Camille Claudel 1915 è nei volti. Chiusa in un manicomio poco dopo la morte del padre, dopo la fine della sua relazione con Rodin, Camille Claudel osserverà se stessa sino alla morte in un contorno di urla, pianti e disperazione. Parlare di Camille Claudel 1915 di Dumont è parlare della scultura, dell'arte. «Il suo è un cinema che rigetta il senso compiuto e sterile, che, immune a semplificazioni, rifiuta grumi tematici e ridicole considerazioni intellettuali» (Sangiorgio, Baratti, 2012, p. 57).

Dunque il volto è ritratto da Dumont come puro atto, gesto privo di pensiero. Ed è con il volto che si chiude Camille Claudel 1915. È attraverso il volto che la follia incede verso lo spettatore prendendo la forma dell'urlo e del pianto, costanti compagnie della scultrice francese all'interno delle mura del manicomio.

Ma il volto è schiacciato dalle dita delle scultrice, nel Buste de Rodin (1892) e ne La valse (1891) il segno delle dita affonda nella carne lasciando il viso e il corpo in-finiti, come i ben più celebri lavori del compagno (Rodin) che l'abbandonerà in quegli anni.
Le dita affondano e i segni che ne restano sono diteggiature (quasi musicali, armoniche) opache di un passato che schiaccia sul pensiero e su quello che resta di una artista. Dumont non mostra le sculture di Camille, nonostante mostri in ogni inquadratura la perdita: la perdita del passato, la morte del padre, l'abbandono della famiglia, l'abbandono dell'amante. Cosa resta se non le urla di chi un senso non è riuscito a trovarlo? Uno dei pazzi che incontra poco prima dell'arrivo del fratello (non casualmente) discute con una suora che alla sua richiesta sul dove stessero andando risponde:
Alla cappella
Perché andiamo alla cappella?
Perché sì, diremo le preghiere, faremo visita al buon Dio
E dov'è il buon Dio?, chiede il pazzo.
Sta in cielo, risponde la suora, ascolta le nostre preghiere.

È nello spazio tra queste risposte tra la suora e il pazzo, nella camminata faticosa, ancora nel volto, che il segno dell'arte affonda nella narrazione. L'arrivo del fratello nel manicomio in cui è rinchiusa Camille, sancisce la mancanza di volontà e l'impossibilità, per una famiglia credente in Dio, di farsi carico della sorella, donna che contiene una “Spaventosa tristezza”. Aggiunge Paul Clodel: «Non c'è mestiere peggiore dell'arte, il genio si paga […]. La vocazione artistica è una vocazione molto pericolosa, cui molto pochi sono capaci di resistere».

C'è un Dio al quale credere e c'è un culto dell'arte. Infatti «Il cinema, per Dumont, è un tempio oscuro, dove celebrare devotamente un culto ateo» (ibidem, p. 70), il volto è il mezzo di questa celebrazione. Così come nella scultura, si è detto, le dita affondano per lasciare il segno sui corpi che nascono dalla pietra, nello stesso modo Dumont usa la luce per affondare nei corpi attoriali la traccia del tempo e della perdita.
Camille Claudel 1915 prende la forma di una scultura fatta di luce e ombre, visi in atto e abbandoni. Opera filmica scultorea che lascia allo spettatore il compito di cogliere le ombre e far propria la solitudine di un'artista o anche semplicemente di un volto.


Bibliografia

Sangiorgio G., Baratti A. (2012): Bruno Dumont. Del sub-realismo in Il film in cui nuoto è una febbre, Caratteri mobili, Bari





Titolo: Camille Claudel 1915
Anno: 2013
Durata: 97
Origine: FRANCIA
Colore: C
Genere: DRAMMATICO
Specifiche tecniche: SCOPE, 35 MM (1:2.35)
Tratto da: opere e lettere di Paul Claudel, lettere di Camille Claudel e cartelle cliniche
Produzione: JEAN BREHAT, RACHID BOUCHAREB. MURIEL MERLIN PER 3B PRODUCTIONS IN COPRODUZIONE CON ARTE FRANCE CINÉMA, CRRAV NORD PAS-DE-CALAIS, LE FRESNOY, CON LA PARTICIPAZIONE DI ARTE FRANCE, CANAL +, CINÉ +, CNC

Regia: Bruno Dumont

Attori: Juliette Binoche (Camille Claudel); Jean-Luc Vincent (Paul Claudel); Robert Leroy (Medico); Emmanuel Kauffman (Sacerdote); Marion Keller (Sig.na Blanc); Armelle Leroy-Rolland (Giovane novizia); Myriam Allain (Paziente); Régine Gayte (Suor Régine); Nicole Faurite (Suor Nicole); Eric Jacoulet (Interno); Florence Philippe (Suor Florence); Christelle Petit (Suor Christelle); Sandra Rivera (Suor Sandra); Claire Peyrade (Paziente).
Sceneggiatura: Bruno Dumont
Fotografia: Guillaume Deffontaines
Montaggio: Bruno Dumont, Basile Belkhiri
Scenografia: Riton Dupire-Clément
Costumi: Alexandra Charles, Brigitte Massay-Sersour

Riconoscimenti

Reperibilità


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