUS FILMS; SOCIEDADE OPTICA TECNICA

Regia: Aki Kaurismäki, Manoel de Oliveira, Pedro Costa, Victor Erice

Interpreti: Amandio Martins, Arlindo Fernandes, Cruz José, Filomena Gigante, Gonçalves Rosa, Henriqueta Oliveira, Ilkka Koivula, Judite Araujo, Kristina Zurauskaite, Kristine Strautane, Manuel Silva, Marco Carreira, Maria Fatima Braga Lima, Pedro Santos, Ricardo Trepa , Valdemar Santos, Ventura
Sceneggiatura: Aki Kaurismäki, Manoel de Oliveira, Pedro Costa, Victor Erice
Fotografia: Leonardo Simões, Pedro Costa, Timo Salminen, Valentín Álvarez
Montaggio: Aki Kaurismäki, Valérie Loiseleux
Musiche: Pedro Santos


Riconoscimenti

Reperibilità

http://www.youtube.com/watch?v=s6YE7RtbmiY

Tags: