alt“Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz’altra forza atterra,
D’un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l’opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l’assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre...”


Presentato a Venezia72 e ora ripresentato a Bari, nell’ambito della V edizione di “Registi Fuori Dagli Sche(r)mi”, 11 minuti, il più recente film di Jerzy Skolimwski, non ha ancora avuto il bene d’una distribuzione nelle sale italiane. Eppure, oltre ad essere un magnifico lavoro, personalmente lo considero uno dei film più sottilmente leopardiani della storia del cinema (non è un caso se ho aperto questo scritto con una citazione da La ginestra). Non importa se Skolimowski conosca o meno Leopardi – col poeta ha in comune una riflessione sul rapporto tra il Caso e la Morte, che tocca corde profonde.

Nella quinta strofa de La ginestra, come si ricorderà, un pomo troppo maturo si stacca dal ramo di un albero, si spiaccica a terra, e distrugge un formicaio, uccidendo una quantità di formiche. È un puro caso. Nessun rapporto tra il pomo e le formiche, salvo la disgraziata combinazione spaziale, che ha posto il formicaio proprio in direzione verticale sotto quel ramo. Così la lava di un’eruzione vulcanica (del Vesuvio) può distruggere una città edificata dagli uomini. La Natura non ha maggior riguardo nei confronti del genere umano, di quanto ne abbia nei confronti delle formiche. La Natura è indifferente, come afferma lei stessa in prima persona nel Dialogo della Natura e di un Islandese, sempre leopardiano.

Nel caso di 11 minuti, certo, il meccanismo è messo in moto dagli uomini stessi, non dalla Natura. Nelle coincidenze spazio-temporali che avviano la catastrofe assume comunque un ruolo preponderante, quasi magico, quel numero, l’undici, che segna l’intervallo di tempo tra le 17 e le 17 e 11, a partire dalla stanza numero 1111 dell'undicesimo piano – e naturalmente la visione dell’aereo che vola a quota pericolosamente bassa tra i grattacieli del centro di Varsavia non può che far venire in mente la data dell’11 settembre. Perché l’undici? Puro caso, visto che un numero ne vale un altro.

Le coincidenze spaziali invece, se si sviluppano anche per linee orizzontali (lo scontro tra l’ambulanza e l’autobus, in mezzo al traffico, per cui l’ambulanza brucia e l’autobus si rovescia), trovano il loro apogeo, per non dire la loro apoteosi, secondo direzioni verticali di caduta: per puro caso il marito geloso di Anna, l’aspirante attrice che sta per essere sedotta dal mellifluo regista di film porno (“Vocazione puttana” sembra un titolo abbastanza indicativo), irrompe con troppa foga nella stanza d’hotel dove la seduzione dovrebbe aver luogo – per puro caso, cede il parapetto del balcone di quella stanza, e due corpi precipitano dall’undicesimo piano – per puro caso, il corpo del regista piomba sulla bilancia posta esattamente qualche piano più sotto, dove un operaio aveva appena ripreso il lavoro di riparare una finestra, dopo aver trascorso una piacevole mezz’ora d’intervallo nella camera d’una bella ragazza, ospite dell’albergo – per puro caso, quindi, anche l’operaio precipita – e poi precipita anche Anna, in ralenti, perché il marito, che l’aveva afferrata per un braccio, non ce la fa più a sorreggerla, disturbato com’è, tra l’altro, dal sopraggiungere controproducente di due addetti alla sicurezza.

Skolimowski, però, è anche polacco. Voglio dire, con questo, che pur avendo girato molti film e aver trascorso molti anni al di fuori della Polonia, ad essa, alla sua cultura e al cinema polacco, resta intimamente legato. Quindi: il surrealismo, Gombrowicz, il gusto per i segni letterari misteriosi, per i segnali premonitori enigmatici. Non a caso si ispirò a Ferdydurke, nel 1991, per il suo 30 Door Key; non a caso, il 2015 è stato l’anno di uscita, accanto a 11 minuti, dell’ultimo film di Zulawski, Cosmos, tratto da Gombrowicz.

In Cosmos, per la verità, i segni (il passero, il gatto e gli oggetti impiccati, le misteriose macchie sui soffitti ecc.) rimangono fino alla fine enigmatici – in 11 minuti, si rivelano, alla fine, annunciatori di una catastrofe plurima, che però è ugualmente senza senso.

Appare in cielo una macchia nera – solo alcuni dei personaggi se ne accorgono, senza peraltro darle importanza. A noi spettatori Skolimwski la fa vedere solo indirettamente, sotto forma di una macchia d’inchiostro caduta per caso sul quadro che un anziano pittore dilettante, distrattosi un attimo a seguire le riprese di un film (“Il tuffo di un suicida nel fiume”), stava dipingendo nei pressi d’un ponte. Un aereo vola tra i grattacieli, a bassa quota. Un uccello impazzito si scaglia contro uno specchio. Un pixel mancante su un monitor produce un ineliminabile punto nero...

Il Caso preannuncia la trama in cui, senza minimamente aspettarselo, restano presi i destini incrociati dei mortali – ma agli annunci del Caso, purtroppo, nessuno fa mai caso.


Questo intervento è già stato pubblicato su «Filmcritica», 659/666.

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