A volte ritornano. Parliamo di certe fascinazioni per le pseudoscienze, le scienze occulte, quelle che ambiscono a mettere in contatto diverse dimensioni attraverso procedimenti o apparecchi tecnici. Che usano, cioè, il tramite della tecnologia per abbattere le barriere della credulità. È il caso della metafonia, millantata tecnica di comunicazione tra il mondo di sopra – quello dei vivi – ed il mondo di sotto – quello dei morti, per il tramite apparecchi radiofonici in grado di captare (!) le voci dei morti su frequenze particolari.
In inglese si parla di EVP, Electronic voices phenomena. Curiosamente, nell’attualità del cinema di genere italiano – che vive, inutile negarlo, un momento di particolare aridità –, ben due opere girano intorno al tema della metafonia. La prima è un lungometraggio, Al progredire della notte, di Davide Montecchi. La seconda è un cortometraggio, 1485 KHz di Michele Pastrello. Il corto di Pastrello è particolarmente curioso, perché si prefigge programmaticamente di essere un horror sociale, quindi politico. Siamo in una provincia rurale del Friuli: una donna (Lorena Trevisan, anche cosceneggiatrice) viene incaricata di svolgere le pulizie radicali in una casa disabitata. Gli ordini le arrivano, in modo autoritario e sprezzante, attraverso una sfilza di vocali whatsapp: anche questi, in fin dei conti sono Electronic voices phenomena! Giunta sull’occasionale luogo di lavoro, la donna comincia a notare fenomeni inquietanti. Il cellulare non ha più campo (un topos dell’horror), le luci non si accendono malgrado sembri esserci corrente elettrica, le tapparelle sono serrate e bloccate. Per la casa tracce di presenze passate, specie nelle foto appese alle pareti: scene di lavoro nelle risaie, con il “paròn” in primo piano, petto in fuori ed espressione da schiavista, mentre i volti delle mondine sono coperti, come furiosamente cancellati. Il luogo è più che sinistro: un citofono gracchia rumori metallici, poi un’apparizione podalica, infine una porta occlusa che si spalanca e apre alla vista uno strambo, demoniaco studio di registrazione. Giradischi, apparecchi radio da modernariato, cuffie sospese nell’aere.
Come obbedendo ad un impulso magnetico, o robotico (dal ceco robota, lavoro forzato), la donna indossa le cuffie, e si condanna ad una fine cruenta, mentre un’entità scalza e maligna, la malanina del paròn della risaia, fa girare al contrario il disco con i canti delle mondine. Per usare un neologismo, 1485 KHz è un “workplace horror”, cioè un horror che trae linfa dall’esasperazione degli abusi di potere sul lavoro, dalla sperequazione, portata al parossismo, tra le posizioni di chi comanda e di chi obbedisce. Come si è detto, infatti, la protagonista firma la sua condanna non sottraendosi alla chiamata ed ai desiderata del suo capo: desiderata che hanno la veste chiara ma sporca di sangue del ricatto, non dell’aspettativa. Un horror politico, di lotta di classe, come più di cinquanta anni fa fu il glorioso Hanno cambiato faccia, di Corrado Farina. Pastrello ha un messaggio da urlare, e sceglie la via del genere con maestria, utilizzando sapientemente il buio e la luce, gli spazi domestici e le apparecchiature più comuni. Particolarmente riuscita, come detto, l’analogia tra l’utilizzo dello smartphone e l’apparecchio metafonico: sempre di voce del padrone si tratta, e senza alcuna via di scampo.