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È la notte della vigilia di Natale. Parigi è messa a fuoco dalle rivolte nella banlieue. Sarah è una fotoreporter, ma la sua particolare condizione le impedisce d’andare a documentare quello che sta succedendo nelle periferie. Sta per partorire. E quando succederà il suo compagno non le sarà accanto. È morto, quattro mesi prima,  in un incidente in cui entrambi rimasero coinvolti. Decide di trascorrere da sola le ore che precedono il parto. Qualcuno però suona alla sua porta. Si tratta di una donna misteriosa che dimostra di conoscerla.

 

À l'intérieur è un horror essenziale quanto basilare. I registi Alexandre Bustillo e Julien Maury sviscerano la madre di tutte le angosce, il terrore primigenio nei confronti dell’altro, percepito come estraneo, intruso. Cornice della vicenda, non a caso, sono i disordini scoppiati nella banlieue parigina, incendiata dallo spettro dell’immigrazione, materializzatosi nelle rivolte degli immigrati, di fronte al quale l’impulso iniziale medio della società è quello di un subcosciente rigurgito di matrice xenofoba, di una rabbiosa ricerca individualista della propria incolumità fisica.

Questa fobia collettiva nei riguardi dello straniero è uno dei tratti caratterizzanti della Nouvelle Trouille (la “nuova strizza”: il nuovo horror d’Oltralpe nella definizione di Alessandro Baratti). Altro elemento fondante del fenomeno è l’assoluta centralità della figura femminile, il cui corpo è sottoposto ad un crudele processo di metaforizzazione politica; è campo d’indagine, teatro dove si rappresenta, si portano a presenza le tensioni che si agitano nel profondo del tessuto sociale.
Nello specifico di À l'intérieur è il tema della maternità ad essere impiegato per descrivere la paura diffusa verso l'intrusione non autorizzata. A produrre terrore e paranoia è la stessa idea dell’esistenza di qualcosa d’altro. I registi creano un parallelismo tra il ventre materno e le mura domestiche, entrambi visti come territori suscettibili all’infiltrazione del male.
Sarah, mentre fuori infuriano le rivolte parigine, cerca un’illusoria sicurezza all’interno del proprio appartamento borghese, vorrebbe trovare la stessa protezione (anch’essa solo apparente) che garantisce col suo ventre al bambino di cui è incinta.

È con vera e propria furia iconoclasta che Bustillo e Maury squarciano sia il corpo che l’abitazione, svelandone tutta la disarmante fragilità. A compiere la chirurgica operazione di eviscerazione è una donna misteriosa, un angelo della vendetta, nerovestito per meglio aggirarsi nelle tenebre, figurate e reali, presenti nella casa di Sarah. Emerge dall’oscurità, scivola silenziosa per corridoi e stanze, spunta da angoli e stermina con implacabile determinazione chiunque tenti di deviarla (l’editore e la madre di Sarah, arrivati per accertarsi delle sue condizioni di salute, così come la pattuglia di poliziotti, chiamata dalla protagonista per denunciare una presenza minacciosa fuori dalla sua residenza) dal proprio fine: l’estrazione fisica del feto. La prima immagine di lei che appare sullo schermo è quella più inquietante del suo doppio, della sua ombra. È una voce nascosta nella notte, al di là dei vetri dell’abitazione; Sarah per poterle dare un volto deve aiutarsi con la propria macchina fotografica. Sono i lampi del flash che permettono di strappare al buio piccole porzioni del suo viso.

L’oscurità che prevale sul chiarore, rendendo i contorni del visibile di difficile decifrazione, è cifra visiva dell’intero film. Il nero occupa quasi sempre il settore più ampio dell’inquadratura. La luce è un’eccezione all’interno del buio che domina sullo schermo. La minima illuminazione getta ombre che spaziano fra l’ambra e la ruggine, celando in parte i litri di sangue versati nel corso della mattanza. Una procedura di messinscena che trasforma il visibile in una configurazione mescolata all’oscurità e all’invisibile.

Quello orchestrato in À l'intérieur è uno stremante grand guignol che supera ogni limite consentito per approdare direttamente all'oltraggio; un atto sacrilego, una vera e propria profanazione dei due simboli che meglio rappresentano il sentimento di privatezza: la casa e il ventre gravido. Tra i due viene istituita una similitudine anche visiva: le stanze (con i muri ricoperti di sangue e i corridoi bui disseminati di cadaveri) si fanno carne, quasi si assumessero la responsabilità di assorbire con Sarah la violenza scatenata dall'invasione della donna misteriosa. La storia del cinema è attraversata da questa ricorrente ossessione: entrare nel corpo. Portare il dentro fuori, visualizzare ciò che sta sotto la superficie, tagliare la pelle per andare nella profondità delle viscere. “In questa pratica della dissociazione sembra di poter riconoscere i sintomi di quella vera e propria psicosi del corpo che affligge il cinema contemporaneo. Lo psicotico, com’è noto, è clinicamente colui che distrugge l’immagine del corpo” (Canova 2004, p.144). E tutto questo è già presente sin dai titoli di testa, quando davanti all’occhio della macchina da presa scivola vischioso un gran quantitativo di sangue da cui, a tratti, emergono parti di un corpo neonatale. È a visione ultimata che si palesa questo processo di significazione posto ai margini iniziali del testo, lungo le cosiddette ciglia del film.

Se la sceneggiatura del film è quasi inesistente (volutamente lasciata insoluta), così come le psicologie, perentoriamente azzerate (ne sono diretta dimostrazione gli scambi verbali che tendono a diventare sempre più immediati e istintuali, riducendosi infine a ordini, pianti e urla di disperazione), altrettanto non si può dire del lavoro di messinscena. Questo è geometrico, distaccato. Anziché muovere freneticamente la cinepresa per creare sensazioni di minaccia e pericolo incombente, i due registi preferiscono utilizzare uno stile più classico, fatto di carrelli, campi fissi, movimenti lievi. Anche quando il massacro imperversa, la composizione dell'inquadratura è sempre rigorosa, con composizioni del quadro in profondità di campo. La forza delle immagini risiede nella loro stessa lentezza, nell'insistenza con cui ogni omicidio, ogni ferita, ogni squarcio nella carne ci viene mostrato. Una regia dalla progressione rigorosa, senza speranza e senza redenzione, che costringe lo spettatore ad una operazione di  eyes wide shut, ovvero a tenere i propri occhi apertichiusi: posto di fronte all’osceno non è in grado di ritrarsi per come questo viene messo in scena, in maniera programmatica, inesorabile, spietata. L’orrore è ritratto con una gelida bellezza, tale da obbligarlo a non distogliere mai lo sguardo.

 

Bibliografia

Canova G. (2004): L’alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema contemporaneo, Studi Bompiani, Milano

 


 


Titolo:
À l'intérieur
Anno: 2007
Durata: 83 min.
Origine: Francia
Colore: C
Genere: Horror
Specifiche tecniche: 35mm
Produzione: La Fabrique de Films

Regia: Alexandre Bustillo e Julien Maury

Attori: Béatrice Dalle (La femme); Alysson Paradis (Sarah); Nathalie Roussel (Louise); François-Régis Marchasson (Jean-Pierre); Jean-Baptiste Tabourin (Matthieu).
Soggetto:
Alexandre Bustillo
Sceneggiatura:
Alexandre Bustillo
Fotografia:
Laurent Barès
Montaggio:
Baxter
Scenografia:
Marc Thiébault
Costumi:
Martine Rapin
Musiche:
François Eudes

 

Riconoscimenti

Reperibilità


http://www.youtube.com/watch?v=g8zLTAc0v60

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